Omelia Sotto il Monte BG, 30 maggio 2018

30-05-2018
«Comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza, magnanimità, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace».

 Carissimi fratelli e sorelle, le parole di Paolo nella seconda Lettura (Ef 4, 1-7. 11-13) sono parole che, senza sforzo, riusciamo a sentire dalla stessa bocca di San Giovanni XXIII, che siamo venuti a venerare nella sua terra natia. «Umiltà, dolcezza, magnanimità…» tratti della sua stessa personalità, formatasi qui, nella sua famiglia e tra la gente di Sotto il Monte; maturata grazie alla sapienza contadina, capace di imparare dalla terra, e al clima di familiarità respirato in questo paesino, dove la vita di ciascuno è importante ed è al centro della vicenda umana. Quella centralità della persona che permise ad Angelo Giuseppe Roncalli di cogliere il vero fondamento della «pace». Ed è la pace che invochiamo in questa Eucaristia, come in ogni Eucarestia, e che vede i Militari italiani pellegrini da Papa Giovanni: sono oggi presenti tutti i corpi militari, con una particolare rappresentanza dell’Esercito che, da poco meno di un anno, può venerare in Papa Giovanni il suo Patrono presso Dio. È commosso, oggi, il nostro cuore; perché se è vero che tante volte abbiamo venerato Papa Giovanni, lo siamo andati a trovare in San Pietro, è qui che dobbiamo tornare se vogliamo cogliere in pieno il suo messaggio, soprattutto il suo messaggio di pace. Sì, pace. Da lui la invochiamo come dono, in un frangente della storia non meno drammatico di quello che egli si trovò ad affrontare; con lui la invochiamo come compito, affidato, in modo particolare, a voi che della pace siete chiamati ad essere ministri, svolgendo quel servizio militare in cui egli vi ha preceduto come soldato e alla cui cura si è dedicato come cappellano. Mi piace pensare che San Giovanni XXIII stia continuando questo servizio per voi; che, dal Cielo, egli continui a sostenere l’Esercito e tutta la realtà militare italiana, perché volgano la loro opera sempre più verso quella difesa dell’uomo senza la quale la pace non può esistere.   La pace è realtà complessa; come la parola ebraica shalòm, da cui deriva, ha molte sfaccettature e ogni tentativo di riduzionismo o semplificazione finisce per svilirne pericolosamente il significato, aprendo a rischi ideologici. La pace, lo sappiamo, non è semplice assenza di guerra ma racchiude in sé il rispetto della vita e della dignità umana, della giustizia e solidarietà, della verità e libertà… quasi un’armonia di significati, che potremmo paragonare alla parola «pienezza», di cui parla Paolo. Un termine molto importante, con un particolare significato teologico e spirituale, e che egli riferisce a Cristo e al corpo di Cristo che è la Chiesa, alla cui «pienezza» ogni membro partecipa. E, proprio parlando di corpo, Paolo richiama all’«unità», che esorta a conservare attraverso il «vincolo della pace». È interessante che la parola vincolo, in greco sia siundésmo, che contiene la particella siùn – insieme – e desmo, vale a dire la stessa espressione che egli usa quando si definisce «prigioniero» – désmios. La pace deve legare, unire gli uomini quasi con la stessa forza delle catene, per garantire una serena convivenza. «Gli esseri umani, essendo persone – scriverà infatti Giovanni XXIII nella Pacem in Terris –, sono sociali per natura. Sono nati quindi per convivere e operare gli uni a bene degli altri»[1]. Ma su quali elementi si deve fondare questa convivenza pacifica, che ci “vincola” nella pace? È lo stesso nostro Papa a risponderci, offrendo quattro parole che è bello rileggere alla luce della Parola di Dio: verità, giustizia, amore, libertà.   «La convivenza fra gli esseri umani è ordinata, feconda di bene e rispondente alla loro dignità di persone quando si fonda sulla verità… ciò domanda che siano sinceramente riconosciuti i reciproci diritti e i vicendevoli doveri»[2]. La parola verità, oggi impopolare o relativizzata, ci fa cogliere la portata di quanto detto da Gesù, con le parole che abbiamo ascoltato nel versetto alleluiatico: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me» (Gv 10,14). C’è un conoscere che si accompagna al riconoscere ciò che è proprio dell’uomo. Dio conosce la sua creatura; conosce la sua verità profonda, che non si riduce a definizioni, non è compatibile con discriminazioni, non esclude nessuno dalla dignità. La pace si costruisce sulla dignità dell’uomo e operatore di pace è chi la riconosce, la rispetta, la difende. Come non pensare a quanto sia importante la vostra opera di militari in difesa della vita e della dignità umana? E come non pensare a quale rispetto contraddistinguesse Papa Giovanni nel suo relazionarsi con ogni genere di persone? Egli, si può dire, guardava nell’uomo anzitutto la sua verità di persona e questo gli permetteva di non classificare, di non giudicare, di accogliere tutti, sempre, nessuno escluso mai.   La convivenza pacifica, poi, «si attua secondo giustizia»[3]. E se la giustizia umana deve garantire tanto la retribuzione quanto la pena, la giustizia di Dio vuole che nessuno si perda: «Io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna… andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita», abbiamo ascoltato nella prima Lettura (Ez 34,11-16). È giustizia continuamente aperta al recupero, al perdono, alla guarigione… che davvero non vuole perdere nessuno. Penso ad Angelo Roncalli quando, Nunzio Apostolico in Turchia, non volle perdere neppure uno degli ebrei destinati ai campi di concentramento, riuscendo a salvarli in etremis… Penso a quando, per la prima volta, un Papa – Giovanni XXIII appunto – varcava la soglia di un carcere, mettendo, come egli stesso disse, i suoi occhi in quelli dei detenuti e il suo cuore nel loro cuore. E penso a quando il Papa Buono seppe risolvere la crisi di Cuba, insegnandoci come ci sia una giustizia che sa di poter continuare a sperare fino alla fine in quel seme di bontà che Dio, essendo “giusto”, ha deposto in ogni uomo. Un seme di bontà nel quale anche voi, militari, dovete sempre sperare, sia pure dinanzi a ciò che appare impossibile, per quella giustizia che vuole recuperare chi sembri perduto e, per farlo, si apre alla carità.      «Mi ami tu più di costoro?», chiede Gesù a Pietro nel Vangelo (Gv 21,15-17). La convivenza umana, scrive ancora Giovanni XXIII, è «vivificata e integrata dall’amore… che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui». Sì, la pace ha bisogno che sappiamo metterci nei panni degli altri, sentire con il loro cuore. Quanti conflitti – piccoli e grandi – si eviterebbero se, solo per un attimo, pensassimo che chi può restarvi vittima è un nostro fratello, un nostro figlio, un nostro caro? Questo universale abbraccio di carità e di pace, che Papa Giovanni seppe portare al mondo con il suo sorriso e la sua carezza, ma anche con il suo paziente «cercare ciò che unisce», significa quel «sopportare con amore» con cui San Paolo ci chiede di portarci letteralmente gli uni sulle spalle degli altri; e voi militari lo fate in modo ammirevole, a volte addirittura eroico, fino al dono della vita.   Infine, la convivenza pacifica «è attuata nella libertà». Quando Angelo Roncalli lasciava questo borgo per andare a studiare in Seminario, sentiva certamente che il suo era cammino di libertà, per perseguire la quale non voleva autoaffermarsi ma comportarsi «in maniera degna della vocazione ricevuta». Sì. La pace richiede che a ciascuno venga data la possibilità di realizzarsi liberamente nella propria vita, nella propria religione, nella propria vocazione. Allo stesso tempo, la pace è vocazione di tutti, è «anelito del cuore umano»[4] scrive Papa Giovanni proprio nell’ìncipit dell’Enciclica Pacem in Terris. La pace va perseguita in ogni vocazione; non ci sono categorie che non possano accedervi ma ciascuno è chiamato a convertirsi, per diventarne strumento.   Carissimi fratelli e sorelle, da vostro padre e pastore, mi colpisce pensare quante volte non venga compresa la significativa opera di pace svolta da voi militari: nei settori più diversi della vita del nostro Paese come pure nelle Missioni Internazionali dove, con coraggio e con l’arte del dialogo di cui Papa Giovanni fu maestro, cercate di costruire ogni giorno quella pace tra i popoli che, come egli stesso ha insegnato, «non si regge sugli armamenti ma si costruisce nella reciproca fiducia»[5]. Ve ne siamo grati e, mentre oggi ci inchiniamo commossi a venerare il Papa Buono, invochiamo con forza il dono della Pace, chiedendogli di intercedere qui, dalla terra che gli ha trasmesso la pace del cuore. Glielo chiediamo per il nostro Paese, in questo momento di difficile risalita sociale e politica, glielo chiediamo per le nostre famiglie e per la famiglia delle Forze Armate, glielo chiediamo per tutto il mondo. Possano davvero tutti gli uomini «riscoprire i vincoli che li legano»[6], come egli ha scritto nella Pacem in  Terris. Possano tutti gli uomini scoprire la bellezza dell’unità che ci “vincola” nella pace. Amen! X Santo Marcianò


[1] Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, 16
[2] Ivi, 18
[3] Ibidem
[4] Cfr. Ivi, 1
[5] Ivi, 61
[6] Ivi, 67