Omelia dell’Ordinario Militare nella festa di San Matteo, patrono della Guardia di Finanza (Salone d’Onore della caserma “Gen. B. Sante Laria” – Roma)

22-09-2016
«Misericordia io voglio e non sacrifici»!
 
La Parola che il Vangelo (Mt 9,9-13) oggi ci presenta è il “cuore” di quanto la Chiesa, grazie alla profonda intuizione di Papa Francesco, ci ha consegnato con il Giubileo della Misericordia: «Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori… Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati…».
È Parola di speranza: chi non si sente peccatore, dinanzi a Dio e ai fratelli? Chi non avverte il peso delle proprie colpe e, assieme, la debolezza della propria fragilità?
Gesù è venuto per noi, per salvarci, guarirci; è venuto per ogni peccatore, per ogni malato, per ogni uomo. E il ministero che al cristiano è affidato, da Lui e con Lui, è farsi strumento di questa salvezza, di questa cura, di questa speranza che il Signore porta nei cuori umani.
Ecco l’Anno della Misericordia, ecco il Giubileo! Ecco l’Eucaristia che celebriamo, nella festa di San Matteo.
 
Matteo, in fondo, non è che un peccatore, così egli si fotografa nel Vangelo da lui stesso scritto: ma è un peccatore salvato, un professionista guarito dal suo modo di considerare le cose e gli averi superiori alle persone; è un uomo toccato dalla grazia di uno sguardo che gli ha svelato come non ci sia legge senza misericordia, giustizia senza verità, servizio senza amore!
Il messaggio raggiunge anche noi in quanto persone e battezzati, in quanto cittadini e uomini a servizio dei cittadini, a servizio delle istituzioni, della legge.
«Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze».
Il Libro del Deuteronomio, nella prima Lettura (Dt 6,3-9), sintetizza così i «precetti del Signore», le «leggi» ancora oggi incarnate, nella tradizione giudaica, dalla sacralità della Torah. E lo stesso brano offre consigli sul modo di relazionarsi alla legge di Dio.
 
1. «Ascolta, Israele».
La legge va anzitutto ascoltata; potrebbe sembrare un’inutile precisazione eppure questo imperativo – “Ascolta, shemà!” – è fondamentale per Israele, che si riconosce come popolo di Dio a partire dall’ascolto.
È incredibile quanto l’ascolto ci faccia popolo! Ascoltare le leggi e interpretarle con la nostra sensibilità culturale e umana, rileggendo in esse una storia, una tradizione, una necessità che ha portato a formularle.
Sì, non si può essere “uomini di legge”, non si può essere persone deputate a far osservare le leggi – né tantomeno a elaborarle, proporle o votarle – senza un profondo ascolto che aiuti a comprendere il loro essere fatte per proteggere la comunità umana e, in essa, ogni singola persona, identificando, peraltro, quelle possibili leggi inique contro le quali si deve levare la nostra coscienza, come Matteo.
Il vostro servizio alla legge, cari uomini e donne della Guardia di Finanza, è un servizio alla storia del nostro Paese, alle sue radici antropologiche, al ricordo dello spessore umano, morale e spirituale dei tanti uomini che, nel tempo, hanno fatto l’Italia.
 
2. «Bada di metterli in pratica». 
Ma il vostro è pure servizio alla gente comune, ai cittadini, che da voi si sentono protetti; e se l’invito alla legalità è rivolto a costoro, prima di tutto riguarda l’uomo di legge.
Quanto scandalo quando, ad esempio, siano proprio gli uomini di legge – così come gli uomini di Chiesa – ad essere coinvolti in episodi di corruzione, ingiustizia, avidità personale…
Per servire veramente gli altri, bisogna essere al loro livello; bisogna che ci sentiamo cittadini per servire i cittadini, che ci sentiamo popolo per servire il popolo. E questo significa anche seguire le leggi.
È quanto forse intuisce Matteo, lasciando il «banco delle imposte»: non si può semplicemente stare dietro un tavolo e imporre agli altri pesi che non si accetta di portare. Matteo inizia a seguire la legge, cioè a seguire Gesù, e per farlo, dice il Vangelo, «si alza»: un gesto decisivo, spiegato da un verbo che descrive letteralmente l’inizio di una nuova vita, l’esperienza della Risurrezione.
 
3. «Li ripeterai ai tuoi figli».
La legge ha un grande valore pedagogico. Ed è edificante constatare quanta cura voi mettiate nel formare i giovani, nelle Scuole e Accademie come nei percorsi personali.
Il rapporto tra docenti e discenti, tra superiori e subalterni, non è, in fondo, che la trasmissione, la tradizione di una legge che edifica la comunità, tanto nelle norme civili quanto nei vostri regolamenti interni.
C’è però, in questa espressione della Parola di Dio, qualcosa di più; c’è un reale invito alla paternità. Coloro ai quali tu fai osservare le leggi, potremmo dire, ti sono, in un certo senso, «figli».
Figli! Questo è vero, per voi, nel rapporto tra superiori e inferiori in grado, tra responsabili e allievi che hanno bisogno di imparare  e crescere nel servizio; ma questo deve essere vero, se ci pensiamo bene, anche nei confronti di coloro ai quali il vostro servizio si rivolge.
È bello pensare che difendere la legge, in realtà, non solo custodisca coloro che vi sono affidati ma sia anche un modo per trasmettere la legge – con il suo patrimonio educativo e valoriale – a coloro che la trasgrediscono,  la rifiutano, la tradiscono. È esperienza di paternità e misericordia e ci aiuta a non dimenticare che «non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati».  
 
4. «Ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno…».
Il rapporto con la legge è totalizzante, ci coinvolge completamente. Essere uomini di legge significa testimoniarlo ogni giorno: nel servizio pubblico, nella vita personale e familiare, nel cammino e nel riposo… È come un «segno» che vi caratterizza nell’appartenenza.
Sì. Non solo una legge da ascoltare, seguire e raccontare ma una legge a cui appartenere!
E tale appartenenza alla legge non è fine a se stessa ma segno del senso di appartenenza alla comune umanità, a quella «casa comune»[1] che Papa Francesco, nell’Enciclica Laudato si’, ci ricorda essere il mondo delle creature e il creato che le accoglie. Di questo voi siete a servizio con una particolare cura e vigilanza!
 
Carissimi, appartenenza alla legge significa anche vigilare affinché le leggi, comprese quelle dell’economia e del mercato, non prendano definitivamente la strada che lo stesso Pontefice denuncia con forza: guardare solo al «profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano», ritenendo «che i problemi della fame e della miseria del mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato»[2].
«È indispensabile rallentare la marcia – esorta pertanto Francesco – per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane»[3].
Matteo lo ha fatto: guardato da Gesù, egli ha iniziato a  guardare in altro modo alla realtà e alla legge: non più come strumento di potere, disequità, arricchimento ma come via di fratellanza, amore e misericordia.
È questa la forza della sua testimonianza, è questa la bellezza della vostra missione, per la quale la Chiesa e il Paese vi sono infinitamente grati e sulla quale, con stima e affetto, invoco ogni grazia e benedizione dal Signore.
 
 
    † Santo Marcianò

[1] Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, 1
[2] Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, 109
[3] Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, 114