Omelia in occasione della S. Messa nella giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace

12-11-2019

 

Carissimi fratelli e sorelle, saluto di cuore i presenti, le autorità civili e militari, le carissime famiglie dei militari caduti, accogliendo tutti con affetto in questa Celebrazione.

Siamo riuniti, come sempre, a ricordare tutti i caduti delle missioni internazionali di sostegno alla pace, e proprio oggi non possiamo non pensare, con affettuosa trepidazione e grande stima, ai cinque militari italiani, tre della Marina e due dell’Esercito, feriti nel terribile attentato di due giorni fa in Iraq, proprio la terra che ci ricorda il terribile attentato di Nassirya; preghiamo in questa Eucaristia anche per questi cinque militari, per le loro famiglie, e con loro per tutti gli uomini e le donne delle Forze Armate che hanno riportato ferite e mutilazioni nel loro servizio alla pace e alla vita.

«Benedirò il Signore in ogni tempo». Il Salmo 33 (34) ci introduce nel cuore della nostra Celebrazione che è poi il cuore della vita cristiana: la benedizione. Un termine molto importante sul piano biblico, già nell’Antico Testamento, in cui, come per Abramo, la benedizione esprime l’Alleanza tra Dio e l’uomo, concretizzata nel dono della terra e della discendenza.

Noi siamo qui a ricordare tutti i caduti nelle Missioni Internazionali di sostegno alla Pace, ma la benedizione di Dio ha a che fare con la vita, per la quale l’uomo, a sua volta, ringrazia Dio, Lo benedice.

La parola greca che traduce benedizione è eu lògos: “bene” e “dire”. Ma lògos non è solo la parola parlata, è il senso nascosto nelle cose, il bene che Dio vi imprime. Benedire, dunque, significa anche trovare il bene, trovare motivi di bene per rileggere l’azione di Dio nella storia, anche nell’esperienza della morte, e della morte dei nostri caduti.

Dio non ha creato la morte, «ha creato l’uomo per l’incorruttibilità», dice lapidariamente la prima Lettura (Sap 23-3.9); la nostra ricerca di senso deve tener conto di questo, del fatto che la morte dei fratelli caduti che ricordiamo, potremmo dire, appare tale solo agli occhi «degli uomini», mentre per loro significa «speranza» e «immortalità». Essi sono nella vita, strumenti di vita, perché il dono della loro vita è stato fonte di vita e benedizione per molti.

Un dono della vita legato al servizio; essi sono morti da «servi», potremmo dire con la Parola del Vangelo, (Lc 17,7-10); servi «inutili», dice addirittura Gesù. La traduzione dell’aggettivo è piuttosto controversa; «inutili», infatti, non significa “non essere utili”; per cui non bisogna cedere alla tentazione di pensare che il sacrificio dei nostri fratelli sia stato inutile.

In realtà, non c’è sacrificio e non c’è servizio che sia inutile; ma, anche qui, il termine greco – achréioi -, ci aiuta concentrando piuttosto la nostra riflessione sul fatto che dal servizio sia escluso ogni “utile”, ogni ricavato, ogni ricompensa; anzi, che il servizio sia ritenuto ricompensa in se stesso, quasi un privilegio.

È proprio così. Noi piangiamo persone che sono state liete di servire, lo hanno considerato un privilegio, una ricompensa in se stessa; e voi, carissimi familiari, potreste testimoniarlo. Militari che non avrebbero considerato un eroismo il loro atto del dare la vita ma una pienezza di servizio, una realizzazione della libertà. Per questo, essi «sono nella pace». Per questo, diventano maestri di pace.

C’è, potremmo dire, un magistero, un’autorità speciale che i nostri fratelli caduti esprimono, dinanzi alla quale ci fermiamo con riverenza. «Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli», dice la prima Lettura: una sorta di autorità di governo, di potere che supera i confini dello spazio e del tempo.

Profeticamente, questo oggi si sta realizzando. Oltre a voi, carissimi familiari, amici e colleghi dei nostri militari, sono qui presenti uomini di Governo, rappresentanti delle Istituzioni, responsabili della cosa pubblica. E tutti riconoscono, tutti riconosciamo ai nostri caduti un’autorevolezza, un potere che essi hanno esercitato e insegnano a esercitare.

È il potere del servizio, l’autorevolezza della coerenza e della testimonianza, che ha molto da dire pure oggi.

Un servizio che non cerca l’utile, non si inquina con la ricerca di interessi personali o ricompense, è libero da infiltrazioni, corruzioni o da qualsiasi forma di attaccamento a tutto, persino alla propria vita.

Bisogna dare spazio a questo peculiare e nobile magistero esercitato dai nostri caduti e portato avanti da militari che vivono così il proprio servizio quotidiano, con l’impegno di custodire l’ordine e la sicurezza nelle città e nell’ambiente e di difendere ogni vita umana; soprattutto, con la generosa disponibilità a operare in contesti di conflitti e situazioni estreme di povertà, combattendo il clima di terrore e di odio violento con la logica del rispetto dei popoli e della carità fraterna.

Tutti costoro hanno risposto all’invito che, anche recentemente, Papa Francesco ha espresso, esortando i cappellani militari di tutto il mondo ad aiutare in particolare i militari che si trovano «in situazioni di conflitto internazionale», «ad aprire le loro coscienze a quella carità universale che avvicina l’uomo all’uomo, qualunque sia la razza, la nazionalità, la cultura, la religione dell’altro» e a non «farsi derubare dei valori umani e cristiani»[1].

Questo i nostri caduti hanno fatto. E bisogna dare spazio al loro esempio e alla testimonianza, piuttosto che assecondare proposte ideologiche e polemiche, tese a cancellare il ricordo di chi ha servito la Patria fino a sacrificarsi per essa e per la libertà altrui!

Carissimi familiari, i vostri cari hanno vissuto profondamente il senso del servizio e del sacrificio e questo è motivo di gratitudine grande e commossa, da parte della nostra Chiesa, del nostro Paese, dei popoli da essi serviti.

Questo loro sacrificio, però, non è facile per noi da accettare. Serve la fede; e spesso proprio la fede sembra mancare. Il brano evangelico che parla del servire, in realtà, è preceduto da due versetti che ne spiegano il senso (Lc 17,5-6): «Accresci in noi la fede», dicono gli apostoli a Gesù. E noi ci uniamo al loro grido, soprattutto quando ci sentiamo schiacciati dal dolore, bloccati dall’ingiustizia, angosciati dalla paura del ricordo e, forse, dall’amarezza di constatare quanto rimanga esposto al rischio, talora a un rischio eccessivo, il servizio di tanti uomini e donne delle Forze Armate e Forze dell’Ordine.

La risposta di Gesù è profonda e consolante: «Se aveste fede quanto un granellino di senape, potreste dire a questo gelso sradicati e vai a piantarti nel mare…». Gesù non ci sta rimproverando, come spesso si pensa. Al contrario, ci sta dicendo che basta poco, basta quell’invisibile granellino di fede, forse quel piccolo gesto che oggi ci fa essere qui a pregarlo… che basta la nostra fede povera a sradicare alberi forti, a fare quanto umanamente impossibile.

Sì, perché quella fede, con il Suo aiuto, cresce con la stessa forza di un seme nella terra e ci rende capaci di benedire il Signore per il servizio a Dio, agli altri, alla città dell’uomo che i nostri caduti hanno testimoniato con il loro sacrificio: un magistero d’amore e di pace che tutti – cittadini, uomini di governo, uomini di Chiesa – dovremmo imparare, ringraziare, ammirare.

Santo Marcianò

[1] Francesco, Discorso ai Partecipanti al V Corso internazionale di formazione dei cappellani militari cattolici al diritto internazionale umanitario, Roma 31 ottobre 2019