Omelia nella celebrazione presso la Caserma “Ugo Mara” – Corpo di Armata di Reazione Rapida della NATO

15-05-2014

9 febbraio – Solbiate Olona  Carissimi fratelli e sorelle,con gioia ci accostiamo all’altare del Signore. È la gioia di sentirci attesi da Lui, di sentirci accolti da Lui, di sentirci amati da Lui, quali che siano le nostre paure e tristezze, i peccati e le tenebre. È la gioia di percepire che Lui è davvero la «luce del mondo», la nostra Luce! La Liturgia della Parola, oggi, ci invita a guardare alla «nostra luce» come a quella luce che risplende nel mondo quando noi seguiamo Cristo: «Il giusto risplende come luce», abbiamo cantato nel responsorio al Salmo 111. Spesso avvertiamo, nella nostra esperienza personale come nel grido di tanti fratelli e sorelle, che il mondo è avvinto da tenebre di vario genere. La luce è necessaria per procedere con sicurezza, per riscaldare, per vincere le paure e noi siamo chiamati a «far risplendere» questa luce. Con l’aiuto delle Letture ascoltate ci chiediamo dunque:1.                  Cosa fare? 2.                  In che modo farlo? 3.                  Perché farlo? Cosa fare? Lo dice in modo inequivocabile Isaia nella prima Lettura (Is 58,7-10): la nostra luce deve risplendere anzitutto fra le tenebre della povertà. Sembra riecheggiare, nelle parole del profeta, il grido profetico di Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium[1] «no ad un’economia dell’esclusione». «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana – spiega il Papa -, oggi dobbiamo dire “no ad un’economia dell’esclusione e dell’inequità”». Escludere il povero, potremmo dire, equivale a ucciderlo!Perché ciò non accada, ecco alcuni verbi che Isaia ci invita a declinare. –           Condividere: dividere, letteralmente, il pane con l’affamato: «non si può tollerare che si getti  il cibo quando c’è gente che soffre la fame».-          Accogliere: aprire le porte della propria casa, della propria nazione, della propria mente e del proprio cuore a coloro che sono senzatetto, a coloro che non hanno un tetto perché stranieri; a coloro che hanno perso il tetto e il lavoro… il rifiuto e la solitudine, non lo dimentichiamo, sono la parte più dolorosa della povertà.-           Accorgersi: lasciarsi inquietare dalla nudità dei fratelli, superando l’indifferenza che ci fa concentrare sul superfluo, sul lusso, sull’inutile: «La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato – ammonisce il Santo Padre -, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo»[2].-       Purificarsi: rendere pure le azioni, abbandonando l’ingiustizia e l’oppressione; puro il cuore, abbandonando il giudizio del fratello; pure le parole, abbandonando la maldicenza e la calunnia.-         Aprirsi: consegnarsi totalmente, fino a consegnare il proprio cuore per raggiungere veramente tutte le povertà, anche le povertà del cuore, le sofferenze, le solitudini, il rifiuto di Dio. È questa, se ci pensiamo bene, la vera carità. Ed è proprio la carità la luce che risplende nelle tenebre! Ma come farla questa carità? Stiamo celebrando l’Eucaristia in una Caserma; molti di voi sono appena rientrati dalla missione di pace in Afghanistan dove io stesso ho trascorso il Natale, e penso che questa domanda non si possa eludere, per portare avanti in modo sempre più “evangelico” il servizio che i militari cercano di rendere: con la custodia dell’ordine nel nostro Paese e con la difesa di popoli oppressi da guerre, ingiustizie, povertà, fame… popoli il cui dolore non ci lascia indifferenti. Ma questa è una domanda che ci facciamo tutti; perché se l’elemosina ci permette di dare ai poveri è solo la carità che ci fa essere poveri con i poveri. Cari amici, a me sembra che per realizzare la carità ci sia una sola via: farsi realmente poveri con i poveri; e che per fasi poveri con i poveri ci sia un’unica via: la croce! Cogliamo qui il nucleo dell’annuncio evangelico espresso in modo splendido dalle parole di Paolo nella seconda Lettura (1 Cor 2,1-5). Paolo ci parla della croce come di una «sapienza». Sì, c’è una sapienza divina, una sapienza che ci permette di comunicare il Divino. Tale sapienza, sia pure nel Mistero, risplende dalla Croce e sulla Croce; risplende in Cristo, che si è fatto crocifiggere per noi, e risplende in tutti coloro che accettano di salire sulla Croce assieme a Lui, per i fratelli. Questa sapienza, che è la sapienza della Croce, si può predicare solo dalla Croce. La Croce è una “cattedra” sulla quale Paolo ci invita a salire: è da qui che, potremmo dire, risplende la luce del Vangelo, perché risplende la Luce di Cristo Crocifisso. Mai, come ai nostri giorni, occorre “recuperare il Crocifisso”. Si vuole eliminare dalle aule, dai luoghi pubblici, quasi cancellando, dietro un’apparente apertura e tolleranza, l’appartenenza che segna le nostre stesse radici. Questo è già gravissimo e profondamente allarmante. Ma c’è qualcosa di più! Il Crocifisso, ricordiamolo, si vuole eliminare trasformando quella che è stata sempre la lotta alla sofferenza – che, giustamente, segna la vocazione e l’impegno di ogni essere umano – in lotta al sofferente. Quanta discriminazione e solitudine; quanta mentalità edonistica e utilitaristica che ci porta a selezionare le vite in “degne” e “non degne” di essere vissute. È il grande tema della difesa della vita sofferente, fragile, disabile, prenatale, rifiutata. È il grande avvertimento a non cancellare il Crocifisso eliminando i crocifissi, ma a saper stare accanto a chi è fragile, a chi soffre, a chi muore; a chi è nel pericolo o nel bisogno, agli stranieri, ai profughi, agli emarginati; a quelle che Papa Francesco chiama «vite di scarto» e che, spesso, proprio noi militari siamo chiamati a custodire. E stare accanto in modo evangelico, cioè testimoniando che incontrare Gesù Crocifisso significa incontrare Gesù Risorto! Ma perché fare questo, perché cercare questa sapienza? La sapienza che Paolo propone è l’umiltà e la piccolezza della Croce. E questa piccolezza ci offre, per così dire, una vera “metodologia evangelizzatrice”: solo dinanzi ad un evangelizzatore umile, piccolo, crocifisso, si può veder risplendere la luce di Cristo. La parola sapienza richiama anche il latino sàpere, che significa avere sapore: questo, se ci pensiamo bene, è il ruolo del sale. «Voi siete sale…vie siete luce», dice Gesù nel Vangelo (Mt 5,13-16). E il verbo «siete» è decisivo. Il motivo per cui siamo chiamati a risplendere nel mondo, ad evangelizzare, a farci poveri e crocifissi, è il fatto che «siamo» luce. E questo non è un qualcosa che deve accadere, non è un premio che acquisiremo: è la nostra vocazione, la nostra identità! Sì, carissimi fratelli e sorelle, carissimi militari, carissime famiglie, carissimi ascoltatori di Radio Maria, soprattutto cari malati che saluto e ringrazio dal profondo del cuore. Noi siamo luce! Tu sei Luce! Non dimenticarlo. Non lasciare che le tenebre ti ingannino al punto da farti sentire avvolto. Tu sei crocifisso con Cristo Crocifisso, sei risorto con Cristo Risorto, sei luce perché Egli è la Luce del mondo. SeguiLo, scegliLo, amaLo, come Lui ti ha scelto e amato! Riscopri con gioia la tua identità di luce: così, se tu risplenderai, tanti uomini avvolti dalle tenebre della povertà, della sofferenza, della morte, «renderanno gloria al Padre che è nei cieli»; così si alzerà, giorno dopo giorno, croce dopo croce, luce dopo luce, una grande preghiera che, attraverso la povertà, la sofferenza, la morte, ci condurrà, tutti insieme, a contemplare la Luce della Vita, insieme con Maria che, da questa Luce della Vita, si è fatta attraversare e che si è fatta abitare da Cristo, per donare la Sua Luce a ciascuno di noi.E così sia!  X Santo Marcianò  


[1] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 53
[2] Ibidem, n. 54