Dall’omelia dell’Ordinario ai funerali del generale Giangiacomo Calligaris e del tenente Paolo Tozzi, vittime di un incidente aereo

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Viterbo, sabato 25 gennaio 2014   Carissimi familiari, carissimi amici e compagni di Giangiacomo e Paolo: siamo qui riuniti non per doveri di ruolo o formalità; siamo qui perché il vostro grido è il nostro grido, il vostro silenzio è il nostro silenzio. In questa Celebrazione Eucaristica, il grido e il silenzio ci accomunano e ci uniscono nella commozione, nel dolore, nell’accorata ricerca di senso. Ci accomunano come comunità e come famiglia: comunità e famiglia militare, comunità e famiglia cristiana.   Siamo uniti nella preghiera. Non è facile pregare, in momenti come questo; ma è proprio in questi momenti che si coglie l’essenza della preghiera che, come ci ha insegnato Gesù sulla Croce, non è un insieme di parole, ma è, anch’essa, grido e silenzio.   Siamo uniti. Anche questi nostri fratelli sono andati uniti incontro al Signore. E questo, pur nel dolore schiacciante, ci appare come un tenue ma vero raggio di luce. Sono andati insieme!   Due persone diverse per età, per ruolo, per esperienza personale e professionale, certamente anche per temperamento, hanno affrontato insieme un passaggio decisivo che, improvvisamente, li ha inseriti in un’altra dimensione, in un’altra vita: nella Vita vera.   Quello che sappiamo, però, è che questi nostri fratelli erano «pronti» come i «servi» che, nel Vangelo, il «padrone» trova «svegli». Erano «pronti» perché erano «svegli». Perché, cioè, impegnati nel loro compito. Erano al lavoro, ed è così che il Padrone vuole trovare i servi: fedeli alla missione che Egli affida, perciò fedeli a Lui.   Giangiacomo e Paolo erano «pronti» perché erano «servi»: servi della Patria, servi dello Stato; servi di quel Padrone che affida agli uomini una missione che sempre, non lo dimentichiamo, è a servizio degli altri. Il grande generale che ha compiuto missioni altamente rischiose e il giovane tenente che forse sognava di farle, cadono nel servizio umile e amorevole del dovere. È questo che conta agli occhi di Dio ed è questo che rimane per sempre. Non il grado acquisito, non le tante imprese, sia pure importantissime, portate a termine ma lo spirito di servizio, la dedizione, l’amore che si mette nel poco o nel molto che siamo chiamati quotidianamente a fare. L’immagine del comandante e dell’allievo, del più grande e del più piccolo – che a ragione ha colpito e commosso molti di noi – ci resterà in cuore come un messaggio e un monito di umiltà e amore. È l’umiltà di chi insegna assieme all’umiltà di chi impara; è l’amore che li ha misteriosamente uniti nel momento della morte e che, come dice Giovanni, fa passare «dalla morte alla vita».   E, mentre accompagniamo Giangiacomo e Paolo, con i quali abbiamo camminato nel pellegrinaggio terreno, percepiamo che il cammino continua e la loro presenza ci aiuterà, a volte forse ci obbligherà, a guardare più spesso al cielo.