Omelia Sacrario dei caduti d’oltre mare

13-11-2019

Bari, Sacrario dei caduti d’oltre mare, 13 novembre 2019

Accogliere, custodire, ringraziare. Sono verbi che la Parola di Dio ci consegna, aiutandoci a cogliere in profondità il senso di  questa nostra Celebrazione, nella Cerimonia di traslazione dei resti mortali di i ventisette militari caduti nella 2ª Guerra Mondiale, che verranno posti in questo Sacrario Militare. Un evento reso possibile dal serio lavoro di ricerca svolto dal Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti.

Accogliere, custodire, ringraziare.

Oggi accogliamo salme che questa volta restano ignote. C’è un senso profondo in questa accoglienza di militari ignoti, un senso di cui il Vangelo che abbiamo ascoltato (Lc 17,11-19) offre la cifra.

Gesù accoglie e guarisce dieci lebbrosi. Non si specifica qui la loro identità, come in altri racconti evangelici di guarigioni; si sa però che la lebbra è una malattia che, al tempo di Cristo, era causa di esclusione e discriminazione, era considerata un’impurità, una diminuzione della dignità umana.

Noi accogliamo salme ignote e ad esse tributiamo gli onori dovuti a qualunque militare caduto, in ragione della sua dignità umana, in ragione del servizio che ha reso, fino al dono della propria vita.

Nel racconto, i lebbrosi si rivolgono a Gesù e restano a distanza, proprio perché si sentono impuri. Ma Gesù, dice l’evangelista Luca con la cura dei particolari che lo contraddistingue, li «vide». È un verbo centrale: Gesù guarda i lebbrosi. Li vede per la prima volta, non sa chi siano; eppure, vede ciò che gli altri non vedono, poggia su di essi uno sguardo di amore, di misericordia, consapevole che l’unicità di ogni persona non rende nessuno ignoto ai Suoi occhi.

Ecco, in questi caduti che oggi accogliamo vogliamo vedere l’unicità irripetibile di volti sconosciuti ai nostri occhi ma non a quelli di Dio. Storie di giovani chiamati a combattere, che hanno vissuto gli orrori e le paure della guerra, pianti dalle loro famiglie. Storie ignote ma che si uniscono alle storie dei tanti militari che danno un contributo essenziale e spesso non riconosciuto alla storia del nostro Paese.

Uno dei lebbrosi che Gesù accoglie e guarisce «era un Samaritano»; e all’impurità della malattia, potremmo dire, si aggiungeva l’impurità della razza. In queste salme ignote noi accogliamo l’uomo nella sua dignità intangibile di figlio di Dio che mai va discriminata per ragioni di razza, lingua, religione… accogliamo un messaggio di inclusione e rispetto di ogni persona, proprio in un tempo che vede rigurgiti pericolosi di intolleranza e razzismo – soprattutto nei confronti di stranieri, profughi, a volte addirittura negazionismo verso i fratelli di religione ebraica –, purtroppo anche nel nostro Paese, e che vede terribili persecuzioni e stragi di cristiani in molti Paesi del mondo.

Accogliere significa pure custodire. «Chi custodisce santamente le cose sante sarà riconosciuto santo», abbiamo ascoltato dalla prima Lettura (Sap 6,1-11).

La custodia della sacralità del corpo esprime e conferma la sacralità dell’uomo, della vita umana,  a difesa della quale i nostri militari esercitano il loro servizio. C’è dunque, , nel custodire le salme, una profonda ragione antropologica, dimenticata o offuscata dalla cultura che tenta di impossessarsi della vita e della morte, cancellando la dimensione del mistero che è propria dell’esistenza umana, dal suo inizio nel tempo al suo passaggio nell’eternità.

Il modo in cui un popolo, una cultura, una tradizione, tratta i propri defunti manifesta, in qualche modo, il rapporto con il senso che alla vita attribuisce.

Oggi, nella civiltà del benessere e dei consumi, il valore della vita umana è dimenticato, non è posto più al centro delle scelte culturali, sociali, economiche e politiche e, di conseguenza, del messaggio educativo che trasmettiamo. È un’aberrazione della cui gravità, forse, non ci si rende conto: se alla vita dell’uomo non è riconosciuta sacralità e inviolabilità, se tale sacralità e inviolabilità non è riconosciuta all’essere umano più debole o improduttivo – dal bambino nel grembo materno fino a tutte le forme di sofferenza umana, disabilità o vita terminale -, è aperta la strada a ogni tipo di esclusione, discriminazione o scarto ed è trasmessa ai giovani la convinzione che la vita non sia sempre degna di essere vissuta e che la morte, come ha recentemente ricordato Papa Francesco, non sia da guardare come mistero ma da ridicolizzare. Comprendiamo bene come in una cultura del genere appaia vano ed inutile il culto delle salme…

Per questo, dobbiamo ringraziare voi, carissimi militari e cari amici di Onorcaduti. Voi che siete eredi, come ho detto altre volte, di una cura verso i defunti che furono proprio cappellani militari a manifestare per primi durante le guerre mondiali – curate il recupero e la custodia dei caduti, l’interesse a ricostruire le loro storie, a restituire le salme ai familiari. Grazie ai militari italiani dei diversi Corpi, per l’attenzione, direi, “di famiglia”, che ancora oggi riservate ai vostri defunti, soprattutto ai colleghi caduti nel compire il proprio dovere, rimanendo vicini, con l’affetto ma anche con l’aiuto concreto, al dolore delle famiglie.

Solo ieri abbiamo celebrato la Messa per i caduti di tutte le Missioni Internazionali di supporto alla pace, che ogni anno vede riunite le loro famiglie, aiutate dall’amore fraterno e dalla preghiera a vivere il loro dolore alla luce della fede nel Cristo Risorto. E come nella Celebrazione di ieri, anniversario della strage di Nassiriya, anche oggi vogliamo dire grazie con affetto e pregare con fede per i nostri militari gravemente feriti in Iraq nell’attentato di domenica scorsa, che ancora una volta ha reso vittima della logica del terrore e dell’intolleranza proprio chi, in questo caso con l’impegno di addestramento delle Forze di difesa locali, combatte l’odio e la violenza con il supporto della carità fraterna.

Molte volte ho avuto modo di considerare quanto il mondo militare italiano sia oggi portatore di ricchezza di umanità e di valori che il mondo dimentica – rispetto, coraggio, oblatività, precisione, dedizione senza riserve… – valori che testimonia anche nel modo in cui tratta i caduti, rispettando il valore della vita umana e della sua dimensione di eternità.

Cari amici, «in ogni cosa rendete grazie», abbiamo ascoltato dal versetto alleluiatico. E noi vogliamo dirvi un “grazie” che non sempre vi viene adeguatamente tributato.

Gesù fa esperienza di questa mancata gratitudine: uno solo dei dieci lebbrosi guariti torna a ringraziare. Ed è proprio lo straniero, il Samaritano; colui dal quale, forse, non ce lo saremmo aspettato.

Ecco, anche per voi militari è così; quel grazie che spesso manca è il grazie che vi dicono i cittadini italiani ma anche gli stranieri, popoli e persone delle quali forse non conoscerete mai il nome.

È il grazie che vi dicono questi “caduti ignoti” che ci ricordano la dignità unica e irripetibile di ogni creatura umana, per la quale vale la pena di operare e lottare, di offrire il proprio servizio e donare la propria esistenza. Come voi militari avete fatto e continuate a fare. Grazie di cuore.

Santo Marcianò