Omelia per la festa di S. Giovanni XXIII, 11 ottobre 2018

15-10-2018
 Roma, festa S. Giovanni XXIII, 11 ottobre 2018

 «Testimone delle sofferenze di Cristo». Così Pietro, nella prima Lettura (1Pt 5,1-4), definisce se stesso.  Il suo essere pastore, chiamato a guidare la Chiesa: a «pascere», ad accompagnare nella fede, sostenendo il cammino di quel «gregge» che egli sente «affidato» e che sa essere affidato a ogni persona che abbia compiti di guida nella Chiesa. Si definisce così quel Pietro che, come sappiamo, aveva tradito Gesù nella Passione; che, ancor prima – cioè proprio subito dopo aver ricevuto la sua missione – aveva rifiutato l’idea della sofferenza e della croce alla quale Gesù stava preparando i suoi discepoli. È la stessa persona eppure, tra l’episodio evangelico e il tempo in cui scrive la sua prima Lettera, egli è molto cambiato, è molto maturato; ha acquistato, potremmo dire, autorità, autorevolezza; è diventato «testimone delle sofferenze di Cristo». Solo quando capisce il senso della sofferenza del suo Maestro, al punto da volerla condividere, Pietro diventa un vero pastore, una vera guida, un vero servitore… un vero «testimone». E testimone è colui che, secondo l’etimologia del termine, dona la vita totalmente, fino al martirio. Ecco l’autorità di chi guida che è poi l’autorità di chi serve; ecco la maturità a cui può e deve giungere il ministero di chi dona la propria vita agli altri.   Siamo qui a ricordare San Giovanni XXIII. Ne celebriamo la memoria, contemplando la sua figura così attuale ed eloquente, capace di parlare alla Chiesa, al mondo, a voi militari dell’Esercito Italiano che, da sempre, lo avete venerato e, da un anno, lo avete ricevuto in dono come Patrono. E credo che questo grande Papa ci abbia insegnato una tale autorità, che per lui si è realizzata già a partire dal suo impegno di soldato e di cappellano militare; un ministero, questo, che egli scelse proprio per condividere e alleviare le sofferenza dei soldati durante la guerra, per vivere loro accanto, costruendo gesti di consolazione e di pace. Non fu, il suo, un compito vissuto semplicemente con alto senso del dovere e di obbedienza, ma una vicinanza che solo il cogliere le sofferenze dell’altro e parteciparvi può realizzare. Questo caratterizzò gli anni trascorsi al fronte; e questo, da Pontefice, gli diede autorità sulla Chiesa e sul mondo, al punto da permettergli di porre fine al conflitto mondiale che sembrava inevitabile, in seguito alla crisi di Cuba: le grandi potenze, allora, accolsero il suo grido di uomo di pace perché riconobbero in lui la preoccupazione di un uomo partecipe delle sofferenze dell’umanità, l’autorità di un uomo vicino agli uomini. «Era l’apice della cosiddetta “guerra fredda” – ricordava Papa Francesco, in un discorso per i 50 anni dalla Pacem in Terris -. Alla fine del 1962 l’umanità si era trovata sull’orlo di un conflitto atomico mondiale, e il Papa elevò un drammatico e accorato appello di pace, rivolgendosi così a tutti coloro che avevano la responsabilità del potere; diceva: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: Pace, pace!” (Radiomessaggio, 25 ottobre 1962). Era un grido agli uomini, ma era anche una supplica rivolta al Cielo. […]. I semi di pace -conclude Francesco – hanno portato frutti. Eppure, nonostante siano caduti muri e barriere, il mondo continua ad avere bisogno di pace e il richiamo della Pacem in Terris rimane fortemente attuale»[1]. Sì, c’è ancora tanto bisogno di pace. C’è ancora bisogno di vicinanza, costruttrice di pace. E anche se voi militari non sempre operate in teatri di guerra o non tutti affrontate direttamente la guerra, come fu per Giovanni XXIII; anche se la profondità e l’ampiezza del vostro servizio non sempre sono conosciute e riconosciute, il vostro compito si concretizza in una vicinanza partecipe delle sofferenze altrui, per condividere quelle sofferenze di Cristo che continuano in coloro che siete chiamati a difendere, custodire, proteggere, promuovere. Continuano nei nostri cittadini, vittime di vari problemi di ordine pubblico, illegalità, ingiustizie, violenze. Continuano in tante categorie di persone discriminate e perseguitate da ogni forma di criminalità, per motivi sociali, per odi razziali, per scarti di diversa natura. Continuano nei popoli ai quali mostrate la vicinanza della nostra Nazione, nelle missioni internazionali per la pace, affrontando i conflitti in atto o la devastazione da essi provocata. Continuano, queste sofferenze, ogni qualvolta nel nostro Paese, o in Paesi più lontani, si sperimenti la tragedia delle calamità naturali o dei disastri provocati dall’uomo… E voi siete così: non solo tecnici competenti, coraggiosi e incuranti del rischio, sempre primi a giungere dove ci sia il bisogno e ultimi ad andar via, ma uomini capaci di vicinanza, di partecipazione alle sofferenze della gente. Questa vicinanza, per vivere la quale il grande San Giovanni XXIII vi dona l’esempio e la forza, vi conferisce l’autorità straordinaria della testimonianza, oggi profondamente necessaria. Necessaria dinanzi a chi, per disinformazione o pregiudizio, si ostina a non voler intravedere la quotidiana opera di pace che voi militari dell’Esercito Italiano, assieme a tutte le Forze Armate e Forze dell’Ordine della nostra Nazione, svolgete. Necessaria dinanzi a chi, tra i cittadini o anche tra i responsabili della cosa pubblica, opera o decide dimenticando la centralità dell’uomo, di ogni uomo, e l’inviolabile dignità della sua vita; a chi opera o decide con la superficialità dell’indifferenza o con la falsa autorità della distanza. Necessaria, oggi, l’autorità della vostra testimonianza, non di rado offerta fino al dono della vita. In questo momento, vogliamo con grata commozione ricordare anche tutti i caduti dell’Esercito; e mi piace pensare che Papa Giovanni, Patrono anche per essi, li accompagni in cielo lui che, in terra, aveva saputo partecipare alle sofferenze dei soldati che morivano, stando loro vicino in modo autentico. Possa, questo nostro amato Santo, intercedere per la pace, dono di Dio e compito di ogni uomo; possa intercedere per tutti i militari, chiamati a operare per la pace, e aiutarli a maturare nella responsabilità di essere servi e testimoni delle sofferenze di Cristo che continuano nei nostri fratelli in umanità. Questo voi siete, cari fratelli e sorelle dell’Esercito Italiano, e ve ne siamo profondamente grati. Insegnate ad esserlo, al nostro Paese e a ciascuno di noi!   X Santo Marcianò


[1] Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal pontificio consiglio della giustizia e della pace nel 50° anniversario della Pacem in Terris, 3 ottobre 2013