Omelia dell’Ordinario Militare, nella celebrazione all’Ara Coeli, per la Festa di San Giovanni XXIII, patrono dell’Esercito Italiano (11 ottobre 2017)

11-10-2017
Carissimi fratelli e sorelle, è il momento delle commozione, dello stupore, della responsabilità; è il momento della gratitudine a Dio per aver voluto donare all’Esercito Italiano un Patrono: l’amato San Giovanni XXIII!

È la conclusione di un lungo cammino, iniziato da una devozione sbocciata spontaneamente nei cuori di molti di voi, che già i miei predecessori hanno tradotto nella domanda di un Patrono e che io stesso ho toccato con mano fin dall’inizio del ministero di Ordinario Militare; questo, lo confesso, mi ha riempito di gioia, anche a motivo del profondo amore che nutro per Papa Giovanni. Gioia che ora vive nella forma più alta di gratitudine cristiana: l’Eucaristia, il grande rendimento di grazie. La gratitudine è per Dio, che ha voluto donarci questo Santo Patrono; è per il Santo Padre Francesco e la Santa Sede; è per tutti coloro che, in diversi tempi e a diverso titolo, hanno preparato e contribuito a questa Nomina di Papa Giovanni, molti dei quali ho già avuto modo di ringraziare, in occasione della consegna del Decreto della Congregazione, il 12 settembre scorso a Palazzo Esercito. Oggi saluto e ringrazio tutti voi qui presenti: tutti, oggi, includiamo nell’Atto di Affidamento a Papa Giovanni, che non è atteggiamento passivo o, peggio, fatalistico; è anche inizio di un cammino che schiude nuovi sentieri, indirizza scelte di vita e impegni lavorativi; porta voi, militari dell’Esercito Italiano, a volgere lo sguardo al Patrono celeste il cui ruolo, sulla scia della Parola di Dio, vorrei sintetizzare in quattro caratteristiche: protezione, imitazione, impegno, intercessione.

1. Protezione «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla». Nel Salmo 22 abbiamo cantato la fiducia dell’uomo che affronta tutte le difficoltà della vita perché sente la compagnia di Dio: «Tu sei con me, Signore». Il Patrono, anzitutto, è un compagno che in terra ha compiuto il nostro stesso cammino, sperimentando la dolcezza della vicinanza di Dio, e, dal cielo, svolge un compito di guida e protezione, proprio come il Pastore del Salmo. E il Pastore, non dimentichiamolo, è una figura chiave per la cultura semitica: è colui che, per salvare le pecore dai nemici, dalle avversità, dall’oscurità della strada, mette veramente a repentaglio la sua vita. Il pastore è il Salvatore! Cristo è il Pastore, l’Unico Pastore delle nostre anime. E se noi abbiamo un Patrono è proprio per poter camminare ancor più vicini a Lui, in obbedienza ai Suoi precetti. Quell’obbedienza alle leggi di Dio in cui – Giovanni XXIII lo aveva inciso nel motto episcopale, Oboedientia et Pax – è racchiuso il segreto della pace. Chiedere un Patrono dimostra che si fa sul serio, che si vuole operare sulla terra con lo sguardo rivolto al cielo; che si avverte non solo il bisogno di essere protetti – nella propria vita, nella propria missione, nella propria famiglia -; non solo la necessità di esser custoditi per poter custodire coloro che ci sono affidati; ma che si percepisce la valenza trascendente di ogni impegno umano, vissuto come collaborazione all’opera creativa di Dio. Significa essere convinti che il compito svolto è – e non può non essere – a servizio della creazione: dunque, per la vita! E’, quindi, in risposta a una missione, a una vocazione. È così che Angelo Giuseppe Roncalli ha vissuto l’intera esistenza, compreso il servizio da militare e da cappellano dei militari; ed è sorprendete vedere con quanta serietà egli guardasse al loro compito.

2. Imitazione «Fatevi modelli del gregge». La prima Lettura (1 Pt5, 1-4) fa pensare al Patrono come modello da imitare. Papa Giovanni è modello di pace e voi, militari italiani, volete formarvi alla sua scuola, per esserne sempre più costruttori e testimoni, nonché per poter “contagiare” colleghi di altre Nazioni e culture. La pace fu il tratto umano di Giovanni XXIII: egli la perseguì per tutta la vita, grazie a un paziente lavoro su se stesso che lo rese, anzitutto, “uomo” di pace: capace di relazioni fatte di accoglienza, ascolto, rispetto e dialogo instancabile, sempre in cerca «di ciò che unisce». Sapeva che la pace è, come esprime la parola shalom, una sorta di “pienezza” umana, spirituale, relazionale, sociale: un’armonia di elementi fondata, tuttavia, sull’«ordine stabilito da Dio»[1] che ogni creatura umana è chiamata a rispettare. Fu chiamato, così, a portare il dono della pace con la sua stessa persona, a tradurlo in gesti concreti, semplici e talora straordinari, diventando un vero educatore e testimone di pace: da sacerdote e da cappellano militare, cercò di instillare la pace tra i soldati disorientati dal buio della guerra, nei cui cuori suscitava sentimenti di fraternità, perdono, amore reciproco; da vescovo e diplomatico della Santa Sede, avvicinò persone di ogni cultura e religione, con spirito ecumenico e sincera amicizia, ma anche con la schiettezza che viene dalla verità. Da Papa, infine, seppe pronunciare parole e compiere gesti di pace verso tutti gli uomini, affidati alle sue cure di pastore universale, risvegliando l’anelito alla pace nei cuori dei potenti della terra e dei carcerati dimenticati, nei bambini vittime della sofferenza e nei poveri vittime dell’ingiustizia umana, nei peccatori e negli uomini delle istituzioni… Sì. La parresìa della verità, la misura della giustizia, la smisuratezza della carità: è questo che rende la pace sempre possibile! E, come Papa Giovanni ci insegna, è questa la nostra missione.

3. Impegno «Tu sei Pietro». Gesù, nel Vangelo (Mt 16,13-19), cambia il nome a Simone: Egli affida una missione e dona un’identità. Papa Giovanni, in qualità di Patrono, dice qualcosa anche sull’identità dei militari italiani: in fondo, non ci sarebbe la scelta di lui se non ci fosse prima una sintonia con lui, una similitudine. Siamo in un Paese che «ripudia la guerra», lo afferma la Costituzione[2]; e voi, uomini e donne dell’Esercito, con dedizione e coraggio non comuni, vi sforzate di custodire la pace difendendo la vita umana, promuovendo giustizia e fraternità, soccorrendo nei pericoli e nelle calamità naturali, accogliendo i profughi e proteggendo i più deboli, nella nostra Nazione e nelle Missioni estere… operando a servizio del «bene comune» che, come scrisse Papa Giovanni nella Pacem in Terris, «non può essere determinato che avendo riguardo alla persona umana»[3]. Sì, la persona umana al centro, sempre; la persona depositaria di dignità e valore infinito; la persona che vale la nostra dedizione e il dono di noi stessi. E oggi ricordiamo con speciale affetto anche quanti, tra voi, hanno donato se stessi fino al sacrificio della vita. Per questo, il vostro Patrono vi chiede di passare dall’imitazione all’impegno, cioè di far penetrare sempre più nella vostra coscienza, umana e cristiana, i valori per cui siete disposti a vivere e a donare la vita. E per questo, affidandovi a Papa Giovanni, voglio oggi affidarvi la Pacem in Terris: un’eredità di valori, un testamento spirituale, un’Enciclica sociale, una Magna Carta che dovrebbe accompagnare il cammino dell’Esercito Italiano, diventando punto di riferimento nella formazione dei giovani, nelle scelte dei responsabili, nello stile di vita di ciascuno di voi.

4. Intercessione «Voi chi dite che io sia?… Tu sei il Cristo!». La risposta di Pietro deve essere la nostra risposta a Gesù. E Papa Giovanni, come Patrono, ci aiuta in questo perché intercede presso Dio. Dire intercessione è qualcosa in più che dire protezione. Significa riconoscere la potenza della preghiera, la necessità della preghiera. Significa riconoscere il primato di Cristo nella nostra vita e nella storia umana e comprendere che tutto, anche la pace, è uno splendido dono di Dio; è – come recita ancora la Pacem in Terris – «un’impresa tanto nobile ed alta che le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona volontà, non possono da sole portare ad effetto» … ed «è necessario l’aiuto dall’alto»[4]. Cari amici, la nostra gratitudine si fa infine preghiera! Così, con l’intercessione dell’amato Papa Giovanni e le sue stesse parole ci rivolgiamo a Dio, in questo giorno storico così solenne, implorando la pace: «Allontani egli dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace»[5].

Santo Marcianò

[1] Cfr. Giovanni XIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 1
[2]Costituzione della Repubblica Italiana, art. 11
[3] Giovanni XIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 73
[4] Giovanni XIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 90
[5] Giovanni XIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 91