Messa del Crisma, Basilica S. Maria degli Angeli e dei Martiri, Roma 13 aprile 2022

13-04-2022

Carissimi confratelli presbiteri, cari fratelli e sorelle,

è sempre un dono celebrare la Messa Crismale, appuntamento unico per ogni vescovo, per ogni presbitero, per i cari seminaristi, per i consacrati e le consacrate, per il popolo di Dio. Nella nostra Chiesa, sappiamo come questa rappresenti una delle poche occasioni di incontro tra voi cappellani militari, sparsi nella nostra Nazione e all’estero; alcuni oggi non sono presenti, proprio perché chiamati a esercitare il ministero a servizio dei militari impegnati in missioni internazionali o in navigazione. Accogliendovi tutti, saluto con speciale affetto e nella preghiera ciascuno di loro e tutti coloro che non possono essere presenti per vari motivi.

Da una parte, la nostra Celebrazione ci fa vivere la dolcezza del ritrovarsi come presbiterio, dopo il tempo in cui le restrizioni pandemiche hanno limitato ancor più i nostri incontri; e, se è vero che quest’anno, ci è stato dato di vivere assieme il Corso di aggiornamento di Assisi e ci prepariamo con gioia al Pellegrinaggio Militare Internazionale a Lourdes, è vero che la Messa Crismale è l’incontro più significativo, è la Celebrazione sacerdotale per eccellenza.

Dall’altra parte, il nostro cuore è colmo di amarezza: al dramma della pandemia, non ancora spento e del quale abbiamo solo iniziato a misurare le conseguenze, si unisce la tragedia della guerra che ha travolto la Russia e l’Ucraina, l’Europa e il mondo. È un sottofondo di amarezza, un carico di dolore.

Viviamo, per così dire, una globalizzazione di dolore che non può lasciare indifferente nessun presbitero, soprattutto chi, come noi, ha consegnato a Dio il proprio sacerdozio affinché Egli lo renda strumento di accompagnamento, sostegno, santificazione per i militari, interpellati più di altri tanto dall’emergenza pandemica quanto da ogni minaccia di guerra.

Mentre all’Altare del Signore rinnoviamo le Promesse sacerdotali, vogliamo pertanto chiederci cosa significhi, in questo oggi di dolore, fare memoria della vocazione. Lo facciamo attraverso le risposte alle interrogazioni previste dalla Liturgia, cercando, con l’aiuto della Parola di Dio e alla luce del Mistero della Santissima Trinità, di far risplendere il volto del sacerdozio, nella sua essenza di «sacramento». Lo facciamo in tre punti, seguendo la bella intuizione di S. Agostino sulla Trinità:

  1. Rinnovare il sacramento – il Figlio, l’Amato
  2. Dispensare i sacramenti – il Padre, l’Amante
  3. Essere sacramento – lo Spirito, l’Amore

 

  1. Rinnovare il sacramento – Il Figlio, l’Amato

«Lo Spirito del Signore… mi ha consacrato».

Chi parla, nel Vangelo (Lc 4,16-21), è Gesù. Il Consacrato è Lui. E oggi «la santa Chiesa celebra la memoria annuale del giorno in cui Cristo Signore comunicò agli apostoli e a noi il suo sacerdozio. Volete rinnovare le promesse?», vi chiederò.

Gesù, il Figlio, il Consacrato, comunica il Suo sacerdozio; e comunicare non è semplicemente dire o dare, ma condividere. Il nostro è lo stesso sacerdozio di Cristo, è il Suo stesso Cuore di Figlio-Amato.

Mi chiedo e vi chiedo: vogliamo oggi ri-accogliere questo Amore che ci ha preceduto, amato, chiamato?

Vogliamo prometterGli ancora il nostro cuore?

Sulla soglia del Triduo Pasquale, nell’oggi della storia, cerchiamo di rispondere con il cuore aperto, spalancato sul mistero del dolore, a immagine del Cuore di Gesù, che entra nel Mistero della Sua Passione come dentro a un abisso di cui Egli stesso quasi non coglie le dimensioni, consapevole però di volerci entrare per amore di ogni uomo. Dinanzi all’abisso del dolore umano, come Cristo e in Lui, il prete non può tirarsi indietro né sottrarre il volto.

Così, la domanda sul dolore umano si concretizza nella domanda sul nostro dolore; sul rapporto che, come sacerdoti, come figli nel Figlio-Amato, viviamo con la sofferenza, il fallimento, la malattia, la crisi e con lo stesso mistero della morte. Se accolto con il Cuore di Cristo, ovvero nella certezza dell’essere amati, il mistero del dolore trasfigura il nostro volto, lo rende simile al volto del Servo Sofferente, e così, solo così, dona luce a tutti gli altri volti sfigurati dalla sofferenza, dalla violenza, dalla fame, dalla disperazione. Nel volto di dolore del Cristo, c’è qualcosa di «sacerdotale» che ci deve attrarre, con la stessa forza di Colui che, innalzato, attira tutti a sé. «Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero», abbiamo ascoltato dalla seconda Lettura (Ap 1,5-8).

In un tempo in cui la vocazione del presbitero è spesso sfigurata da orribili scandali e dallo scandalo della superficialità o della mediocrità, il Volto di Cristo Sacerdote, crocifisso ogni giorno nell’umanità trafitta dal dolore, dalla disumanità della guerra, dall’enigma della morte, ci offre la possibilità di rinnovare il “Sì” alla promessa per ri-trovare, in Lui, il nostro vero volto.

E la domanda è posta alla nostra volontà: «vuoi»? Rispondere è entrare nella volontà di Gesù, nella sua obbedienza fino alla Croce. L’obbedienza è il cuore del sacerdozio, l’unico “voto”, ma li impregna tutti. È trasfigurazione, maturazione, luminosità della volontà perché è obbedienza di figlio, volontà di figlio.

«Lo voglio», ho risposto nel giorno dell’Ordinazione. Con Gesù, devo rinnovare la volontà, sentire nell’intimo che “lo voglio” ancora. Che la volontà espressa nelle promesse sacerdotali, sebbene usurata dalla vita, passata al vaglio delle crisi, messa in crisi dalla sofferenza, è in me ancora viva, reale. È volontà di figlio nel Figlio, che fa la volontà del Padre.

 

  1. Dispensare i sacramenti – Il Padre, l’Amante

E quanto è importante, per un prete, penetrare la comunione nella volontà tra Padre e Figlio!

Il Padre, che tanto ama il mondo, ci dona, come Gesù, al mondo; ci manda «a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore». Come Gesù, tuttavia, noi capiamo di non poterlo fare, di non essere capaci di dare fino in fondo una risposta al dolore umano, senza assumerlo in noi.

La volontà del Padre è l’Amore, non la sofferenza e la morte del Figlio; ma, in certo senso, soffrire e morire è volontà del Figlio: amare fino a soffrire e morire.

La volontà di Gesù, infatti, si misura e si plasma sul mistero del dolore umano che Egli ha visto, toccato, accarezzato, guarito e che ora deve definitivamente vincere, assumendolo su di sé. La morte in Croce, così, diventa una sacerdotale offerta del Figlio che si affida al Padre, nella certezza che la Volontà del Padre è l’Amore che non muore; e il Padre accoglie questa volontà, accoglie il Figlio colmandolo dell’Amore che, nella Croce e nella Risurrezione, dona la vita al mondo. Entrare nella Passione, per Gesù, è davvero entrare nella volontà di amore del Padre per il mondo, portando a compimento ciò che era stato il Suo entrare nel mondo. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Non è evento del passato; l’Amore concreto del Padre dona oggi la vita con i sacramenti, dunque attraverso il sacerdozio. «Volete essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio lasciandovi guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i vostri fratelli?».

Celebrare l’Eucaristia, la Riconciliazione, gli altri sacramenti è lasciarsi attraversare dall’Amore con cui il Padre ama, risana, consola, perdona, restituisce vita. Il nostro «Sì» oggi è l’offerta rinnovata e bella di un sacerdozio che si compie ed è «olio» che unge tante altre vite che si rinnovano con l’aiuto della Grazia.

È un miracolo contemplare tale rinnovamento nella vita dei nostri militari, aiutarli a crescere non solo nella fede personale ma anche in un servizio che diventa capacità di dono, giustizia, perdono, e li fa maturare nel ministero di pace cui sono chiamati. Il vostro ministero di cappellani è apprezzato, desiderato, cercato da tutti loro. Lo verifico continuamente, anche negli ultimi viaggi nelle diverse regioni per le Celebrazioni in preparazione alla Pasqua. E per questo vi dico grazie!

Sì, in questo tempo in cui anche la guerra, come ha affermato Papa Francesco, continua a crocifiggere Cristo, la risposta non sta nel pacifismo vuoto, superficiale, irreale, ma nel lasciare che l’Amore raggiunga i cuori umani, per trasformare le lance in falci, la vendetta in perdono, l’odio in amore, la guerra in pace. Di questo amore, anche i militari sono e devono essere strumento. E voi, cari cappellani, siete e dovete essere ministri di questo Amore, affinché il Padre-Amante invada i cuori dei nostri militari e di coloro che essi incontreranno.

 

  1. Essere sacramento – lo Spirito, l’Amore

«Volete unirvi intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a voi stessi e confermando i sacri impegni che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto liberamente verso la sua Chiesa?». La terza domanda ci porta nell’intimità. Perché senza intimità non si ama e non c’è carità.

Il prete deve tenere il cuore aperto a un amore che lo pervade nell’intimo – corpo, spirito, sentimenti – e si nutre di vicinanza, confidenza, familiarità. In una parola, occorre far circolare in noi l’Amore Trinitario.

«La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui»: Davide canta (Salmo 88) il «per sempre» dell’amore di cui fa esperienza; canta nel Salmo, nella preghiera. La domanda sull’intimità è domanda sulla preghiera, luogo in cui si impara a rinunciare a se stessi, aprendo il cuore allo Spirito che ci trasforma fin nell’essere: ci fa “essere sacramento”, segno luminoso e autentico di un Oltre, di un Altro al quale, nell’intimità, abbiamo accesso, del quale siamo trasparenza.

È qui la domanda sulla mia preghiera di prete; sui tempi e i modi, sullo spazio che lascio al “Tu” di Dio, sul dialogo e la relazione con Lui, sull’adorazione e l’ascolto della Sua Parola.

Siamo nel tempo del Sinodo. E desidero ringraziare tutti voi per il lavoro preparatorio che state facendo e per i materiali che avete già inviato dalle zone pastorali. È impegno che continuerà ma ora siamo, in particolare, nella fase dell’ascolto del popolo di Dio. Ecco: ascoltando la Parola ci rendiamo docili anche a ogni altro ascolto; ci rendiamo docili, sensibili, ad ascoltare il grido di dolore che attraversa il mondo. Un dolore che, ascoltato nello Spirito Santo, ritorna come preghiera di intercessione e, grazie allo Spirito, si riverbera come mistero di comunione.

Per rispondere alla globalizzazione del dolore serve, per così dire, una sinodalità nel dolore. Non possiamo farcela da soli! Noi preti, chiamati, come Gesù, ad assumere il dolore umano, non possiamo farcela da soli. Serve la comunione, serve una sorta di sinodalità presbiterale – che non è escludente e nulla ha a che vedere con quello che il Papa chiama clericalismo! – ma è fraternità forte e generativa, lievito di sinodalità nella Chiesa e nel mondo; è frutto dello Spirito Santo!

 

Cari confratelli, con semplicità e gioia, rinnoviamo oggi le nostre promesse, certi che sta qui la risposta anche al dolore del nostro tempo, al dramma della guerra e della pandemia, alla morte che rimane scandalo e mistero.

Facciamolo insieme, facciamolo “in sinodo”!

È la risposta a tutto. È la risposta del Mistero Trinitario che si dona a noi nel sacramento, si comunica agli altri come sacramento, ci rende sacramento dell’Amore che non muore. E così sia!

Santo Marcianò

 

 

 

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima lettura   Is 61,1-3.6.8b-9

Salmo responsoriale  Dal Salmo 88

Canterò per sempre l’amore del Signore.

Seconda lettura   Ap 1,5-8

Vangelo   Lc 4,16-21