Il vento di libertà dei figli di Dio

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(11-11-2015) Come si parla a “una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti”? Con rispetto e parresia, con semplicità e profondità, con amore e prossimità, con fedeltà e serenità, con severità caritatevole e slancio creativo, con la forza del dialogo e il trasporto di chi sa amare, senza imporre scelte ma suggerendo itinerari, senza giudicare ma lasciandosi valutare. E soprattutto lasciandosi svuotare… Svuotare dalle ambizioni e dalla ricerca di potere, dal desiderio di occupare lo spazio ecclesiale come quello civile, dalla voglia di preservare tutti i nostri piccoli e grandi spazi di controllo sugli altri, dall’abitudine a fare sempre le stesse cose e a non allontanarci dalla strada collaudata, dalle strutture che abbiamo costruito nel tempo e che rischiano di diventare la nostra ragione di vita. E infine svuotarsi di sé per abbassarsi sul volto del povero nel quale possiamo riconoscere ogni uomo e ogni donna che ha calpestato e calpesta questa terra. Senza “addomesticare la potenza del volto di Gesù” in cui ciascuno può riconoscere tutta l’umanità e da cui lasciarsi inquietare.
Ecco, l’inquietudine cristiana è il lascito di questa visita fiorentina di Papa Francesco che segnerà il cammino della Chiesa italiana negli anni a venire. Una Chiesa che non ha ricette preconfezionate, che si mette in ascolto e dialoga con tutti e costruisce con quanti ci stanno. Anche rischiando di ferirsi, di incorrere in qualche incidente di percorso e persino di sporcarsi. Perché se ti pieghi sui poveri, sarà inevitabile che ti sporchi.
L’umanesimo che Francesco ha indicato ai pastori e a tutti i cattolici italiani ha le sue radici in Gesù Cristo, anzi per non lasciare dubbi ha scandito: “La dottrina è Gesù”. Da qui la certezza che non ci sarà chiesto di essere perfetti, di adeguarci perennemente alla norma e di servircene come metro di giudizio. Piuttosto ci sarà chiesta creatività e ci sarà chiesto di cercare strade nuove, con coraggio e anche un pizzico di incoscienza.
Insomma, i cattolici italiani possono cominciare a osare, sia nella vita di Chiesa che nella piazza civile. Il Papa chiede ai Pastori di mettersi in ascolto dei fedeli e di condividere con loro il cammino.
A tutti offre con delicatezza, quasi a non voler interferire, “un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, cercate di avviare, in modo sinodale un approfondimento della Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”. Questa è l’unica indicazione stringente che Francesco ha voluto dare alla Chiesa italiana, spingendosi addirittura ad affermare: “Ma allora che cosa dobbiamo fare? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’Ecce Homo”.
Nella cattedrale di Firenze ha soffiato forte il vento della libertà dei figli di Dio. Grazie a Francesco, il Papa “preso quasi dalla fine del mondo” che, a giudicare dal crescendo degli applausi che hanno scandito il suo discorso, ha conquistato i cuori e le menti degli italiani. Italiani brava gente? No, italiani gente brava. Che capisce bene chi parla per amore e ne accetta anche un rimbrotto, perché non è mai senza carità. Gente brava che non aspetta altro che incamminarsi, insieme con il proprio vescovo, sulle vie del mondo. Gente brava che in molti casi già si è messa in discussione e in cammino, superando pregiudizi e chiusure, alterità e preconcetti, mettendosi in gioco senza aspettarsi nulla qui e ora. Il Papa dà fiducia a questa gente, al punto da chiedere loro di aiutare il vescovo a stare in piedi, accanto a loro. Vescovo e popolo. Popolo e vescovo. Sì questa Chiesa libera, umile, disinteressata, lieta, col volto di mamma, popolare e forse anche popolana, capace di soffrire e di sorridere… Questa Chiesa immagine dell’Ecce Homo… ci piace. Sì che ci piace. Chi siamo noi per dirlo? Solo un frammento minuscolo di quel popolo.
 
Domenico Delle Foglie