Intervista rilasciata al Quotidiano “Avvenire”

 30 aprile 2016
 
Eccellenza, che significato ha per i cappellani militari incontrare il Papa nell’Anno Giubilare?
È un dono, un’opportunità, un invito che accogliamo, come sacerdoti anzitutto e come pastori del mondo militare. Il Magistero di Papa Francesco – magistero di parole e magistero di gesti – è denso di contenuti e di metodologie ed è anche carico di un tanta preoccupazione per la pace nel mondo. Noi ci sentiamo particolarmente chiamati a questa missione: essere costruttori di pace attraverso la cura pastorale di quei militari che il Concilio stesso ha definito “ministri” della sicurezza e della pace. Al Papa potremo esprimere, ancora una volta, grande affetto e profonda gratitudine per lo spirito di “parresìa e di profezia” con cui interviene in difesa dei più deboli, soprattutto quando grida la necessità che oggi ha il mondo, e prima di tutto l’Europa, di non ergere muri ma di costruire ponti.
 
Che significa applicare la misericordia nell’ambito militare?
Il messaggio della misericordia trova un grande spazio all’interno di questa nostra realtà militare. Io stesso ho voluto scrivere in proposito una Lettera Pastorale, che verrà inviata a tutti i militari proprio in questi giorni. Occorre infatti tener conto che ai militari, assieme alle forze di polizia, sono affidati compiti quali la difesa dei cittadini dalla violenza e dal crimine ma anche il controllo delle illegalità in ambito sociale e finanziario; la protezione dalla criminalità organizzata o dal narcotraffico, come pure dagli abusi su donne e bambini; la lotta contro il traffico di esseri umani e l’indiscriminata devastazione dell’ambiente e del creato. Soprattutto significativo, oggi, il grande compito dell’accoglienza, attraverso la quale i nostri militari salvano tante vite umane di migranti e profughi, cercando alla stesso tempo di non farli sentire stranieri o rifiutati.
La misericordia si concretizza in questi gesti, che diventano altri modi di indicare quelle opere di misericordia senza le quali lo stesso Giubileo perderebbe significato.
 
Cosa risponde alle polemiche di chi contesta l’attuale sistema economico nel quale attualmente sono inseriti i cappellani militari? Possiamo dire qualcosa in proposito?
I cappellani ricevono uno stipendio così come i militari ai quali essi sono assimilati, e questo vale anche per l’Ordinario. Sono consapevole, tuttavia, che un pastore della Chiesa debba testimoniare uno stile di sobrietà; per questo, personalmente, ho da subito deciso di accogliere la cifra che mensilmente ricevo, in uno stile di condivisione, scegliendo di trattenere per me solo il corrispettivo della stipendio medio di un vescovo e devolvendo il rimanente a sostegno di quelle tante situazioni di indigenza o bisogno che lo Stato non sempre riesce a coprire e che anche la nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare conosce bene e cerca di sostenere con il contributo volontario e pronto di tanti.
 
Se dovesse definire il ruolo dei cappellani e la loro funzione educatrice e sociale, oltre che religiosa, che cosa direbbe?
Credo che per il cappellano il ruolo di educatore sia estremamente significativo. Siamo in una cultura che non aiuta la pace, facilitando non solo il diffondersi delle guerre ma anche l’imperare del soggettivismo e dell’autoreferenzialità. La pastorale, oggi, deve tener conto di tale emergenza culturale, che impregna persino gli ambienti religiosi e si diffonde in tutti gli ambiti, anche nel nostro contesto. Credo che l’opera dei cappellani militari, in tal senso, sia meritoria. Si tratta – questo è molto significativo – di sacerdoti che condividono la vita dei militari, che abitano con loro nella caserme, nelle unità operative, nelle missioni estere, in navigazione, in situazioni di difficoltà e rischio… L’opera della Chiesa in tale contesto è di grande importanza per la crescita umana, culturale, spirituale di una classe di militari che si è profondamente trasformata negli ultimi decenni, soprattutto in Italia, mostrando un impegno serio di dedizione che arriva anche al dono della vita.
 
I nostri militari operano anche all’estero. Qual è il bilancio di queste missioni di pace dal Suo punto di vista. E come vedrebbe Lei un intervento in Libia, per riportare ordine in quella nazione?
Gli interventi dei nostri militari nelle missioni internazionali di sostegno alla pace rispondono a quella “responsabilità di proteggere” che le Nazioni Unite intendo attuare perché la pace sia garantita a tutti. Io stesso ho potuto constatare più volte come queste missioni non siano soltanto un presidio di difesa dalla guerra o dal terrorismo: si tratta un’opera più complessa nella quale i nostri militari svolgono un importante servizio di promozione umana e culturale, di sostegno alla cooperazione; essi, attraverso le loro competenze, sono spesso molto impegnati nella formazione e istruzione delle forze armate e di polizia del luogo.
E’ di grande importanza la collaborazione tra i militari di diversi Paesi, dal momento che le missioni di sostegno alla Pace devono sempre svolgersi sotto l’egida dell’autorità internazionale competente. Questo, a mio avviso, è il criterio guida anche riguardo la decisione – che è di carattere politico – di un’eventuale presenza dei nostri militari in territorio libico: un intervento militare internazionale, valutato come risposta ad una grave emergenza umanitaria, dovrà essere richiesto dal Governo locale e autorizzato dalla Comunità internazionale.
Mimmo Muolo
 
29-07-2016