Omelia nella festa di San Matteo, patrono della Guardia di Finanza

23-09-2019

Carissimi, ritrovarsi assieme è sempre un dono, una ricchezza, una preziosa occasione di riflessione. Per questo, vi saluto con profonda stima e gratitudine in questa festa che è la vostra festa.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato (Mt 9, 9-13) ci fa incontrare un uomo del quale viene narrato un grande cambiamento, una trasformazione operata dalla grazia dell’incontro con Gesù. È Matteo, vostro Patrono, la cui esperienza di vita ha molto da insegnare a tutti noi, in particolare a voi, uomini e donne della Guardia di Finanza, inseriti nel mondo della sicurezza e dell’economia. Vorrei provare a rileggere il cammino di trasformazione di Matteo in tre tappe e in tre verbi; tre scene caratterizzate, in un certo senso, da una diversa visione economica e antropologica.

 

Nella prima scena, Matteo «sta al banco delle imposte». Il suo ruolo ha a che vedere con quella funzione “esattoriale” per la quale gli operatori erano in genere corrotti o ladri, pronti a trattenere per sé una percentuale significativa di quanto riscuotevano.

Egli è un uomo concentrato sull’“avere”. Sull’avere per sé, sulla logica dell’accumulo a scapito del prossimo, soprattutto dei più poveri che un esattore del suo rango aveva tra i clienti. Un peccatore, si definirà, se pensiamo che è stato lui a scrivere questo Vangelo.

Matteo, potremmo dire, si muove entro un’economia del profitto, frutto di un’antropologia individualista che guarda all’uomo in chiave utilitarista e consumista. E oggi non appare certo lontana la sua figura e la sua visione economica, le cui conseguenze si ripercuotono fortemente sul comportamento dei singoli e sull’organizzazione della comunità civile.

È un’attenzione all’accumulo che vede, come spesso ripete Papa Francesco, pochi ricchi sempre più ricchi e molti poveri sempre più poveri. Una logica di cui i poveri sono vittime, per fame, mancanza di lavoro, indifferenza dei fratelli. Ma anche i ricchi, in un certo senso, sono o diventano vittime di un tale sistema, perché invischiati nell’insaziabilità che non li appaga e ne impedisce la felicità, fomentando scelte di illegalità, corruzione, frode fiscale, fino alla terribile criminalità di narcotrafficanti e mercanti di morte.

Da qui, le conseguenze sull’organizzazione sociale, caratterizzata da molti squilibri e molti scarti: dal tema scottante degli sprechi alimentari – che, se combattuti, basterebbero da soli ad annullare il problema della fame nel mondo – ai cittadini scartati dall’accesso a vantaggi, incentivi, spesso agli stessi diritti… E anche lo Stato, alla fine, finisce per essere vittima di questo sistema; perfino Stati che, pur se apparentemente ricchissimi, possono rimanere isolati sul piano finanziario o dall’economia internazionale, particolarmente in tempo di globalizzazione.

 

Nella seconda scena, Matteo, dopo essersi sentito guardato da Gesù, «si alza». Passa dalla sicurezza dell’avere al coraggio di “lasciare”. Lascia tutto ciò che aveva accumulato, rubato. Lascia un’economia del profitto per un’economia dell’equità, basata su un’antropologia della libertà e della giustizia.

Matteo comprende di non aver bisogno di tutte le cose che, fino a poco prima, avevano costituito il suo mondo, le sue sicurezze, le sue ricchezze; comprende che il bene non sta nel possedere ma nell’usare con sobrietà e, soprattutto, nel non usare gli altri, strumentalizzandoli al fine di affermare i propri interessi. In una parola, Matteo comprende che l’uomo – ogni persona umana – non è un mezzo ma un fine ed è portatore di una dignità infinita; che l’uomo non vale per ciò che ha ma per ciò che è!

Una tale visione economica si ripercuote decisamente sul piano socio-politico, aiutando a riscoprire come la ricchezza di una Nazione non stia solo nel suo PIL. Sì. La ricchezza di una Nazione è nelle sue bellezze naturali, nel creato da salvaguardare e proteggere dagli eccessi e dagli attacchi che ormai da più parti si denunciano. È nel suo patrimonio artistico e culturale, voce della storia di un popolo e della sua identità. La ricchezza della Nazione, soprattutto, è il suo popolo; è ogni cittadino, con la sua unicità e creatività.

La Nazione si impoverisce, il popolo si impoverisce ogni qualvolta abbia la meglio l’incuria e la violenza, l’illegalità e la discriminazione, l’ingiustizia distributiva e fiscale. Ma la Nazione si impoverisce, il popolo si impoverisce ogni qualvolta venga minata la dignità e la vita dell’uomo: si impoverisce con la denatalità, così elevata in questi ultimi anni in Italia; si impoverisce con la cultura e le politiche contro la vita nascente o in condizioni di fragilità, sofferenza, disabilità; si impoverisce quando, come in questi anni e in questi ultimi giorni, leggi come l’aborto o l’eutanasia si arrogano il diritto di decidere sulla vita e, di fatto, calpestano proprio il diritto alla vita.

Eppure, dinanzi a questi problemi, tante sono le risposte belle. Soprattutto, grande è il vostro coinvolgimento, cari amici della Guardia di Finanza! Il vostro compito vi inserisce, per così dire, nel momento della sua vita in cui San Matteo passa dalla logica del profitto all’economia dell’equità. Di questa economia – che, abbiamo visto, valorizza i singoli, il popolo e la Nazione – voi siete strumento, nel vostro peculiare impegno per la trasparenza e la legalità, per la giustizia distributiva e fiscale, per la salvaguardia del creato, del patrimonio artistico e della vita umana, sul piano nazionale e nei rapporti internazionali.

 

Ma c’è un’ultima scena evangelica da contemplare: Matteo, alzatosi, «segue» Gesù. Egli aveva lasciato tutto; ora, sull’esempio del Suo Maestro, impara a “dare”. Matteo va oltre l’equità e la giustizia, sperimentando l’economia della comunione, le cui fondamenta si riconoscono nell’antropologia del dono e del dono di sé. È la cura della solidarietà, della sobrietà, della condivisione; e, secondo molti studiosi, i frutti che essa porta, anche in chiave prettamente economica, sono straordinari.

Perché se è vero che la giustizia è necessaria, è anche vero che essa non è sempre sufficiente a colmare quei vuoti che solo la carità, l’amore può sanare.

Anche la vostra, cari uomini e donne della Guardia di Finanza, può diventare – e spesso lo diventa – una grande testimonianza di carità; una dimostrazione di quell’eccesso di amore, che ha trasformato Matteo in modo diametralmente opposto rispetto alla sua smania di possesso e che in voi si concretizza nel modo in cui donate la vita, non di rado anche in situazioni di altro rischio fino al sacrificio.

Sì, c’è e ci deve essere l’amore dietro i vostri impegni quotidiani, dietro la responsabilità di chi comanda, dietro lo svolgimento di compiti istituzionali, anche da parte delle più alte cariche di governo. Perché l’amore è servizio e il compito degli uomini delle istituzioni, la missione dei pastori della Chiesa, il nostro comune impegno di cristiani, uomini e donne che seguono Gesù, è un vero e proprio servizio all’uomo, al cittadino, alla comunità. E Gesù dirà in modo chiaro che non si possono «servire» due padroni, occorre scegliere: o Dio o il denaro!

 

Cari fratelli e sorelle, noi abbiamo scelto! Voi, come Matteo vostro Patrono, avete scelto! E la vostra scelta è un servizio di cui la Chiesa, assieme alla comunità civile, riconosce il valore insostituibile. Grazie di cuore, dunque. Sentitevi sostenuti dall’affetto e dalla preghiera del nostro popolo, che conta su di voi.

E siate certi che su di voi conta anche il Signore! Guardandovi con lo sguardo d’amore e di misericordia con cui avvolse Matteo, Egli sostiene il nostro cammino, anche nei momenti difficili. Ricordate che proprio quando siamo malati abbiamo più bisogno del Medico celeste e sappiate sempre guardare a Lui, seguendo le Sue orme che conducono alla giustizia e alla misericordia, al servizio d’amore e alla pace. E così sia!

Santo Marcianò