Discorso riconoscimento cittadinanza Tiro (Libano)

 Tiro (Libano), 18 marzo 2019

 Illustrissimo Signor Sindaco, autorità civili e militari, rappresentanze religiose e sacerdoti, cari amici,   il riconoscimento che oggi ricevo mi onora e mi commuove e voglio accoglierlo come segno di gratitudine verso una comunità, una terra, un popolo aperto al mondo, alla cultura, alla spiritualità. È la terra splendida e santa del Libano, è questa comunità di Tiro, città ricca di storia e tradizioni e sapientemente guidata da lei, ingegner Hassan Dbouk, che omaggio con particolare ossequio e con l’augurio più fraterno in questo giorno del suo compleanno.   Sono qui come pellegrino di pace. E il pellegrinaggio è un’esperienza umana e religiosa nella quale l’animo si dispone ad apprendere, mentre il corpo si impegna nel cammino. Sono qui in cammino, per imparare la fraternità, che cresce quando le relazioni umane ci vedono rispettosi della dignità della creatura umana, disposti ad allargare i propri spazi per accogliere la sua unicità personale e le sue aspirazioni interiori. Sento di aver molto da imparare dall’interiorità del vostro popolo, dalla sua originalità, dalla straordinaria testimonianza di convivenza armonica che qui si sperimenta tra culture, razze, religioni: un’armonia che richiama l’intimo significato della pace, così cara a Papa Giovanni XXIII il quale, nei sui viaggi, rimase colpito dalla realtà del Libano; soprattutto, nel suo viaggio come legato pontificio, dai colloqui avuti con il Capo di Stato, aperto a relazioni pacifiche e cordiali e latore del diadema con il quale in quell’occasione egli incoronò la Madonna del Libano.   A 65 anni da quell’evento storico, vengo a consacrare la Chiesa Cattolica di Rito latino intitolata proprio a San Giovanni XXIII e a Maria Decor Carmeli; il Papa che fu padre della Pace e la Madre che ci costituisce nella fraternità, seme della pace. È la Chiesa della Base UNIFIL, nella quale militari di diversi Paesi, con l’attuale guida italiana, svolgono un’opera di supporto alla pace, attraverso la collaborazione con le Forze Armate libanesi e con vari progetti di sostegno alla realtà locale. Nel ricevere questa cittadinanza onoraria penso a tutti loro, in particolare ai militari italiani che si impegnano a svolgere un servizio di difesa con uno stile improntato al rispetto e alla non violenza, con autentica dedizione e amore per i più piccoli e fragili, con il coraggio di chi è disposto persino a donare la propria vita per difendere la vita altrui. Sono i valori della salvaguardia dell’uomo e del creato, che animano il loro servizio per il bene comune e costituiscono una rete per il comune impegno delle religioni. Come dirò nell’omelia, anche Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, nella Dichiarazione congiunta di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, esprimono «la forte convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune» e chiedono di «impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli». Da qui nascono anche tragedie inammissibili e deprecabili, come la recente strage in Nuova Zelanda, per la quale preghiamo. Pensando dunque a quanto i nostri militari si impegnino per ristabilire il concetto di cittadinanza, sento di ricevere la cittadinanza onoraria anche a nome loro, come gratitudine per quanto essi operano: nel Libano, per il Libano e, con il Libano, per la pace nel mondo e in Medio Oriente. Lo faccio da pastore di una Chiesa che vuole svolgere la sua opera di educazione alla pace anche attraverso la formazione e la crescita umana e spirituale delle Forze Armate, consapevole di quanta responsabilità essi abbiano nei delicati e decisivi processi di pace nel nostro pianeta.   La «cittadinanza», però, indica soprattutto una forma di appartenenza. E per me, come per ogni cristiano, Tiro è un nome che evoca l’appartenenza a luoghi che sentiamo santi, densi di storia biblica: i territori di Tiro e Sidone, i monti del Libano e dell’Ermon… luoghi calcati anche dai passi di Gesù di Nazareth. Questi luoghi, oggi, sono da voi conservati a valorizzati, come siti archeologici e culturali ma anche come luoghi dell’anima; così, nel rispetto di ogni singolo credo religioso, riportano l’essere umano all’essenziale di una vita aperta all’Assoluto che, sola, può salvare dall’egemonia del materialismo e dell’individualismo, che si esasperano nella secolarizzazione e nel fondamentalismo. È l’educazione al trascendente che apre gli occhi verso la bellezza del creato, di cui il Libano è esemplare incarnazione, e spalanca il cuore verso il mistero della creatura, dell’altro, fratello in umanità.    Vi ringrazio dunque di vero cuore, per la vostra fraternità, testimoniata dal dono che ricevo e da me ricambiata con una stima sincera, con un affetto che ormai mi lega indissolubilmente alla terra del Libano e alla sua gente, dalla quale sento di voler imparare ancora e con la quale spero di poter continuare a camminare, in un pellegrinaggio che ci unisce nella ricerca della giustizia e nella paziente costruzione della pace: prezioso dono di Dio, affidato all’impegno dei militari, al coraggio del dialogo interreligioso, alla gioia delle nostre relazioni umane, che allargano gli spazi dell’accoglienza, dell’interiorità, della speranza!  X Santo Marcianò

09-04-2019