Capitanerie in S. Caterina in preparazione al Natale (13-12-2017)

14-12-2017

S. Messa con la Capitaneria di Porto in preparazione al S. Natale, Roma, Chiesa S. Caterina da Siena, 13 dicembre 2017  Carissimi fratelli e sorelle, sono felice di accogliervi in questa nostra Chiesa. So di accogliere, in voi e con voi, tutti coloro che, in Italia, sono in servizio nelle Capitanerie di Porto, svolgendo un compito qualificato che, di giorno in giorno, si rivela sempre più necessario, rischioso, faticoso. E la Parola di Dio, oggi, sembra proprio intercettare tale particolare «fatica»: tanto il Vangelo (Mt 11, 28-30), quanto la prima Lettura (Is 40, 25-31) fanno riferimento a una «stanchezza» che è stanchezza fisica, certamente, ma anche stanchezza del cuore, dell’anima. È l’esperienza che ciascuno di noi, a volte, si trova a fare. In particolare, penso possa essere questa la vostra esperienza dinanzi a una missione che – lo dicevo – è davvero esigente e, anche se portata avanti con forza ed entusiasmo, mette fortemente alla prova. Fatica, stanchezza… Quante volte ho raccolto tali confidenze dai vostri cuori! C’è la stanchezza della navigazione, che vi porta lontano dalle vostre case, dai vostri affetti, anche in circostanze in cui altri trovano la consolazione dell’intimità. Siamo vicini al Natale, vogliamo celebrarne oggi il Precetto; e quante feste natalizie trascorrete separati dalle rispettive famiglie, magari dai figli che crescono… C’è la stanchezza del portare avanti compiti delicati e di altissima responsabilità; penso a quanti, tra voi, sono continuamente attenti a rintracciare le imbarcazioni degli stranieri, dei profughi in arrivo: alla loro cura nel rispettare l’integrità dei migranti, ai tentativi di individuare gli scafisti, alla dedizione con cui mettono in campo tutte le forze, a volte la forza della disperazione, per salvare anche una sola vita umana… La stanchezza si dimentica qualora questo sia possibile; ma la stanchezza diventa un terribile senso di fallimento, un dolore immenso – quante volte l’ho ascoltato dalle vostre parole e dalle vostre lacrime – quando vedete sfuggire dalle mani un uomo, una donna, un piccolo bambino, senza riuscire a tirarli fuori dal mare… Quel mare che amate, in cui portate avanti il vostro servizio, ma che spesso diventa un nemico, un cimitero; e il più delle volte tra l’indifferenza generale, come spesso ci ricorda il Papa. Sì. La vostra stanchezza si acuisce, attonita, per l’indifferenza del mondo dinanzi a una strage che sta assumendo proporzioni peggiori di un conflitto. Si esaspera per l’indifferenza di tanti cittadini, che a volte sfocia persino in intolleranza, razzismo, discriminazione, esclusione, anche da parte di chi abbia ruoli istituzionali… Una cosa è l’ordine e l’integrazione, altra è il rifiuto; una cosa è la necessaria regolamentazione, altra è l’eliminazione. Soprattutto, una cosa è la necessità di evitare ogni superficialità nella gestione di un fenomeno complesso, altra è l’isolamento di un Paese come l’Italia da parte dell’Europa, l’isolamento di alcune città e regioni d’Italia da parte di altre città e regioni, addirittura l’isolamento di operatori specializzati e generosi, quali voi siete, da parte di figure istituzionali o dei cittadini. Il messaggio cristiano, in particolare il messaggio del Natale, ce lo insegna: dinanzi alla gestione di un fenomeno immane e controverso come quello migratorio, ogni possibile soluzione potrà essere trovata solo rispettando la dignità della persona e i diritti umani, la promozione del bene comune e la sussidiarietà da parte dello Stato; non ultimo, risvegliando la solidarietà, che fa dell’umanità un popolo di fratelli. Sono i principi di Dottrina Sociale della Chiesa; e sono principi che, nel vostro lavoro, mettete in pratica giorno dopo giorno, testimoniandoli e insegnandoli a ciascuno di noi. Per questo la vostra è una stanchezza benedetta!     È quello che, in altre parole, Gesù dice nel Vangelo rivolgendosi direttamente a ciascuno di noi: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita». Egli conosce la nostra stanchezza ma è singolare il ristoro che promette. Non si tratta di un riposo fisico e neppure, per così dire, di una tranquillità psicologica. Si tratta di essere consapevoli che il peso che noi portiamo – e che certamente continueremo a portare – è un «giogo». Il termine è inusuale ma decisivo. Sappiamo che il giogo è il legame che unisce due buoi tra loro: da una parte esso permette la condivisione della fatica, dall’altra fa sì che nessuno possa muoversi indipendentemente dall’altro. Qualora questo si verificasse, infatti, ci sarebbe non solo un grande dolore fisico ma addirittura il rischio di soffocamento. È un’immagine seria, esigente e coinvolgente. Ma è un’immagine bellissima! «Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero», aggiunge, infatti, Gesù. È un «giogo», cari amici. È un giogo quello che vi unisce a coloro che voi servite, agli stranieri, ai migranti, ai profughi. È come se voi sentiste che la vostra vita è legata alla loro, che sono per loro i vostri gesti, le vostre scelte, le vostre stesse stanchezze, che è per loro quella lontananza dalla famiglia, anche a Natale… ecco, tutto questo fa del vostro servizio un modo di celebrare il Natale, rispettando il mistero della vita, la cui sacralità mai dobbiamo tradire. Si tratta di un messaggio che voi offrite a tutti, che è per tutti gli uomini, perché tutte le vite umane debbono riscoprirsi legate tra loro da un giogo, non separate dall’indifferenza! Ma questo giogo è di Gesù: lo dice Lui, è il «mio giogo». È il giogo che unisce, che lega Lui ad ogni vita umana. Lui vive per noi, Lui soffre con noi: la sua passione dura fino alla fine dei tempi, diceva Pascal. Ogni rifiuto della vita, ogni esclusione, ogni violenza e ogni strappo toccano la Sua Carne e il Suo Cuore, mite e umile. Sì, voi state condividendo il giogo di Gesù e questo giogo, in ultimo, unisce voi stessi al Signore: in Lui, come dice Isaia, noi possiamo «correre senza affannarci, camminare senza stancarci». In Lui avete la forza di portare avanti il vostro compito, di operare notte e giorno, affrontando il rischio della vita e il dramma del mare. Il mare, nella Bibbia, è sinonimo di peccato, paura, solitudine, morte… è un’immagine negativa che il Cristo, però, trasforma in modo splendido. Se ci pensiamo bene, le scene più belle della vita pubblica di Gesù si svolgono proprio sul mare: pensiamo solo alla pesca miracolosa, alla tempesta sedata, alle apparizioni dopo la Risurrezione, ai tanti Discorsi, particolarmente quello sulle Beatitudini.   Carissimi, risuonano per noi le parole del Vangelo di oggi: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita». Gesù vince la nostra stanchezza regalandoci la beatitudine della mitezza. È una beatitudine particolarmente significativa per chi, come voi, raccoglie le conseguenze terribili dei conflitti, delle guerre, dell’odio, dell’ingiustizia, della povertà e le trasforma in solidarietà, prossimità, fraternità, pace. Sì, la mitezza è la forza di chi non risponde al male con il male, di chi sa attendere pazientemente che il bene trionfi ma, nell’attesa, continua a operare il bene, a seminare amore, anche dinanzi al fallimento e all’incomprensione, anche dinanzi alla stanchezza. Siamo vicini al Mistero del Natale e il Dio Bambino, venendo nel mondo, ci fa riposare in Lui, ci lega al Suo giogo che non toglie la stanchezza ma la trasforma in carità. È il vostro quotidiano operare. Per questo, diciamo grazie al Signore e a voi, uomini e donne della Capitanerie di Porto. Continuate ad operare così, in questa carità: insegnerete al mondo che non stancarsi di dare la vita a servizio della vita è il modo, l’unico modo, di celebrare il Natale del Signore. Buon Natale, cari amici. Il Signore che nasce vi benedica e vi ricompensi per il bene che siete e che fate.X Santo Marcianò