S. Messa nel 40° anniversario dell’omicidio del Gen. C.A. Dalla Chiesa

03-09-2022

Cattedrale di Parma, sabato 3 settembre 2022

Carissimi, ci sono due categorie di persone che, in modo diametralmente opposto, sembrano, per così dire, più grandi della legge.

Alla prima categoria appartengono coloro per i quali la legge non esiste, non ha ragione di esistere. Coloro i quali non adempiono la legge, non solo perché commettono crimini contro di essa ma in quanto hanno leggi proprie, con le quali intendono organizzare nuove strutture, promuovere nuovi ordinamenti… esercitare, in modo più o meno occulto, la regia di azioni che intaccano fortemente il tessuto sociale. È quella che, in modo ampio, chiamiamo criminalità organizzata; e organizzata, potremmo dire, tanto perché riconosce una rete interna, connessa e funzionante, quanto perché germina in nuove modalità organizzative della vita di un Paese.

La nostra Italia conosce bene questa piaga, causa di sovvertimenti sociali, economici, politici, come pure di drammi che si consumano nell’intimo delle persone e delle famiglie. Oggi commemoriamo uno di questi drammi, che ha insanguinato l’Italia degli anni 80 stroncando la vita del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo, e devastando il futuro di un’intera famiglia. Lo testimonia qui la presenza della figlia del Generale, Simona, che saluto con stima, esprimendo a lei e ai suoi familiari la vicinanza della Chiesa e la gratitudine, ancora viva, di tutta la comunità civile.

Era il 3 settembre di quarant’anni fa, quando il nostro Paese si fermò, colpito e attonito, e, in molti cuori, sembrò insediarsi la paura che la legge fosse davvero superata, sconfitta per sempre per mano di coloro che vogliono negarla e rinnegarla.

Tuttavia non fu così; la legge non era sconfitta anche se, in modo diverso, era superata.

Un superamento proprio della seconda categoria di persone, alle quali appartiene il Generale Dalla Chiesa. Un uomo di Stato. Un uomo di legge. Un uomo che, per rendere il suo servizio alla legge e allo Stato, non ha esitato a compromettere la sua stessa vita, fin dall’inizio e fino alla fine.

Una carriera brillante, la sua, all’interno dell’Arma dei Carabinieri: dalla seconda guerra mondiale alla resistenza, dalla lotta al banditismo alle prime indagini su “Cosa nostra”; dalla promozione del “Nucleo speciale antiterrorismo” alla nomina a Prefetto straordinario di Palermo… un’ascesa che, per la persona di Carlo Alberto, era in realtà una strada in salita verso un servizio sempre più complesso, esigente, dedicato alla legge che tanto amava.

Sì, ci sono uomini di legge che superano la legge proprio perché, in senso letterale, la amano; e la amano al punto da riservarle cura, attenzione, dedizione… da dare la vita per essa; la amano al punto da non guardarla come lettera morta, da non asfissiarla in una prospettiva legalistica, ma al punto da dilatarla, facendone uno strumento d’amore.

È la prospettiva offerta dal Vangelo di oggi (Lc 6,1-5). Anche Gesù sembra porsi al di sopra della legge; anche le Sue Parole indicano un superamento della legge: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato», abbiamo ascoltato. È un’espressione da interpretare con attenzione, ma indica una prospettiva profonda e molto bella: una “signoria” rispetto alla legge.

L’episodio narra lo scandalo di alcuni dinanzi ai discepoli di Gesù che sfregavano le spighe fra le mani per mangiarne i chicchi; si trattava di un’azione consentita per sfamare i poveri ma, secondo l’interpretazione farisaica, il gesto contravveniva al riposo sabbatico. E la violazione del sabato, come sappiamo, era oggetto di punizione, fino alla lapidazione. Gesù ricorda la vicenda biblica di Davide e dei suoi compagni quando, affamati, mangiarono i pani riservati all’offerta sacerdotale, senza che ciò fosse considerato una violazione della legge; così fanno ora i discepoli. Egli risponde ai farisei scandalizzati, non prospettando un rinnegamento la legge; anzi, risponde con la stessa legge. Si appella alla Scrittura, l’autorità somma, per spiegare che la legge ha senso se e perché è “per l’uomo”.

Questo ha capito Carlo Alberto Dalla Chiesa e questo è ancora oggi necessario – sempre più necessario – capire, ribadendo come qualsiasi legge che non sia per l’uomo, per la sua vita e dignità, è legge iniqua, dinanzi alla quale esiste il diritto e il dovere di esercitare obiezione. D’altra parte, occorre ribadire come, per applicare e far vivere le leggi, occorrano veri uomini di legge, uomini disposti ad amarla fino al punto di vivere e morire per essa, intravedendone e indicandone il senso profondo.

Gesù è signore del sabato, signore della legge; e su questa strada indirizza anche noi. Non si tratta di un superamento che contrasta la legge ma neppure di una prospettiva “buonistica” che si pone, in qualche modo, arbitrariamente al di sopra. Si tratta di quella “signoria” che Dio stesso vuole condividere con ogni persona, nel momento in cui affida alla libertà, alla creatività e alla custodia dell’uomo il creato, la vita dei fratelli e, di conseguenza, l’ordinamento della città dell’uomo.

Ecco, mi pare che, in questo senso, Carlo Alberto Dalla Chiesa sia stato, a suo modo, “signore della legge”; consapevole, cioè, di come, attraverso la legge, gli veniva affidato il bene profondo del Paese, della pace, della dignità e della vita dei cittadini. Ed è quanto percepiscono alcune persone – come le definivamo – più grandi della legge.

Persone di legge contornate, riscaldate, sorrette, rafforzate dalla stima e dall’affetto dell’opinione pubblica, della gente, e purtroppo a volte indebolite dalla mancanza di aiuti da parte degli organi competenti. È sorprendente pensare come, nei suoi cento giorni a Palermo, il Generale Dalla Chiesa sia stato in mezzo alla gente – a studenti, insegnanti, lavoratori – più che nei salotti dei benestanti e dei potenti: forse per evitare contatti sospetti di possibili collusioni o forse per trasmettere ai giovani quell’amore alla legge e al suo lavoro che, pur nella fatica di una lunga esperienza, lo vedeva sempre pronto a ripartire con giovanile entusiasmo in ogni servizio. E il suo è stato un autentico “servizio” che, come dice San Paolo nella prima Lettura (1Cor 4,6b-15), non lo «gonfiava d’orgoglio» ma nel quale egli intravedeva un «privilegio ricevuto». È qui la radice dell’umiltà, trasparenza, fedeltà, tenacia, che lo hanno reso testimone, apostolo di veri valori evangelici; e gli «apostoli», ricorda ancora Paolo, sono «messi all’ultimo posto, come condannati a morte».

Ecco, ci sono persone condannate a morte proprio da un amore e da una conoscenza profonda della legge, quasi una compenetrazione, che conferisce loro la capacità di scorgere, anche nelle leggi perverse di chi la legge aborrisce, trame e raggiri che sfuggono ai più. L’intelligenza con cui il Generale Dalla Chiesa seppe svelare alcuni meccanismi propri del terrorismo e della mafia – pensiamo alle trame delle parentele e dei comparati o alle connessioni con la politica e l’economia – non deriva da quella che Paolo chiama «la sapienza del mondo», ma unisce al suo studio, alla competenza e all’ampia esperienza quel “di più” che consente alla stessa legge di dilatarsi, nella prospettiva dell’amore.

Cari amici, in questa Eucaristia ringraziamo insieme Dio perché, nel clima di terrore e morte, di illegalità e corruzione, di guerra e disprezzo della vita, che caratterizza il nostro tempo come il tempo del Generale Dalla Chiesa, ci sono uomini e donne, come lui, più grandi della legge perché sanno scrutare in essa un mistero ancora più alto, che rimanda a Dio, al cui ordine ogni legge deve ispirarsi per coniugare giustizia e amore, verità e tenerezza. Una tenerezza che Carlo Alberto Dalla Chiesa – la figlia Simona lo ha testimoniato – ha saputo apprendere da Maria, l’amata Virgo Fidelis dei Carabinieri, e ha saputo tradurre nella sua vita privata e nel suo servizio all’uomo, certo che ogni uomo, pur se criminale, valesse la sua professionalità e dedizione, il servizio alla legge e il dono della sua vita.

Santo Marcianò
Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia