Omelia alle esequie del Sottocapo di Marina Alessandro Schettini

26-07-2016
 Ostuni – 19 marzo 2016

 Carissimi fratelli e sorelle, siamo qui in un momento di grande dolore; un momento difficile che mette alla prova la nostra fede e la speranza e ci chiede di stringerci gli uni agli altri con la carità, con l’amore fraterno che, solo, può dare un po’ di consolazione nel buio della morte. Sì, accompagnando in cielo il nostro fratello Alessandro, ci sentiamo ancora più fratelli. In questa Liturgia celebriamo San Giuseppe. E il dolore, l’angoscia che viviamo, che il padre di Alessandro vive, ha abitato pure il Suo cuore di padre, nel Vangelo che abbiamo ascoltato, il famoso episodio dello smarrimento e ritrovamento di Gesù nel Tempio (Lc 2,41-51). Maria e Giuseppe hanno perso Gesù; una coppia di giovani sposi ha perso il figlio, poco più che bambino, e non riesce a ritrovarlo: ecco l’«angoscia». Anche noi viviamo l’angoscia di aver perso Alessandro! Lo hanno perso i colleghi con cui lavorava, perfezionando sempre più il suo bel curriculum e preparandosi sempre meglio a svolgere il proprio servizio. Lo hanno perso i suoi superiori, la “sua” Marina Militare, che lo piange assieme alla famiglia delle Forze Armate: il Capo di Stato Maggiore della Difesa e il Capo di Stato Maggiore della Marina hanno espresso il dolore di tutti. Lo hanno perso gli amici vecchi e nuovi. Soprattutto, lo hanno perso i familari, lo ha perso il papà, come quel giorno Giuseppe perse Gesù tornando dal Tempio. Egli, assieme a Maria, aveva percorso tutta la carovana di pellegrini ma, del Figlio, nessuna traccia. Allora, Maria e Giuseppe, decisero di tornare indietro, di ripercorrere il cammino. Così, riuscirono a ritrovarLo. In momenti come questo, in cui anche noi abbiamo perso un figlio, per ritrovarlo dobbiamo tornare indietro: alla memoria, al passato, alla nostalgia; a un ricordo che fa male ma, proprio per questo, è ancora vivo. La stessa prima Lettura (2 Sam 7,4-5.12-14.16) ci invita a tornare indietro, fino alla «discendenza di Davide», rileggendo la storia dalla quale è nato Giuseppe, dunque la storia dalla quale è nato Gesù. Anche tu, padre, e voi, amici, nel tornare indietro con il cuore, potete arrivare a rileggere la storia che ha portato alla vita di Alessandro, al susseguirsi di eventi e situazioni che vi hanno permesso di accoglierlo o incontrarlo, di amarlo e di condividere con lui un tratto di cammino. È un tornare indietro nella nostalgia e nel dolore straziante ma anche nella fede nel Dio che, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura (Rm 4,13-16-18.22), «chiama all’esistenza le cose che non esistono». Tornare indietro, dunque, significa riscopire come l’esistenza di Alessandro sia stata per molti, per tutti noi, un dono di Dio; dono unico e irripetibile, che ha cambiato anche la nostra vita.   Maria e Giuseppe, tornando a Gerusalemme, trovano Gesù nel Tempio, in pieno svolgimento della Sua missione. Egli stesso lo afferma con tono deciso: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Sì, Gesù si perde, si allontana dai genitori, per compiere la Sua missione. Insegna nel Tempio, annuncia; potremmo dire che si “esercita” nel compito sempre nuovo che Lo attende, proprio come stava facendo Alessandro. Tuttavia, nonostante il ritrovamento di Gesù, dal racconto evangelico non traspare una grande gioia. Il Figlio torna a casa con loro, ma è come se sui genitori sia calato e rimanga un velo di angoscia. Forse essi sentono in cuore qualcosa di nuovo, quasi percepiscono in anticipo che perderanno in modo più drammatico quel Figlio; forse capiscono che, se è vero che nessun figlio appartiene al padre e alla madre che lo hanno generato e prima o poi deve staccarsi da loro, è vero che chi si spende e si dona per amore degli altri – come Gesù, come Alessandro – vive quasi una dimensione diversa, più lontana dal mondo e dai propri cari, perché la sua vita è riservata a una causa, a un compito esigente e totalizzante. Il Figlio di Maria e Giuseppe, totalmente appartenente alla Sua missione, morirà poco più che trentenne, per portare fino in fondo quella missione che il Padre Gli ha affidato, servendo la vita degli altri al prezzo della propria vita. È il mistero della Passione di Gesù, che rivivremo in modo particolare da domani, nella Settimana Santa. È il mistero della passione che ha animato la vita e il servizio di Alessandro: una passione per il suo mondo, per la sua missione. Una passione totalizzante, vissuta nel servizio della Marina Militare, nelle missioni umanitarie, nelle emergenze, nelle missioni di pace in Libano… una passione che gli ha meritato elogi e onorificenze. Una passione radicata nella passione per l’uomo, per la sua difesa e protezione, per la custodia della sua vita; e custodire, se ci pensiamo bene, è stata proprio la vocazione e la passione di San Giuseppe. Custodire! È una vocazione, una passione che, in modo forte e quasi inspiegabile, anima profondamente tanti militari, pronti davvero, come Alessandro, a offrire la propria esistenza per salvare quella altrui: per difendere bambini, per proteggere persone, per salvaguardare il creato, per non respingere nessuno e non ergere muri, per accogliere tutti, particolarmente gli stranieri, oggi in fuga da fame e violenze, che ci tendono la mano; per portare fraternità e pace dove l’odio non genera che guerra. Una missione che, in molti di loro come in Alessandro, non ha temuto di andare fino in fondo, fino al dono della vita, fino alla morte che anch’egli ha trovato poco più che trentenne. E in un mondo individualista e attento all’apparenza, al denaro, al potere, una giovane vita che si spezza così, nella fedeltà a un compito svolto con amore e per amore degli altri, ci lascia ammirati e commossi. Anch’io sono ammirato e commosso, lo dico da padre e, da padre, percorro con voi quella Via Crucis che, proprio in questi giorni, rivivremo con Cristo. Una Via Crucis che si è svolta rapidamente per Alessandro, negli ultimi istanti che hanno ricapitolato la sua esistenza, permettendogli di morire come ha vissuto; una Via Crucis che rimane da compiere a noi, a suo padre, alla sua famiglia, alla comunità della Marina Militare, a tutti coloro che devono continuare il cammino della vita caricati dalla croce della separazione da lui. Ma è lui, è Alessandro che ci aiuta a portare la croce perché egli l’ha riempita di senso e, come Gesù, ci ha insegnato che essa è mistero di amore che vince su tutto, anche sulla morte.   Carissimi fratelli e sorelle, è l’amore che vince su tutto. E l’amore di Alessandro per la sua missione militare, per la gente che egli era chiamato a servire, è stato davvero più forte della morte. Pe questo, piangendo ti vogliamo dire grazie, Alessandro caro, perché, assieme a tanti tuoi compagni militari, sei testimone di un amore così. Ti dico grazie io, con la Chiesa dell’Ordinariato Militare; ti dice grazie la Marina italiana e tutte le Forze Armate, raccogliendo il tuo esempio; ti dice grazie la gente, ti dice grazie la tua famiglia, il tuo papà il quale, pur nel dolore, è fiero di un figlio che è stato capace di non rispondere alla violenza con la violenza, di non respingere ma di custodire, come fanno i nostri militari, come fa un vero padre quale tu, in poco tempo, sei diventato. Oggi ti accoglie in cielo San Giuseppe, Colui che Gesù stesso ha avuto come Padre e Custode; e ci consola pensare che Egli è Patrono di chi, come te, vive il proprio lavoro con onestà, dedizione, donazione, fino al dono della vita; che Egli è pure Protettore della “buona morte”. Ti affidiamo a Lui, perché ora custodisca te, come ti ha custodito il padre terreno; lui oggi ricorda con dolore ma anche con gratitudine il dono della tua vita, mentre tu incontri, in cielo, l’abbraccio di tua madre e diventi, per tutti noi, segno dell’abbraccio di Dio che avvolge chi sa vivere la propria vita come servizio d’amore ai fratelli, risorgendo con Lui nella gioia della Pasqua senza fine. Tu lo hai fatto, Alessandro. Aiuta a farlo anche noi. Ti abbracciamo. E così sia!  X Santo Marcianò

Arcivescovo