Omelia dell’Ordinario al Verano nella celebrazione a ricordo dei caduti

02-11-2017
(02-11-2017)

«Tutta insieme la creazione geme e soffre… e anche noi… gemiamo interiormente».  Carissimi fratelli e sorelle, c’è un gemito che attraversa la creazione, tutta la creazione, e che ci attraversa. Lo abbiamo ascoltato dalla seconda Lettura (Rm 8,14-23) e lo sentiamo in modo particolare in questi giorni, in cui la memoria di coloro che non sono più tra noi mette nel cuore il dolore e la paura più profonda che l’essere umano possa provare: la morte. Come dice il Concilio, contro la morte insorge «il germe dell’eternità che l’uomo porta in sé», il «desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore»[1]. È il gemito che si leva da ogni cuore e testimonia il suo desiderio di un “di più”, di un’eternità: «Allarga il mio cuore angosciato» grida il Salmista (Salmo 24). Lo sentiamo in questo tempo della storia umana mentre attraversa popoli e nazioni, divide fratelli da fratelli, ricchi da poveri, uomini di diversa razza e religione… diventa fondamentalismo imprevedibile, discriminazione sociale, indifferenza umana, chiusura di confini, erezione di muri… si nasconde dietro ingiustizie sociali, incertezze lavorative, instabilità politica e istituzionale… esplode in violenze raccapriccianti, abusi di bambini e di donne, manipolazioni della vita umana in tutte le sue fasi, dal debole inizio nel grembo materno fino alla fragilità della malattia, della disabilità, della morte. Sono i nuovi volti di una guerra che forse si combatte «a pezzi», come afferma Papa Francesco, e assume caratteristiche inusitate di crudeltà e diffusione. Il gemito attraversa la creazione e la attraversa «tutta insieme», dice Paolo. Il gemito tutti ci accomuna. Mi piace dire che c’è davvero una comunione nel gemito! Nel Vangelo di oggi (Mt 25,31-46), chi la intercetta viene chiamato da Gesù «benedetto del Padre». “Venite benedetti da Padre mio” dice Gesù. Sono «benedetti», potremmo dire, coloro che in terra hanno esercitato il ministero della benedizione, coloro cioè che hanno saputo riconoscere nelle cose (e, soprattutto, nelle persone) l’impronta del Creatore, la presenza di Dio. Hanno riconosciuto che tutto viene da Dio e hanno amato alla maniera di Dio. E’ l’amore la prerogativa di Dio che rende simili a Lui. Sono stati strumento di vicinanza e sostegno di ogni povertà; potremmo dire che al gemito universale, che tutti unisce, hanno risposto con la comunione di una benedizione, di un amore universale in grado di affratellare il mondo. Questo sono stati i caduti che oggi ricordiamo! Questo sono i nostri militari, ancora oggi! Ministri di benedizione, perché raccolgono il gemito di tutte le situazioni umane e vedono risplendere nei fratelli lo stesso Volto di Cristo. Ministri di pace perché capaci di un servizio, di un sacrificio, di un dono di sé che può cambiare il volto della storia umana. Il gemito attraversa la storia. Ed è proprio la storia ad insegnare come solo la comunione, solo la fraternità possa trasformarlo in benedizione e pace, anche nelle situazioni in cui il buio delle violenze, delle guerre, dei fallimenti, sia – come intravede il profeta Isaia nella prima Lettura (Is 25,6.7-9) – un «velo che copre la faccia di tutti i popoli», una «coltre distesa su tutte le nazioni». Il pensiero, oggi, va anche a uno di questi eventi, il cui centenario abbiamo ricordato in questi giorni: la battaglia di Caporetto, segno di una sconfitta, di una tragedia nella quale molti, troppi uomini hanno perso la vita e che solo l’eroismo concreto della carità e il senso alto dell’unità hanno saputo trasformare in possibilità di rinascita per il nostro Paese. Non lo dimentichiamo: le rovine della guerra altro non sono che le rovine dell’umano! Su queste, si può ricostruire solo superando ciò che viola la dignità della persona e ricostruendo il senso di popolo, l’unità tra popoli, la comunione della famiglia umana. Cari amici, la comunione è il contenuto del Vangelo ed è la pietra miliare di ogni società che si voglia definire umana. È il collante che unisce cittadini e istituzioni, popoli lontani e stranieri, fratelli che, come noi oggi, si interrogano sul senso della vita e della morte. Affidiamo questa domanda al Padre di ogni vita e di ogni fraternità, mentre con Lui raccogliamo il gemito dell’umanità e, con la Sua grazia, ci sforziamo di dare anche noi la risposta della benedizione, la risposta dell’amore: come hanno testimoniato i nostri caduti, i nostri defunti; come continuano a fare tanti uomini e donne delle Forze Armate Italiane, con il loro servizio alla comunione e alla pace. Fino al dono della vita.X Santo Marcianò


[1] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Gaudium et Spes, 18