Messa in suffragio dei caduti della Brigata Osoppo

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

(11-02-2020) Domenica scorsa, in occasione della commemorazione del 75° anniversario dell’eccidio delle Malghe di Porzus, l’Ordinario ha presieduto una Messa in suffragio dei caduti nella Chiesa parrocchiale di Canebola, in provincia di Udine. Proponiamo, in appresso, il testo integrale dell’omelia.

Carissimi, essere qui insieme rappresenta un momento di riflessione profonda, ispirata dalla memoria e illuminata dalle parole di Gesù nel Vangelo (Mt 5,13-1), tanto note quanto provocanti: «Voi siete il sale della terra… la luce del mondo».

Gesù dice «voi», si rivolge a noi. Non solo a noi singolarmente ma a noi «comunità». Questo è molto importante e fa della nostra Celebrazione Eucaristica, che è mistero di comunione, una comunità riunita a far memoria, a pregare.

Siamo un «noi»! Siamo comunità che si mette in ascolto, ricorda, riflette e prende decisioni. Sì, il momento che stiamo vivendo deve servire a questo: deve incidere profondamente nella vita ciascuno, provocando una trasformazione, una conversione.

Il Discorso che oggi Gesù indirizza fa parte del più ampio Discorso della Montagna ed è collegato alle Beatitudini che ha pronunciato nei versetti precedenti, più precisamente alla nona: «Beati siete voi, quando vi insultano e vi perseguitano»; anch’essa beatitudine in cui Dio parla a «voi», a «noi», che viviamo in un clima di persecuzione da parte del mondo. E il discorso, pur rivolto solo ai discepoli, è collegato al desiderio che essi possano incidere nella vita «della terra», trasformare il «mondo».

«Voi siete»: non è un’idea ma un imperativo, un vero e proprio compito affidato a noi, agli uomini di ogni tempo, immersi nelle persecuzioni, nelle ingiustizie, nelle violenze e chiamati a portare lì giustizia e pace.

Nel male indescrivibile della guerra, nelle atroci persecuzioni operate dal Regime nazista e dal fascismo, molti hanno percepito questo imperativo interiore a resistere, a “fare” qualcosa, a “essere” diversi da coloro che si allineavano, e ancora oggi si allineano, con il potere del dominio che porta alla morte e del totalitarismo irrispettoso dell’originalità degli uomini. Un appello che però è interiore, è eco della voce di Dio, se, come Gesù stesso dice, ci porta a essere sale e luce.

«Voi siete il sale della terra».

Il sale, lo sappiamo dall’esperienza, conferisce sapore, gusto a ogni cibo ed è ciò che meglio lo conserva e custodisce. Nella Bibbia, però, il sale è anche sinonimo di purificazione, di sacrificio, e nella cultura greca significa ospitalità.

Quante persone sono state questo «sale» per i fratelli perseguitati dalle leggi razziali e dalla barbarie del nazismo! Pensiamo ai tanti uomini giusti come pure ai tanti vescovi e sacerdoti, alle tante comunità religiose, che hanno corso pericoli enormi per la pura carità di ospitare i ricercati o di sostenere i disperati. E pensiamo a quei partigiani che hanno lottato per il bene fino al sacrificio della vita; oggi, in particolare, preghiamo per i caduti della Brigata Osoppo.

Sì, cari amici, essere sale è aiutare le vite dei fratelli a ritrovare il sapore della speranza, sanando con la giustizia l’orrore di ogni violenza e discriminazione. Oggi come ieri, essere sale significa accogliere e ospitare, promuovere la giustizia e la legalità, soccorrere i deboli e difendere i perseguitati, fare il bene e resistere al male, in un orizzonte di fraternità.

Nell’Antico Testamento, il sale indica anche stabilità, esprime la fedeltà all’Alleanza tra Dio e l’uomo. Ogni capacità di resistere, ogni “resistenza” organizzata, hanno dunque bisogno di questa fedeltà al Progetto d’amore del Signore sull’umanità. Se così non fosse, spiega Gesù, si assisterebbe all’assurdo del sale che perde il sapore; e la storia, anche la storia dell’Eccidio di Porzus, di cui oggi ricordiamo il 75° anniversario, ci insegna come a volte, con l’intento di contrastare il male, si siano purtroppo usati metodi ancor più atroci, si siano commessi quegli stessi crimini che si volevano combattere!

«Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte».

A «voi», a «noi», Gesù chiede invece di essere luce; e l’indicazione è concreta, perché sarà Egli stesso a dire di Sé: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12).

Cari amici, c’è una luce da seguire; e ogni volta che si presume di essere luce da se stessi, la città dell’uomo precipita nelle tenebre. C’è da seguire la luce della ragione, la luce della giustizia, la luce della pace che, ricordando l’espressione Papa Giovani nella Pacem in Terris, potremmo identificare con quell’«ordine» impresso da Dio al creato[1]; e la luce  – è bellissimo ricordarlo – è la prima creatura di Dio nella Creazione!

È questo l’ordine che molti, nel tempo terribile della guerra, hanno cercato di ricostruire; è questo l’ordine per il quale oggi i nostri militari operano, in Italia e in tanti Paesi in guerra, anche a costo della vita. Un ordine che non si ottiene quando ci si sostituisce alla luce ma quando ci si consegna alla Luce, facendo sì che sia Essa a ispirare e pervadere le nostre opere.

È la luce della particolare «sapienza» di cui parla Paolo nella seconda Lettura (1 Cor 2,1-5): predicare il Cristo Crocifisso; lottare in comunione con il dolore del mondo offrendo come Lui la propria vita, non eliminando la vita altrui.

Questa sapienza conferisce splendore alla città che «sta sopra il monte»: che diventa punto di riferimento, comunità alla quale guardano in molti; e la città sul monte, nella Bibbia, è Gerusalemme, città della pace, città chiamata ad essere simbolo di pace, pur tra i fuochi di guerra ancora accesi.

Gesù insegna che c’è un risvolto sociale al nostro comportamento, c’è una ripercussione sulla «città», vale a dire nell’ambito politico, economico, sociale, giuridico; questo Suo discorso, infatti, continuerà con il riferimento alla legge (cfr Mt 5,17ss) che non va abolita ma portata a compimento, riempita d’amore.

La memoria storica dell’eccidio di Porzus mostra come la bontà delle opere non si realizzi senza la legge o, peggio, elaborando arbitrariamente leggi proprie; e dimostra come l’unione fraterna, il senso di appartenenza, la difesa comune di valori fondamentali alla vita dell’uomo emettano una luce che spesso proprio chi fa il bene non riesce a percepire.

Carissimi, oggi, insieme, vogliamo riscoprire nel «noi» della realtà sociale, politica, militare, ecclesiale, l’invito a essere comunità attraente attraverso le buone opere. Vedendole, dice Gesù, molti daranno gloria a Dio.

È questo il senso della nostra Celebrazione, del nostro fare memoria, che non è solo evento celebrativo o rievocazione storica: è riconoscere che la gloria appartiene al Signore, è il riconoscere la presenza e la luce di Dio nelle opere di bene che sono state compiute e imparare a intravedere i punti critici, i possibili errori, perché anch’essi siano insegnamento, che illumina la nostra vita e doni luce anche al mondo di oggi, con le sue contraddizioni e le sue speranze.

È l’invito a imparare la lezione della storia ma a essere fedeli al cammino di fede, alla coerenza tra fede e vita, nella certezza che essa cambia il mondo.

A essere granello di «sale», piccolo e nascosto ma anche puro e forte, per diventare strumenti di «Luce» che trasforma il mondo, vincendo le tenebre del male e del peccato, riportando speranza e creando Vita.

Il Signore ci conceda di essere luce e sale così.

E così sia!

Santo Marcianò

Ordinario militare per l’Italia

[1] Cfr. Giovanni XIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, 1