Omelia dell’Ordinario Militare ai funerali del Magg. Gabriele Orlandi

03-10-2017
Cesena, 28 settembre 2017

Carissimi, Siamo qui per raccogliere in un grido quanto è accaduto qualche giorno fa. Un incidente, un attimo, una vita spezzata. Non una vita in senso generico, ma “la” vita unica e irripetibile di Gabriele. Perché ogni vita umana è così: non è entità anonima, è la vita concreta di colui che è il figlio, il fratello, l’amico, il collega… la persona cara che era accanto a noi fino a un momento prima che tutto accadesse. Il grido arriva a Dio, come arrivò – lo abbiamo ascoltato nel Vangelo (Gv11,32 – 38.40) – da parte di alcuni dei presenti alla tomba di Lazzaro: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Non si poteva evitare tutto questo? Non potevi Tu, Signore, evitare tutto questo? E il grido incrocia il nostro pianto. Sì, perché dinanzi alla morte, alla morte tragica di un giovane che stava compiendo il proprio dovere, il pianto è di tutti noi! Come quel giorno a Betania davanti al giovane Lazzaro: piangono le sorelle, piangono i Giudei… Tutti sono, tutti siamo uniti nel pianto. E piange anche Gesù!  Siamo qui con Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto; e il grido e il pianto si fanno preghiera, memoria viva; perché l’Eucaristia ricorda qualcosa di Vivo, potremmo dire che “fa vivere” qualcosa, anzi Qualcuno. Fa vivere Cristo. Fa vivere Gabriele. Così dal nostro pianto, quasi per contrasto, emerge il suo sorriso: vero, autentico, dunque vivo. Il sorriso! Mi ha colpito cogliere dalle varie testimonianze, quelle familiari e quelle istituzionali, questo unanime riconoscimento: il sorriso. Sì. Pur nel nostro sincero e straziato pianto, Gabriele si può ricordare solo con il sorriso! Non si tratta di una descrizione parziale ma di un suo modo di essere, di relazionarsi, di lavorare, di vivere, di credere, che si traduce in un messaggio, in un’eredità che egli lascia ai suoi cari, ai suoi amici, agli uomini delle istituzioni, a noi uomini di Chiesa.  Un modo di essere: Gabriele non “aveva” un sorriso: egli “era” sorriso. Era capace, cioè, di cogliere, della vita e della storia, la bellezza che, sempre, è contenuta nelle cose, a volte nascosta nella profondità. Anche nella tradizione biblica il «sorriso» descrive non solo un atteggiamento del volto ma una sorta di sapienza del cuore, centro di tutta la persona. Per cogliere la bellezza delle cose, bisogna essere in grado di non fermarsi alla superficie: il sorriso è prerogativa di chi sa andare in profondità, di chi non teme le domande decisive sulla vita e il suo senso. Può sembrare paradossale ma il sorriso era, in Gabriele, espressione del suo prendere sul serio le cose, pur sapendole semplificare per gli altri.  Per gli altri. Perché gli altri erano fondamentali per lui e il sorriso era il suo modo di entrare in relazione con loro. Lo coglie pure chi non lo abbia conosciuto; chi, in questi giorni, abbia visto le sue foto sui media o chi oggi respiri il clima di questa Messa… Il suo sorriso era la capacità di far festa con tutti, di saper scherzare; di essere, nel gruppo, punto di riferimento, forza aggregatrice e unificatrice; era la sua grande disponibilità, il cuore grande di chi sa ascoltare, accogliere, vedere in tutti il bene; di chi sa cogliere il valore di ciascuno, il valore della vita umana che, dicevamo, è unico e irripetibile.  E al valore della vita era legato il senso del suo sorriso nel lavoro. Se ci pensiamo bene, la gioia di amare nel profondo il proprio lavoro non sta nel fatto che esso sia piacevole, facile, non faticoso. Con il realismo derivato dalla grande competenza, dagli studi e dall’esperienza accumulata nelle ore di volo, in incarichi di responsabilità in Italia e all’estero, il maggiore Orlandi conosceva bene la complessità dei propri compiti, con la fatica e il rischio connessi. Ma amava il volo, amava il suo lavoro. Il suo lavoro gli dava gioia: percepiva in esso la possibilità di dare gioia a qualcuno (fa pensare il fatto che la morte lo abbia colto proprio durante un momento che doveva essere festoso); al contempo, ne intuiva il bene più grande: sapeva, cioè, che il fine ultimo del suo servizio era difendere la vita, era servire il Paese, il bene comune, l’edificazione della città terrena, la pace. E questo meritava coraggio e dedizione. Tanti di voi, suoi colleghi e amici dell’Aeronautica Militare, tanti di voi, uomini e donne delle Forze Armate, sapete vivere una tale coraggiosa dedizione. Tanti di voi avete condiviso con Gabriele, e forse da lui avete imparato, la gioia che deriva dal sentirsi a servizio della sicurezza, della pace, delle persone… Su questi valori fondamentali, cari amici, si fonda tutta l’esistenza; si misura la differenza tra “impiego” e “missione”. Ed è bello pensare all’impegno di Gabriele e al vostro come a una missione.  Le missioni non si svolgono esclusivamente all’estero, nei Paesi in difficoltà, pur avendo quelle una grande importanza. La missione è uno stile, che fa vivere non solo il lavoro ma la stessa vita come servizio.  Il sorriso di Gabriele traduceva la forza del suo sevizio e dei suoi valori: trasparenza, pulizia, onestà, gratuità… Un sorriso che tutti – uomini e donne delle istituzioni, uomini e donne di Chiesa – dovremmo imparare da persone come lui, per un servizio più autentico alla città dell’uomo e alla città di Dio. Dovremmo imparare da Gabriele il sorriso che nasce dalla consapevolezza di aver fatto il proprio dovere ma anche dalla forza di aver voluto e saputo vivere per ciò in cui si crede.  Cari amici, ci è chiesto, dunque, un ultimo passo, quello della fede. E la prima Lettura (Gen 22,1-2.9.10.13.15-18) descrive la drammatica esperienza di fede di Abramo, chiamato da Dio a offrire il proprio figlio. Isacco è il figlio che deve essere sacrificato il quale, nella Sacra Scrittura, anticipa e richiama il sacrificio di Gesù Crocifisso. Noi, in questo momento di dolore, possiamo solo guardare a Lui, al Crocifisso. E a Lui possiamo pure gridare, come fecero le sorelle di Lazzaro: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Ma Isacco, in ebraico, significa anche sorriso. Egli è il figlio del sorriso, venuto nella vecchiaia, quando Abramo e Sara avevano perso ogni speranza di fecondità. Sì. Oggi è il giorno del pianto, e questo è sacro, ma quanta gioia ci ha donato la vita di Gabriele! Per voi genitori, sorella, parenti e amici di Gabriele; per voi, famiglia dell’Aeronautica Militare e della Difesa; per voi, comunità parrocchiale e per noi, Chiesa dell’Ordinariato Militare; egli è il figlio sacrificato ma anche il figlio del sorriso, il regalo imprevedibile e stupendo di Dio.  Per questo, mentre gridiamo il nostro dolore, Ti diciamo grazie, Signore, per averci donato la sua vita, unica e irripetibile; mentre leviamo il nostro pianto, diciamo grazie a te, Gabriele, per il tuo sorriso. Ce lo lasci in eredità ma lo porti con te nella vita eterna, dove «felicità e grazia ti sono compagne», dove ti immaginiamo incontrare Gesù Buon Pastore e sorridere per sempre a Lui, con Lui, in Lui. E così sia!X Santo Marcianò