Omelia dell’Ordinario in occasione della commemorazione del Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa

04-09-2017
Parma, 3 settembre 2017
S. Messa e commemorazione del Gen. C.A. Dalla Chiesa

 «Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.»   Carissimi, ascoltare questo passaggio della seconda Lettura (Rm 12,21-27) in questa Eucaristia suscita emozione intensa, stupore commosso, adesione immediata, quasi avessimo sfogliato la Bibbia per cercare una Parola adatta a far memoria dell’evento che celebriamo: il sacrificio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri, ucciso dalla mafia assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’Agente della Polizia di Stato Domenico Russo. Vi saluto tutti con grande commozione, nella profonda gratitudine per il dono che è stata la sua vita per tutti noi, per la Chiesa e per l’Italia, per la grande famiglia dei Carabinieri. E, mentre l’Eucaristia rende viva la memoria, la Parola aiuta a guardare agli eventi che contempliamo con lo sguardo di Dio e nella sua Luce, per trasformare in vita insegnamenti che persone come lui sanno testimoniare e pagare con la vita.   Un sacrificio: questo è accaduto a Palermo 35 anni fa! Un sacrificio innestato nella storia e nella testimonianza di un servizio vissuto fino alla fine. Sì, c’è un legame intenso, intrinseco, valoriale e vitale tra servizio e sacrificio: il generale Dalla Chiesa lo ha insegnato e lo continua a insegnare ed è un insegnamento che oggi ritroviamo nel Vangelo (Mt 16,21-27). «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua», dice Gesù ai discepoli, i quali pensavano a un Messia, per così dire, vincente; pensavano alla salvezza, alla liberazione, all’affermazione della giustizia come a un percorso forse accidentato ma certamente trionfale. Non fu così per Gesù; non è stato così per il generale Dalla Chiesa. Eppure, nella parabola della sua vita come nella parabola evangelica, c’è una vittoria autentica, paradossale, feconda: la vittoria del bene sul male, possibile solo quando il male non si combatta con le sue stesse armi ma si entri in pieno nella lotta, assumendo tutti i contrasti che la colorano.   Militare, partigiano, ufficiale dei carabinieri, prefetto di Palermo… Una storia iniziata nella guerra, in Montenegro nel 1941, e conclusa con l’assassinio e la Medaglia d’oro al valor civile “alla memoria” nel 1982. Una storia che vede riconoscimenti, onori e successi straordinari – basta leggere i nomi di terroristi e mafiosi arrestati o semplicemente denunciati grazie a lui – accanto a incomprensioni e difficoltà terribili: si pensi solo al numero spaventoso di omicidi nei suoi ultimi giorni a Palermo… Ebbe dunque a lottare contro i più temibili mali dell’Italia del tempo: il terrorismo e il potere mafioso. Ed era la persona giusta, trasmetteva un senso di sicurezza, forza, legalità; tutti lo percepivamo, anche chi non conoscesse meccanismi a lui, invece, ben noti. Fu dotato di competenza, preparazione e intuizioni che si sarebbero rivelate importantissime: le supercarceri, il coordinamento tra forze di polizia per la lotta al terrorismo, la valorizzazione dei pentiti… ma si scontrò con ostacoli insormontabili: processi pilotati e, nella lotta alla mafia, mancanza dei pieni poteri che aveva avuto contro i terroristi delle Brigate Rosse, la cui strategia Dalla Chiesa seppe smontare. La sua storia, iniziata in guerra, si concluse per un’altra guerra, che egli sembrò perdere; una guerra apparentemente interna alla Sicilia ma, in realtà, già diffusa in Italia e nel mondo.   Se ci pensiamo bene, ogni violenza, anche la mafia, ha in sé il germe iniquo della guerra e non si arresta dinanzi all’espansione, alla diffusione su scala internazionale. C’è davvero quasi una globalizzazione del male che, in diverse fasi storiche, si diffonde con diversi nomi, luoghi e modalità di manifestazione. C’è, però, anche una globalizzazione del bene, che si espande non solo geograficamente ma valorialmente. Come il male si ramifica, si complica, esplode in crudeltà inedite, così il bene si amplia, si approfondisce, si fa sempre più risplendente di luce, apportatore di vita, suscitatore di perdono e speranza. È stato così per Carlo Alberto Dalla Chiesa: un bene seminato nella missione di difesa dei cittadini, delle Istituzioni, del Paese, e poi espanso sempre più. E persino omicidi come il suo sono così: lasciano in un primo istante sgomenti e sconfitti, disillusi e bloccati, quasi che il male abbia definitivamente vinto. Poi, lentamente, fanno intravedere un bene, risvegliano un fuoco che essi stessi avevano acceso… In una parola, come dice San Paolo, trasformano, generano un nuovo modo di pensare, scoprono un accesso al mistero della volontà di Dio. Non bisogna, però, equivocare: la volontà di Dio non è la morte, tantomeno quella violenta o quella cercata e quasi idolatrata, spargendo il seme dell’odio o del fondamentalismo. La volontà di Dio è prendere sul serio la difesa della vita, degli innocenti uccisi dalla violenza della criminalità organizzata, del terrorismo, di ogni forma di persecuzione, intolleranza, odio, vendetta… è anzitutto ristabilire una giustizia umana e poi integrarla, scardinando il male con la logica del servizio, del perdono, dell’offerta della vita, che può arrivare fino alla morte ma nella misura in cui ci si fa carico della stessa vita di coloro per i quali si muore.   Gesù lo ha detto con la Sua Croce: questo modo di pensare, necessario per vincere lotte che sembrano perse in partenza – proprio come la mentalità mafiosa o la strategia del terrore -, non ci vuole conformati a questo mondo. Non ci vuole vittime né conniventi con il trionfo del male, delle cose sulle persone, dell’interesse privato sul bene comune, dell’egoismo sulla custodia del creato, della chiusura comoda sull’accoglienza integrata e organizzata. Sì, per vincere il male c’è bisogno di una nuova mentalità, di una cultura che l’Arma dei Carabinieri, assieme al mondo militare italiano, sta cercando di infondere nella nostra Nazione come pure, e sempre più, oltre i nostri confini. Non più tardi di qualche settimana fa un periodico inglese, riconosceva ai nostri militari il ruolo particolare di “poliziotti d’Europa”, apprezzando una difesa che, potremmo dire, si fa cura, si prende cura; che non vuole eliminare ma proteggere, consapevole che esiste sempre la possibilità di agire secondo giustizia. E le vie della giustizia, come quelle percorse dal Generale, sono le vie della nostra cultura italiana e europea, ricca di umanità e seminata nei solchi del Vangelo.   Chi ama la giustizia non sa agire che con giustizia, pagando di persona: egli, però, anche merita giustizia! Riprendendo l’esperienza di Geremia nella prima Lettura (Ger 20,7-9), potremmo dire che la giustizia, come l’amore di Dio, conquista, seduce, attrae, conferisce la missione sconcertante del profeta, chiamato talora a gridare la verità a gente che non ascolta, sperimentandone il dolore. Quante volte questo sarà stato il dolore di Carlo Alberto Dalla Chiesa! Quante volte avrà sentito il suo grido inascoltato nel compiere la propria missione! Sembra una sconfitta ma è la fecondità dei profeti, spesso tardiva rispetto alla parola da essi pronunciata e alla testimonianza offerta. È la fecondità del bene, seminato nel terreno nascosto del seme che muore, che sboccia nella speranza di una vita più forte della morte. È la fecondità della croce, la logica di chi non si preoccupa di soddisfare, arricchire e neppure salvare la propria vita ma pensa agli altri, creature da difendere, amare e servire. È il senso di sacrificio e servizio che anima uomini come il generale Dalla Chiesa e che – oggi lo tocchiamo con mano – solo può trasformare il modo di pensare dei giovani, degli uomini delle istituzioni, della politica, dell’economia.   Cari amici, la violenza, la mafia, il terrorismo, l’illegalità, chiedono pieni poteri per essere sconfitti e richiedono altresì un modo di pensare pieno, globale: non «secondo gli uomini» ma «secondo Dio», dice Gesù. Questa “globalità”, nella Bibbia, si può riassumere in una sola parola: «shalòm, pace»! La pace non è solo assenza di guerra: è pienezza che trasforma il cuore; nello stesso tempo, è il desiderio più profondo del cuore umano, che è poi il desiderio di Dio, cantato in modo intenso dal Salmo 62. E Dio risponde a questo desiderio; infatti, come dice il Concilio, «prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono dal cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo»[1].  Servendo questo bene e questa pace, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ha servito il Signore, Lo ha aiutato a far abitare nella città terrena quella giustizia che è la caratteristica della città del Cielo. Lo ha fatto nella vita e nella morte: noi lo riconosciamo e come comunità ecclesiale, assieme all’intera Nazione, gridiamo oggi un “grazie” debitore e commosso! E, mentre ricordiamo il suo servizio e il suo sacrificio, sappiamo che la vittoria non è stata della morte ma della vita, della verità, dell’amore, del bene da lui compiuto che rimarrà per sempre; perché, come conclude la Gaudium et Spes, «beni quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà, e cioè i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sula terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati»[2].       X Santo MarcianòArcivescovo Ordinario Militare per l’Italia


[1] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Gaudium et Spes, 39
[2] Ibidem