Monte Piana (dolomiti di Sesto), domenica 19 luglio 2015, Omelia nella Celebrazione a ricordo dei caduti della Prima Guerra Mondiale

02-09-2015
Carissimi fratelli e sorelle, «Cristo è la nostra pace»!

Il grido di San Paolo nella seconda Lettura (Ef 2,13-18) ci raggiunge in questo luogo e in questo giorno in cui ricordiamo la tragedia della Prima Guerra Mondiale. Siamo sul Monte Piana, cento anni fa postazione strategica per gli eserciti austriaco e italiano, teatro di tanti scontri che hanno visto più di più 14.000 morti, tra i quali il maggiore Bosi, che voi ricordate in modo speciale. Ancora una volta facciamo memoria del primo grande conflitto mondiale e lo facciamo per imparare a riconoscere gli allarmanti segni che possono portare a sacatenare la logica della guerra nel nostro tempo e, soprattutto, nel nostro cuore.Sì, la guerra nasce dallo squilibriodel cuore, come ha ricordato Papa Francesco a Redipuglia il 13 settembre scorso. La guerra nasce dalla rottura di un equilibrio tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e se stesso, tra l’uomo e gli altri, tra l’uomo e il creato. E questo squilibrio della relazione con il creato riecheggia con particolare contrasto dinanzi all’armonia di queste cime splendide delle nostre Dolomiti che, nella loro bellezza, sono fatte per la contemplazione e non per ladevastazione, sono luoghi nei quali si intensifica la comunione e non la rivalità tra fratelli. «Quando il cuore è veramente aperto alla comunione universale, niente e nessuno è escluso da tale fraternità», scrive Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato si’. E continua: «Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono questioni del tutto connesse.[…]. Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra»[1]. Papa Francesco ci dice che è “la comunione” il segreto di quell’equilibrio secondo il quale ogni cosa e ogni persona acquista il posto e il senso che le è proprio all’interno della creazione. Comunione, infatti, significa rispetto, non uso; inclusione, non scarto; sviluppo, non manipolazione; contemplazione, non devastazione. E non è forse questo l’equilibrio della pace?   La Parola di Dio, oggi, ci fa riprendere proprio tale prospettiva.La prima Lettura (Ger 23, 1-6) parla del re «saggio» come di colui che esercita «il diritto e la giustizia», il che permette a un popolo di vivere tranquillo, in pace. Ma, affinché il re sia capace di guidare così il suo popolo, il criterio che viene offerto non è apprendere grandi strategie militari o politiche ma imparare dal pastore. Si tratta di un’immagine che focalizza il rapporto dell’uomo con la natura; evidentemente, di un’immagine allegorica, tuttavia reale e significativa per il popolo di Israele, popolo di pastori, come pure, potremmo dire, per il popolo degli alpini. Il pastore, infatti, è colui che guida le pecore, le va a riprendere anche nei luoghi più scoscesi e impervi, le raggiunge e le salva dai pericoli…Il pastore, il vero pastore, ha cura delle pecore, ha come obiettivo farle pascolare, cioè condurle pensando al loro nutrimento, alla loro sopravvivenza, alla loro crescita, al loro bene integrale. Non è degno di essere chiamato pastore – dunque non è degno di essere chiamato re o, in genere, responsabile di un popolo– chi affami invece di pascere, chi disperda invece di radunare, chi scacci le pecore invece di preoccuparsene, chi scarti invece di includere, chi pensi a se stesso piuttosto che al gregge. La costruzione della pace ha bisogno di guide illuminate, di autorità costituite che vivano il rapporto con i cittadini come cura e preoccupazione; in una parola, come «comunione».   Ma questa prospettiva non basta. Il problema della guerra –lo ricorda Paolo nella seconda Lettura (Ef 2,13-18) – è, nel piccolo, la costruzione di «muri», è l’«inimicizia». Costruire «ponti» non «muri»! Il Papa lo ha raccomandato qualche giorno fa anche agli scouts. Sì, cari amici: abbiamo tutti e sempre bisogno di riconciliazione!Ce lo grida questo Monte Piana, ce lo grida il Giubileo della Misericordia che sta per aprire le porte. Riconciliazione tra popolo e popolo: non possiamo continuare a restare indifferenti verso le angosce, le privazioni, le violenze, le guerre di altri popoli fratelli. Escludere coloro che chiamiamo stranieri significa, se ci pensiamo bene, costruire altre trincee come quelle che qui, nella prima Guerra Mondiale, diventavano linee di morte. Eppure anche allora le trincee potevano diventare luoghi di fraternità, di attenzione all’altro, tentativi di risparmiare la vita al nemico, teatro di gesti di pietà impensabile… Ai nostri giorni, il mondo militare, soprattutto quello italiano, sta portando al mondo un messaggio chiaro di rifiuto dei confini visti come trincee di guerra: un messaggio di accoglienza e abbattimento dei muri, che è un prezioso, indispensabile, fecondo seme di pace. E questo va gridato con forza, assieme al grazie. Si tratta di un impegno non facile di fronte al quale tutti, inutile dirlo, ci sentiamo fragili. Non dobbiamo, però, perdere la speranza. Gesù lo sa, conosce la nostra povertà e il nostro cuore. È Lui, dunque, che prende su di sé la Croce, cioè la missione di abbattere i muri in noi. Gesù ci aiuta a sviluppare stili di vita che distruggano l’inimicizia: il dialogo, come crescita nella propria identità e rispetto dell’identità dell’altro; la sobrietà, come superamento dell’egoismo e attenzione al bene comune; l’umiltà, come antidoto al senso indiscriminato di dominio sulle cose e le persone. Ma – come scrive il Papa – «non è facile maturare questa sana umiltà e una felice sobrietà se diventiamo autonomi, se escludiamo dalla nostra vita Dio e il nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività a determinare ciò che è bene e ciò che è male»[2].   Dobbiamo, dunque, recuperare la relazione con il Signore e il Vangelo di oggi (Mc 6,30-34) ci invita a farlo: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un poco». Mentre facciamo memoria di una Guerra, evento di crudeltà e morte, ci sentiamo spinti al silenzio e alla contemplazione, per sentire come, nonostante il passato, la speranza ha vinto e sempre vince. La Prima Guerra Mondiale è finita ma le tante guerre che ancora infuriano, le tante inimicizie che ci avvelenano il cuore, i tanti muri di ingiustizia che costruiamo, hanno bisogno, per essere sconfitti definitivamente, anche dell’alfabeto della contemplazione. «Il mondo è qualcosa di più di un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode»[3], leggiamo ancora nella Laudato si’: «La natura è piena di parole d’amore»[4]. L’ascolto della natura educa alla fraternità e all’amore. È stata questa l’esperienza dei discepoli di Gesù, partiti per una sosta di riposo ma poi travolti, con Lui, dai bisogni della gente, di quelle pecore sensa pastore che, ieri come oggi, desiderano qualcuno che si prenda cura di loro. Anche voi alpini, voi militari, dite così il vostro «no» deciso a ogni guerra, prendendovi cura delle persone come dell’ambiente e imparando dall’amore per le vette, per la natura, per il creato, a crescere con un cuore come quello di Gesù, la cui «compassione» per i bisogni e le sofferenze degli altri va oltre tutto, oltre i propri interessi, oltre il proprio riposo, oltre la propria vita. Sì, cari amici, dalla contemplazione alla compassione. Finché ci saranno uomini così, uomini che – come voi alpini, come tanti militari – vivono la compassione e la comunione universale, la guerra non avrà futuro, come sussurra, oggi, questo splendido Monte.  X Santo Marcianò


[1] Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, n. 92
[2] Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, n. 224
[3] Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, n. 12
[4] Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, n. 225