Omelia dell’Ordinario nella S. Messa Crismale, 12 aprile 2017

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«Lo Spirito del Signore è su di me»! Carissimi confratelli presbiteri, inizia così, oggi, ciascuna delle Letture. E lo Spirito Santo si rivela come il grande Protagonista di questa Liturgia Crismale, nella quale celebriamo in modo speciale il dono del sacerdozio ministeriale. C’è lo Spirito, all’inizio della consacrazione che ci fa presbiteri, c’è lo Spirito che si pone su di noi e ci avvolge con la sua ombra, c’è lo Spirito che ci manda a liberare gli oppressi e i poveri, c’è lo Spirito che ci fa annunciare l’avvento del Regno. Lo Spirito è Protagonista e compagno di cammino del nostro sacerdozio: come per Gesù, è all’origine dell’elezione, dell’unzione, della missione. Siamo qui insieme, a rinnovare l’unzione sacerdotale; a rispondere ancora quelle parole che hanno reso vivente il «sì» che lo stesso Spirito ci aveva suggerito. Vi saluto tutti, uno per uno. Rivedo ciascuno di voi nei luoghi nei quali svolgete il ministero, che ho la gioia di conoscere; alcuni vengono da molto lontano: e vi ringrazio particolarmente; alcuni sono assenti a motivi del ministero o perché impegnati nelle missioni internazionali; altri sono malati o in difficoltà: a tutti costoro voglio esprimere la mia affettuosa e sincera vicinanza di padre, voglio dire che si sentano presenti qui, nei nostri cuori e nella nostra Liturgia, grazie alla forza significativa e quasi “sacramentale” della comunione presbiterale. Noi siamo qui anche per loro, per affidare allo Spirito, ancora una volta, la nostra vita sacerdotale, la relazione con Dio, la stessa azione pastorale, cioè il concretizzarsi di quell’annuncio di liberazione e di quella parola di salvezza che il popolo di Dio aveva atteso attraverso i profeti e ha poi iniziato a contemplare in Gesù. Ed è in Gesù che lo Spirito ci pone – in Persona Christi -, per aiutarci a crescere nella vocazione sacerdotale ma anche per aiutarci a cogliere nuove sfide che si presentano al nostro ministero. È necessario uno sguardo sapienziale per valutarle nella loro autentica portata. Sono le sfide di tutta la Chiesa, sono le sfide della nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare. Siamo sulla soglia del Solenne Triduo Pasquale e si spalanca ancora, dinanzi a noi, l’abissale Mistero di una Vita che scaturisce dalla morte, di una Risurrezione che nasce dalla Croce. Un Mistero che crea un guado, un varco da attraversare, nella storia del singolo e nella storia umana. E per attraversare questo guado c’è bisogno di una mano: la mano di Cristo, la mano del sacerdote; celebrare i sacramenti, prima di tutto l’Eucaristia, significa attraversare questo guado, trasformando, concretamente, la morte in vita; e farlo per noi e per le comunità affidataci. In questa nostra comunità, che è la grande “famiglia” dei militari italiani, vorrei oggi raccogliere dalla Parola di Dio tre punti, tre sfide per la nostra identità presbiterale e missione pastorale. 1. Discernimento sacerdotale e pastorale vocazionale dei giovani verso il Sinodo 2. Amore sacerdotale e pastorale della famiglia. 3. La pace del cuore e la pastorale della pace.   1. Discernimento sacerdotale e pastorale vocazionale dei giovani verso il Sinodo. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Nel Vangelo che abbiamo ascoltato (Lc 4,16-21), lo Spirito Santo porta Gesù a comprendere e annunciare che la Parola, proclamata dai profeti e attesa dal popolo di Dio, si è compiuta. E si è compiuta in Lui. Non si tratta di un’operazione scontata: essere Uomo, per il Figlio di Dio, significa anche condividere con l’uomo l’arte paziente della crescita, dell’apprendimento, del discernimento. E nella Sinagoga di Nazareth, nel pieno del Suo ministero sacerdotale, Gesù sta compiendo proprio un’opera di discernimento. Un discernimento che, come sempre deve essere, si fonda sulla Parola di Dio. Una Parola meditata, letta, pregata. Per questo, una Parola annunciata. C’è un rapporto forte con la Parola, all’origine del nostro sacerdozio. E c’è la necessità che sia la Parola di Dio a far recuperare il “discernimento”, dono dello Spirito. Il discernimento, leggiamo nel Documento preparatorio al Sinodo dei Giovani, riguarda «una pluralità di situazioni. Vi è infatti un discernimento dei segni dei tempi, che punta a riconoscere la presenza e l’azione dello Spirito nella storia; un discernimento morale, che distingue ciò che è bene da ciò che è male; un discernimento spirituale, che si propone di riconoscere la tentazione per respingerla e procedere invece sulla via della pienezza di vita. Gli intrecci tra queste diverse accezioni sono evidenti e non si possono mai sciogliere completamente»[1]. Il sacerdozio di Cristo si consuma nella storia, vista come “storia di salvezza”. È qui che si inserisce l’importanza del sacerdozio e il senso profondo di ogni vocazione. Il tema del discernimento – valorizzato più volte da Papa Francesco – rimanda, in realtà, a una visione vocazionale della vita e chiede di rivedere la cura vocazionale che, come presbiteri, ci viene continuamente affidata. Penso, in primis, al nostro Seminario, cuore della diocesi; luogo di formazione e spiritualità, di comunione presbiterale e di riferimento per la pastorale vocazionale. “Luogo – segno”, potremmo dire, di quel discernimento che riconosce, nella voce dello Spirito, il progetto unico e irripetibile di Dio su ogni vita umana. Il discernimento ci porta, oggi, a far memoria della nostra vocazione, a partire dai tempi della formazione in seminario; al contempo, focalizza la missione di accompagnamento, base dell’azione azione pastorale. Con la preparazione al Sinodo, la Chiesa universale ci chiede di applicare il discernimento alla pastorale giovanile. Inizieremo a riflettere su questo con il Corso di Formazione dei Cappellani, nel giugno prossimo; ma occorre sempre partire dal nostro personale discernimento nello Spirito. «Per accompagnare un’altra persona – continua, infatti, il Documento – non basta studiare la teoria del discernimento; occorre fare sulla propria pelle l’esperienza di interpretare i movimenti del cuore per riconoscervi l’azione dello Spirito, la cui voce sa parlare alla singolarità di ciascuno. L’accompagnamento personale richiede di affinare continuamente la propria sensibilità alla voce dello Spirito e conduce a scoprire nelle peculiarità personali una risorsa e una ricchezza»[2]. Nella sinagoga di Nazareth, Gesù avrà certamente sentito muovere il proprio cuore alla Parola dei profeti, avrà sentito lo Spirito confermarGli che essa si compiva, in Lui e per mezzo di Lui. Ed è questo che siamo invitati a fare anche noi, ogni giorno.   2. Amore sacerdotale e pastorale della famiglia «La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui». Nel nostro sacerdozio, come Gesù, riviviamo l’esperienza del Salmista (Salmo 88): l’intimità con Dio, del quale scopriamo sempre, con gratitudine commossa, la grande e indistruttibile fedeltà. «La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui». C’è una sfumatura sponsale in queste parole. E, se è vero che esse sono rivolte a ogni creatura, è anche vero che vi risuona con insistenza il tono di esclusività dell’Amore di Cristo che ci ha conquistato il cuore; a questo amore abbiamo dato tutto noi stessi, con la fedeltà e la gioia del celibato, quel mistero di amore sponsale che si comprende anche alla luce del sacramento nuziale. In questi anni, la nostra Chiesa ha riservato una particolare attenzione all’amore coniugale e alla famiglia, come indicato da Papa Francesco. È quasi pronto, ormai, il Direttorio di Pastorale Familiare che, alla luce di Amoris Laetitia e di altri Documenti dell’Ordinariato Militare, cercherà di segnare il passo alla nostra Chiesa. E voglio ringraziare l’Ufficio Famiglia per il lavoro svolto al riguardo. La pastorale della famiglia, ne siamo consapevoli, richiede anzitutto il coinvolgimento delle famiglie e necessita di una particolare adattabilità nel nostro mondo militare. Ma la figura del sacerdote, del cappellano militare, risulta risorsa insostituibile. In questa Celebrazione, che ricorda l’istituzione del sacerdozio, vogliamo dire grazie a Dio per il dono della famiglia. Per le nostre famiglie di origine, molte delle quali sono state il primo vero Seminario. Per le famiglie dei nostri militari: quelle sane che, pur nelle sofferenze e difficoltà, sono per noi motivo di conforto, luogo di accoglienza, scuola di amore al quale ispirarsi per vivere la risposta sponsale a Cristo e alla Chiesa; per le famiglie fragili e ferite, che ci spingono a una vicinanza faticosa, chiedendo di essere ciò che siamo: icona di Cristo Sposo, che ha creduto all’amore umano e non si da per vinto, neppure dinanzi a situazioni che sembrano compromesse; icona di Cristo Buon Pastore, che tende la mano per includere e accogliere anche tutti i tentativi di amore falliti e sbagliati, facilitando esperienze di misericordia, percorsi di conversione, passi di perdono e di pace.   3. La pace del cuore e la pastorale della pace. «Grazia a voi e pace da Gesù Cristo… che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue». Il sacerdozio di Gesù, nella seconda Lettura (Ap 1,5-8), si condensa in un annuncio di pace. E il tema della pace è, per noi, speciale vocazione nella vocazione: la pace da servire, alla quale educare i nostri militari; la pace per la quale pregare e nella quale sperare. Non è facile sperare nella pace, soprattutto in questi giorni, mentre continuiamo ad aggiornare gli elenchi degli attentati terroristici, a contemplare spaventose immagini di guerra, ad assistere attoniti al massacro di tanti cristiani, nelle loro case e nelle loro Chiese… mentre registriamo ovunque paura, terrore e, con terrore, guardiamo a un mondo che sta sempre più chiudendo le porte, illuso che questo possa difendere non si sa bene chi e da che cosa… Ma se c’è un momento in cui il cristiano, l’uomo, ritrova speranza, questo è proprio il tempo che stiamo vivendo, questo è il mistero della Croce. La speranza, ha detto il Papa ai parroci di Roma il 2 marzo scorso, «è quella che apre la fede alle sorprese di Dio. Il nostro Dio è sempre più grande di tutto ciò che possiamo pensare e immaginare di Lui, di ciò che gli appartiene e del suo modo di agire nella storia. L’apertura della speranza… non è l’apertura di un’immaginazione velleitaria che proietterebbe fantasie e propri desideri, ma l’apertura che provoca in noi il vedere la spogliazione di Gesù […] “Attirerò tutti a me” (Gv 12,32). È il donarsi totale del Signore sulla croce quello che ci attrae»! Ecco, allora, il cuore del nostro ministero, del nostro servizio alla pace; ecco ciò che dona anzitutto pace al nostro cuore: la spoliazione, come quella di Gesù; il donarsi come Lui sulla Croce; il versare, come Lui, quel sangue che ci ha liberati e può essere strumento di liberazione per molti: poveri, afflitti, schiavi, prigionieri… uomini che il nostro ministero incontra.   Carissimi confratelli presbiteri, Volete unirvi intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a voi stessi e confermando i sacri impegni che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto liberamente verso la sua Chiesa? Tra poco ci faremo questa domanda e risponderemo il nostro «sì». Ma la pienezza della risposta ci rimanda al Mistero che, come dicevamo, si sta spalancando dinanzi a noi. Un Mistero che ci attrae e ci fa davvero rinunziare a noi stessi: il donarsi di Gesù sulla Croce! È questa l’Icona del nostro sacerdozio, che ci rende capaci di cogliere e accogliere sfide sempre nuove; è questa l’opera dello Spirito, Protagonista della nostra Consacrazione e compagno di cammino; è questa la promessa della Pasqua che ci attende e ci rinnova nella comunione, nella missione, nell’unzione.   X Santo Marcianò


[1] Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, Città del Vaticano 2017
[2] Ibidem