Roma, “Festa della solidarietà” (29-6-2015) Omelia dell’Ordinario alla Celebrazione conclusiva a San Giovanni in Laterano

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Carissimi fratelli e sorelle,è un grande dono essere qui stasera, in questa Festa così solenne per la Chiesa tutta e per Roma in particolare. È la Festa dei Santi Pietro e Paolo, Patroni della città, ed è la conclusione della vostra Festa della solidarietà, iniziata nel giorno della Natività di San Giovanni Battista: una festa, cioè, sapientemente racchiusa dentro il messaggio del martirio, quasi a significare che, oggi, la solidarietà è una testimonianza (questo significa etimologiamente martire: “testimone”) che esprime il senso donato alla propria vita.Questa festa celebra la solidarietà con l’attenzione della riflessione, con la gioia che individua elementi di positività e speranza, con l’Eucaristia e la preghiera. Che, in una parola, dice come la solidarietà sia un significato che impregana totalmente l’esperienza umana, una scelta di fondo: o viviamo secondo un criterio di solidarietà o no! Non ci possono essere mezze misure.La solidarietà, concretamente, chiama in causa la fragilità, voi lo avete ben focalizzato nello svolgersi del vostro Programma. E, tra le fragilità più drammatiche del nostro tempo, un posto significativo spetta a coloro sui quali oggi vogliamo accendere una luce: si tratta dei migranti, dei rifugiati, dei profughi, dei perseguitati, degli schiavi, dei discriminati; di persone che, a diverso modo, sono racchiuse nella categoria «stranieri».L’Europa e il mondo sembrano aver classificato in modo ineluttabile così tali fratelli, giustificando la propria indifferenza o, peggio, il proprio rifiuto dietro le paure, i comodi, i calcoli, la deresponsabilizzaione: “stranieri”, dunque non “dei nostri”. È terribile!In questa indifferenza generale, ci sono, però, delle braccia e dei cuori che vanno in altra direzione. Tra questi, i militari italiani, i quali, al di là di accordi internazionali o decisioni istituzionali, continuano a vivere il compito di soccorso nei confronti dei migranti semplicemente come un servizio verso fratelli che sono nel bisogno. È anche con loro che avete voluto condividere questa giornata e, come loro vescovo, ve ne sono particolarmente grato. E questo è, in fondo, il messaggio cristiano.Quella degli stranieri, se ci pensiamo bene, è infattti una categoria che il Vangelo non conosce o non riconosce! La Parola di Dio oggi lo conferma, offrendo alla nostra meditazione il Volto della Chiesa come di una comunità rispetto alla quale nessuno è estraneo e nella quale la solidarietà viene declinata con una serie di gesti. Liberare e pregareLa scena della prima Lettura (At 12,1-11) si svolge in prigione. È Pietro, perseguitato a causa delle sue convinzioni religiose, carcerato perché era tra coloro che, professando la propria fede in Cristo, denunciavano l’ingiustizia, praticavano la carità, soccorrevano i malati, predicavano la vita eterna. Gente che non faceva male a nessuno, anzi rispondeva all’odio con il perdono; eppure, gente che doveva essere messa a tacere, anche con l’uccisione; in un certo senso, vittime di una guerra fratricida che vedeva alleati il potere politico locale e il potere centrale dell’Impero romano… Quanti dei nostri immigrati fuggono da situazioni analoghe! In quanti Paesi del mondo i responsabili esercitando un potere indiscriminato più che un servizio – spesso complice parte della comunità internazionale -, ledono la dignità e la vita dei cittadini opprimendoli con guerre, persecuzioni, odi razziali, intolleranze religiose, e riducendoli alla povertà, alla fame, all’impossibilità di professare liberamente la propria fede e le convinzioni…È da qui che fuggono questi fratelli; e noi cristiani, quando pensiamo alla prigione degli apostoli, dei martiri di ieri e di oggi, non dobbiamo dimenticarlo. Solidarietà verso i migranti significa accoglierli e offrire quella stessa liberazione che un angelo rese possibile per Pietro. Sì, senza esagerare possiamo immaginare che siano visti come gli angeli i militari, gli operatori e i volontari, i medici… coloro che salvano dalla morte uomini donne e bambini in barconi che stanno per affondare, che offrono loro un pasto caldo, che curano malattie e altre ferite, che hanno il coraggio di dar loro una possibilità lavorativa.Tutta la Chiesa pregava per Pietro. Anche noi, stasera, vogliamo ringraziare il Signore per gli angeli di una solidarietà capace di vedere in ciascuno di questi fratelli il volto dell’”uomo”, non dello “straniero”, e chiedere a Dio che tale solidarietà contagi il mondo. Annunciare e lottareLa preghiera si unisce al coraggio della parola, alla parresìa. Nella seconda Lettura (2Tm 4,6-8.17-18), Paolo si presenta come l’uomo dell’annuncio evangelico. È quello che state facendo voi in questi giorni: annunciare il Vangelo annunciando la solidarietà. Ma l’annuncio della verità – lo ricorda in modo forte la testimonianza del Battista che riecheggia in questa splendida Cattedrale – ha come conseguenza la denuncia del male, delle mancanze.Siamo tutti consapevoli delle problematiche legate al tema dell’immigrazione. Ma di una cosa siamo certi: che, assieme alle discussioni internazionali e prima di esse, c’è in gioco un prezzo ben più grande, cioè la vita umana; la vita di una singola persona umana, che vale più di tutto.Ancora una volta, dobbiamo riconoscere che l’annuncio evangelico della solidarietà è l’annuncio limpido e forte del Vangelo della vita. E dobbiamo denunciare come attacchi alla vita umana tutti quelli che tendono al respingimento, all’omissione, alla chiusura nei confronti dei migranti. Prima di ogni decisione c’è la vita. «Ho conservato la fede», può dire Paolo al termine della sua esistenza terrena. Nessun valore avrebbe la nostra fede nel Figlio di Dio fatto Uomo se non fosse fede nell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. L’emergenza immigrazione, cari amici, si inscrive nella più ampia «emergenza antropologica» di cui, afferma il Papa, la «cultura dello scarto» e la «globalizzazione dell’indifferenza» sono segni angoscianti e reali.Per conservare e annunciare la fede in Dio e nell’uomo, siamo dunque chiamati a lottare, come faceva Paolo e come fanno i nostri militari, i quali paradossalmente si trovano a lottare per compiere questo loro dovere, talora nonostante indicazioni o collaborazioni poco chiare. Ciò dimostra il servizio prezioso che i militari italiani offrono alla causa della pace, alla difesa degli ultimi, al soccorso di coloro che sono in difficoltà. Lavorando per la solidarietà con i migranti, i militari italiani lavorano per la pace e uniscono a un compito interventisitico un ruolo educativo, capace forse di portare gli altri Paesi, e ciascuno di noi, a interrogarsi su come testimoniare il senso dell’accoglienza. Bisogna che tutti comprendiamo sempre meglio il valore di una tale missione, anche noi Chiesa. Essere uno Il Vangelo di oggi (Mt 16,13-19) riassume il senso di quanto abbiamo detto in una parola: comunità. È questa l’identità che la Chiesa è chiamata a costruire nel mondo. E comunità significa essere uno, significa concretamente solidarietà.Sì, solidarietà: basterebbe solo questa parola, pronunciata nella famiglia, nelle singole comunità cristiane, nei luoghi delle grandi decisioni nazionali e internazionali a risolvere, anzi a non far neppure sorgere, il problema degli immigrati. E questa sera la nostra Eucaristia, mentre fa memoria, vuole pronunciare la parola solidarietà dinazi alla città di Roma e all’intera Italia di oggi, che talora sembra aver dimenticato la sua storia non lontana di popolo di emigranti; vuole pronunciarla dinanzi all’Europa, sperando che non si riduca a mero insieme di Stati uniti da opportunità economiche o strategie politiche o divisi dalla legge del più ricco e del più forte. Come Chiesa, vogliamo essere lievito affinché l’Italia non dimentichi come la solidaretà sia il primo collante e la ragione di esistere della stessa comunità civile; affinché l’Europa ritrovi, anche nel proprio passato, le radici di un futuro che le riconoscerà un significato di esistere solo se sarà capace di essere «casa comune» per i popoli che vi appartengono, di aprire le porte a coloro che bussano. Se questo stile, che ci appartiene, non verrà rinnegato, l’emergenza immigrati non sarà, per noi e per l’Europa, una scomoda emergenza da fronteggiare ma una preziosa opportunità per ritrovare la propria identità: l’essere un’idea nata dalle macerie e dagli orrori del Nazismo, cioè dal voler riaffermare la solidarietà, la condivisione e il rispetto della persona umana.  Cari amici,  la Chiesa parte da tale rispetto dell’uomo per pronunciare la parola solidarietà verso gli immigrati: lo fa iniziando dal piccolo della porta di un convento o di una parrocchia che si apre all’ospitalità, di persone che si mettono a servizio, di cristiani che trattano gli stranieri come fratelli e che pregano per loro. La Chiesa opera con fiducia, anche nelle difficoltà, perché sa che le porte degli inferi, le giustificazioni che vengono dal maligno, non avranno la meglio sul comandamento dell’amore.Lo sa e lo continua a professare come state facendo voi oggi: con la forza della preghiera, con l’urgenza della riflessione, con la gioia della festa, con il dono della vita che ha animato gli apostoli e i martiri. Assieme a Pietro, assieme al nostro Papa Francesco, apostolo di solidarietà e fraternità, oggi vogliamo essere Chiesa che collabora all’opera di salvezza del suo Signore, certa che tutto ciò che, nel Suo Nome scioglieremo sulla terra, dunque anche le catene degli afflitti e il rifiuto degli immigrati, sarà sciolto nei cieli, in un amore che non avrà mai fine.
 X Santo Marcianò