Omelia dell’Ordinario alle esequie dei quattro ufficiali dell’A.M. deceduti nell’incidente aereo del 19 agosto

06-11-2014
 «Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male,
perché tu sei con me»
(Salmo 22)
 
 
Carissimi fratelli e sorelle,
le parole del Salmo Responsoriale risuonano oggi al nostro cuore con particolare forza, con profonda commozione, con un dolore grande che si unisce, però, alla speranza. I nostri occhi hanno dinanzi quella «valle oscura» nella quale i nostri cari fratelli Mariangela Valentini, Alessandro Dotto, Paolo Piero Franzese e Giuseppe Palminteri hanno trovato la morte in modo improvviso, tragico.
Siamo qui per unirci nell’affetto e nel pianto ai loro cari, anzitutto alle famiglie: la signora Alessandra, moglie del capitano Franzese, con il piccolo Federico; i suoi genitori: Giuseppe e Carmela con la figlia Maria Teresa. La mamma di Mariangela, Piera, con la figlia Michela. I genitori di Alessandro, Matteo e Antonietta con il figlio Alberto. I genitori di Giuseppe: Stefano e Laura con il figlio Francesco, chiamati a sopportare il peso di un distacco così brusco, di una sofferenza così grande e inspiegabile.
Ai parenti, agli amici, i colleghi, in particolare i militari del 6° Stormo. A tutta all’Aeronautica, qui rappresentata dal Capo di Stato Maggiore Gen. Pasquale Preziosa che, con grande forza si stringe attorno al ricordo e all’esempio di questi suoi militari, cosapevole di aver perso professionisti ma, prima ancora, persone ricche di etica, correttezza, umanità. Alla famiglia delle forze armate.
Al Ministro della Difesa Sen. Roberta Pinotti e a tutte le Autorità Militari presenti per rendere omaggio a un sacrificio consumato per un servizio alla Patria, servizio del quale questi militari avevano piena coscienza e di cui sentivano grande responsabilità e onore: lo abbiamo capito tutti e, in questi giorni, tutti li abbiamo sentiti un po’ nostri, rimanendo – anche il Presidente Napolitano lo ha notato – profondamente commossi da quanto accaduto.
Ma siamo qui prima di tutto e soprattutto per pregare per i nostri fratelli e con loro. E siamo qui perché convinti che, nella «valle oscura» della morte essi, abituati a vincere ogni paura, non hanno avuto paura perché hanno trovato Gesù, il Buon Pastore, che li ha presi per mano e li ha condotti nella «casa del Signore», dove anche noi oggi vogliamo accompagnarli.
Sì, cari Mariangela, Alessandro, Giuseppe, Paolo Piero: siamo qui per accompagnarvi a casa!
Voi avete lasciato le vostre case per rispondere a una chiamata e portare avanti una missione che vi ha uniti. E ciò che in modo particolare vi ha uniti, in questi giorni ce lo siamo sentiti ripetere spesso, è stata la passione: la passione per il volo, la passione per il vostro servizio.
È proprio vero: non si può fare un lavoro così senza passione! E, in un tempo come il nostro, in cui la disillusione sembra avvolgere il presente e il futuro, soprattutto per le nuove generazioni, è preziosa la testimonianza di chi infonde la propria passione in un impegno che dona senso alla vita. La passione che Mariangela, Alessandro, Giuseppe, Paolo Piero hanno vissuto e testimoniato non è semplicemente un desiderio da realizzare ma molto di più: chiede disponibilità, disciplina, dedizione, addestramento.
Provando a guardare con i loro occhi, penso si possa affermare che non era solo la passione per il volo ma la passione per la “difesa” – in senso ampio – ad animare i nostri fratelli, a sostenere la loro fatica per prepararsi a missioni anche difficili, delle quali essi avevano in cuore l’utilità, l’urgenza, la necessità, l’importanza per la pace. Lo aveva detto con chiarezza il capitano Valentini in un’intervista televisiva, riferendosi alla sua esperienza in Afghanistan: «Essere lì ti fa comprendere come sia importante essere a supporto delle nostre truppe e di coloro che soffrono».
«Coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre», abbiamo ascoltato dalla prima Lettura (Dn 12,1-3). Risplendono come stelle, Mariangela, Alessandro, Giuseppe, Paolo Piero, perché la passione da essi vissuta non era fine a se stessa né diretta a soddisfare se stessi ma, potremmo dire, era una passione che fa luce agli altri, una passione per gli altri. E una tale passione, alla luce della Parola di Dio e dell’esperienza di fede, ha un nome: «compassione».
«Compassione – ha detto recentemente Papa Francesco – non è semplicemente sentire pietà; è di più! Significa con-patire, cioè immedesimarsi nella sofferenza altrui, al punto di prenderla su di sé. Così è Gesù», il quale «ci insegna ad anteporre le necessità dei poveri alle nostre», perché «le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei poveri»[1].
 
Sì. Passione e compassione! Un binomio importante per penetrare il significato della vita dei nostri fratelli e della loro morte. Un binomio che è ora ricordo per i loro cari, lezione per i loro compagni e colleghi, testamento per le nuove generazioni. Un binomio necessario a comprendere il senso della vita militare e il suo essere oggi a servizio della pace.
E questo sento di testimoniarlo personalmente: quanta passione e compassione tra i nostri militari, impegnati a custodire, soccorrere, supportare, accogliere… a considerare le esigenze di tanta gente in situazioni di sofferenza, esigenze che essi sentono superiori alle proprie!
Così hanno vissuto Mariangela, Alessandro, Giuseppe, Paolo Piero. A questa passione hanno offerto le loro competenze, faticosamente perfezionate in studi intensi e ottime carriere: tutti avevano all’attivo titoli qualificanti, tante ore di volo, esperienza, onorificenze. A questa passione hanno offerto le migliori energie, sacrificando e, allo stesso tempo, sognando una vita personale più vicina possibile alla normalità e al calore degli affetti familiari.
Sono stato profondamente toccato da quanto ho sentito da don Gianni, cappellano a Venezia, sul profondo amore che legava Mariangela a Fabio, suo fidanzato, un amore più forte della sofferenza, che sapeva vincere la sofferenza. Un amore forte come la fede che sosteneva Mariangela e che è diventata cammino di conversione e di vita pure per Fabio. E sono certo che tutti voi potreste testimoniare l’amore con il quale questi nostri fratelli vi hanno circondato e hanno saputo vivere la sofferenza, la gioia, le fatiche, la fede, infondendo il meglio di se stessi nei rapporti umani così come nell’adempimento del proprio dovere.
San Giovanni XXIII, il “Papa Buono”, che ha vissuto l’esperienza di essere soldato e cappellano militare, nella sua Enciclica Pacem in Terris sottolinea come la «convivenza umana», alla quale la «pace» è fortemente legata, sia, tra l’altro, «esercizio di diritti e adempimento di doveri», nonché «permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi»[2].
Per questo, col Vangelo (Mt 5,1-12a), vogliamo chiamare Mariangela, Alessandro, Giuseppe, Paolo Piero «beati» perché «operatori di pace». Agli operatori di pace, infatti, è donata la beatitudine di essere «chiamati figli di Dio» e si diventa figli quando, come loro, si dona il meglio di sé agli altri e per gli altri, considerandoli fratelli. È proprio vero: è nella fraternità che si trova il «fondamento della pace»[3].
 
Carissimi fratelli e sorelle,
un’altra beatitudine il Vangelo ci consegna, interpretando i nostri sentimenti più profondi: «Beati coloro che sono nel pianto perché saranno consolati». Sono parole che non vorremmo mai sentirci dire ma, allo stesso tempo, sono le uniche parole che oggi vogliamo sentirci dire.
Tutti siamo nel pianto: piangono le famiglie di questi fratelli e le persone care, immerse nel «tempo di grande angoscia» descritto dalla prima Lettura; piange la grande famiglia dell’Aeronautica Militare; piange tutta la Nazione Italiana. Piange la nostra Chiesa, piange questi figli – sono e li sentiamo con forza così: figli della Chiesa! – per i quali prega e che accompagna nell’ultimo viaggio. E con noi piange Gesù, non di disperazione ma di compassione.
Sì, cari Mariangela, Alessandro, Giuseppe, Paolo Piero.
La compassione che ha illuminato d’amore la vostra vita e la vostra morte è, come ha detto ancora il Papa, «quello che sente Gesù»: Egli «soffre insieme a noi, soffre con noi, soffre per noi»[4].
La nostra consolazione, possibile seppur difficile, nasce da questa certezza: Gesù è con noi e voi, per la Sua Resurrezione, siete ora con Lui. Siete nella «casa del Signore» dove ormai abitate; «il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» (Mt 25,34) in cui – dice il Concilio – «abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini»[5].
Così, mentre vi accompagnamo a casa, ci sentiamo accompagnati da voi, dalla vostra preghiera, dal vostro amore che non ha fine. E sentiamo che lì, dove tutti ci ritroveremo, sono davvero realizzati i vostri desideri di giustizia, di pace, di bene e voi avete finalmente trovato il senso della passione per la quale avete vissuto e avete dato, fino alla fine, la vostra vita.
Mariangela, Alessandro, Giuseppe, Paolo Piero: con commosso e infinito affetto, vi diciamo: «Grazie!».
 
 
 X Santo Marcianò