Omelia dell’Arcivescovo per la Messa della Virgo Lauretana a Santa Maria Maggiore (12-12-2017)

13-12-2017

Carissimi fratelli e sorelle, è proprio vero che se si vuole capire qualcuno, si devono cercare le sue radici, dunque guardare al tempo, al luogo, al grembo che lo hanno generato. Celebrare la Madonna di Loreto significa ritrovarci all’origine della vita terrena di Gesù, nella Santa Casa in cui il “Grembo” della Vergine, come aveva già profetizzato Isaia (Is 7,10-14), si apre al Mistero della Maternità, per accogliere la vita di Gesù e il suo messaggio evangelico e trasmetterlo di generazione in generazione, di tempo in tempo, di luogo in luogo. La nostra generazione accoglie questo messaggio, incarnandolo nell’oggi della storia. Lo accogliete voi, cari amici dell’Aeronautica Militare, che saluto con affetto, stima, ammirazione. Voi, oggi, accogliete il messaggio evangelico per portarlo ad altri, con la stessa passione e forza con cui, potremmo dire in modo figurato, gli angeli hanno portato la Santa Casa nella nostra terra d’Italia. Penso all’oggi della nostra terra, della Nazione italiana, per la quale svolgete compiti istituzionali di difesa dei cieli e di vicinanza ai cittadini, nelle diverse emergenze di soccorso o di calamità naturali, ma anche in servizi della quotidianità come la meteorologia, o in celebrazioni ufficiali e solenni grazie a corpi specializzati quali le Frecce Tricolori… Penso all’oggi della storia di altri popoli, alla vostra presenza in Missioni estere per la pace, mentre il pensiero si proietta alla fragile situazione internazionale. Come non portare ai piedi di Maria la preoccupazione per l’attuale conflitto a Gerusalemme che genera apprensione e produce scontri violenti e morti, dividendo il mondo in due parti e compromettendo ancora di più il raggiungimento di equilibri di pace, purtroppo già precari. Tante volte voi, militari dell’Aeronautica Italiana, siete coinvolti in conflitti internazionali, per portare alle popolazioni aiuti, difesa, formazione, aprendo la strada a opere di giustizia, solidarietà e fraternità, spesso attraverso il dialogo con culture e religioni diverse: un ambito, questo, che sempre più si scopre necessario alla costruzione della pace. Lo ha richiamato Papa Francesco in questi giorni, proprio invocando il rispetto della natura religiosa di Gerusalemme, città considerata Santa dalle principali fede monoteiste… Vedete, l’opera della pace è variegata e richiede uomini di pace; per questo penso anche alla vostra attenzione formativa e vi confesso che resto sempre ammirato dinanzi alla realtà delle strutture educative dell’Aeronautica, alle Scuole, alle Accademie… Ne sono convinto: la formazione è tanto più curata quanto più è radicato il rispetto della dignità umana, l’attenzione antropologica, l’anelito di trasmettere valori decisivi per il futuro dell’umanità. L’umano è in pericolo, lo vediamo in più ambiti! E il primo compito di chi lavora per le Istituzioni, tanto più in contesto di Difesa, è proprio la difesa dell’uomo, della sua vita, della sua sicurezza, della sua libertà e della sua fraterna pace. Una difesa alla quale l’educazione non è estranea, anzi è necessaria. Il vostro campo di azione, dunque, è straordinariamente ampio e il vostro rivolgervi a Maria testimonia il desiderio di farne un’ampia testimonianza evangelica.   La Parola di Dio, oggi, offre le coordinate attraverso le quali operare: le offre a voi come militari, le offre a noi come persone, le offre a noi, oserei dire, come comunità. È una sottolineatura di grande importanza; si parla spesso di famiglia dell’Aeronautica ma il mondo militare è anche una porzione di Chiesa – la Chiesa Ordinariato Militare -, è una comunità. Che dono! E che responsabilità! E a una comunità si rivolge San Paolo nella seconda Lettura (Gal 4,4-7): comunità di «figli riscattati», liberati dalla schiavitù; e liberati per poter gridare «Abbà, Padre». Per vivere l’esperienza trascendente della Paternità di Dio e la comunione tra fratelli. La Chiesa “è” comunione; Dio è, in Se Stesso, comunione. E se è vero che tutto quanto viene da Dio necessita della comunione per diventare vita, è anche vero che le opere umane richiedono la comunione per essere veramente a servizio di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Nel Salmo abbiamo cantato il Magnificat, dove Maria si definisce proprio come Colei che serve, la cui caratteristica è l’umiltà. «Umiltà – ha detto il Papa in una recente Omelia a Santa Marta (4 dicembre 2017) – è essere piccolo, come il germoglio, piccolo che cresce ogni giorno, piccolo che ha bisogno dello Spirito Santo per poter andare avanti, verso la pienezza della propria vita», egli ha osservato, specificando che «l’umiltà senza umiliazioni non è umiltà. Umile è quell’uomo, quella donna, che è capace di sopportare le umiliazioni come le ha sopportate Gesù, l’umiliato, il grande umiliato». Quante umiliazioni, a volte, ci affliggono, arrivando persino a ostacolare il nostro cammino personale e lavorativo! Basti pensare a realtà quali la maldicenza, la calunnia, l’invidia o l’arrivismo, che avvelenano i rapporti umani in ogni ambito: familiare, professionale, ecclesiale… La risposta è l’umiltà. La risposta è sopportare queste umiliazioni, cioè non usare mai la stessa moneta; credere che l’umiltà ci fa andare avanti, anche più avanti di altre apparenti rivalse, perché fa del nostro compito un fraterno servizio alla pace.   Ma il Vangelo (Lc 1,26-38) suggerisce ancora una parola, indispensabile alla fraternità, alla comunione, alla pace… indispensabile all’umiltà. È la gioia! Se ci pensiamo bene è proprio così: solo chi è umile sa comprendere la grandezza della gioia, sa vivere la dimensione della gratitudine che è la porta della gioia. «Rallegrati!». È il modo in cui l’angelo saluta Maria, chiamandola «piena di grazia». Ed è interessante considerare come le parole «rallegrati» e «grazia» abbiano in greco la stessa radice: chairèchàris. Oggi, per certi versi, si è persa la capacità di gioire, forse anche perché siamo chiusi alla grazia. E siamo chiusi alla grazia per un individualismo spietato, che ci convince di non aver bisogno dell’altro, neppure di Dio. Chiusi alla grazia perché chiusi alla carità. D’altra parte, il gioco di parole chairè – gioia e chàris – grazia conduce alla caritas, la carità, l’amore. Maria parte dall’umiltà e arriva alla carità, passando attraverso la gioia, perché si lascia riempire, trasformare dalla grazia di Dio. E questo, cari amici, vale anche per noi. La grazia non è un elemento addizionale per anime particolarmente pie: la grazia è una forza positiva, bella, che trasforma gradatamente nel cuore i sentimenti di odio e vendetta, il tornaconto e l’interesse personale, trasforma l’invidia e la gelosia, trasforma la durezza del cuore per metterci veramente a servizio del prossimo e del bene comune. La grazia ha solo un ostacolo che Papa Francesco considera inguaribile e contro il quale voi lottate: la corruzione, proprietà del cuore umano che diventa, egli ha affermato a Cesena (1 ottobre 2917), «il tarlo della vocazione politica e non fa crescere la civiltà».   Cari amici, mi ritorna alla mente la domanda che Pilato pone a Gesù: «Di dove sei tu?» (Gv 19,9). Anche noi oggi ci facciamo rivolgere questa domanda, che fa verità dentro e fuori di noi. D’altra parte era stato lo stesso Pilato a chiedere al Cristo: «Che cos’è la verità?». In questo tempo, la verità è oscurata, rinnegata, fatta presa del soggettivismo relativista… mi verrebbe di dire che la verità – la nostra verità personale e la verità oggettiva, scritta in modo speciale e splendido nel libro della natura –, è vittima della corruzione che lede la dignità della persona, degrada l’ambiente, mina le fondamenta della città dell’uomo. Per capire chi siamo, abbiamo bisogno di andare con Maria nella Santa Casa, per riscoprirci, fin dall’origine della nostra vita, toccati nell’intimo dalla grazia, dalla carità, dalla gioia. Una gioia che il Vangelo ci permette di gustare e portare, anche nelle situazioni delicate di disordine, violenza, corruzione che il nostro servizio ci chiama a contrastare. Sì, abbiamo bisogno di Maria: Lei insegna a vincere la corruzione con la bellezza, ci fa riscoprire la nostra bellezza di creature e ci accompagna nel servizio. È il servizio che voi, Militari dell’Aeronautica Italiana, svolgete ogni giorno con amore, e al quale noi tutti – noi Chiesa e noi cittadini – guardiamo con gratitudine, perché può contribuire a far crescere la bellezza della civiltà. A difendere e restaurare, nel nostro Paese e in campo internazionale, la bellezza dell’ambiente e delle creature, la bellezza della comunione e della pace… la Bellezza trascendente che voi imparate e insegnate a contemplare nei Cieli e che, sola, salverà il mondo. E così sia!X Santo Marcianò