S. Messa nel 60° anniversario dell’eccidio di Kindu (Congo)

11-11-2021

Pisa, Cappella del Sacrario “caduti di Kindu”, 11 novembre 2021

 

Carissimi, la Liturgia della Parola, oggi, ci offre uno squarcio di luce. È l’immagine della Sapienza rappresentata, nella prima Lettura (Sap 7,22-8,1), come «riflesso della luce perenne», considerata «più radiosa del sole» e «più luminosa» della luce. È il riferimento a Gesù, che verrà – dice Luca nel Vangelo (Lc 17,20-25) – «come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo». «Ma prima – aggiunge – è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione». Dunque, uno squarcio di luce perenne e radioso, brillante e potente; ma in contrasto con un «prima» denso di oscurità e sofferenza.

In questa sorta di “chiaroscuro” vogliamo provare a leggere l’evento che ricordiamo – l’eccidio di Kindu – in due momenti e da due prospettive: tenebre e luce.

Stiamo celebrando l’anniversario di una tragedia nella quale si sono trovati coinvolti tredici nostri aviatori, uccisi mentre, in Missione di Pace, portavano viveri alle forze dell’ONU poste a difesa della popolazione coinvolta nella terribile guerra civile in corso. Un equivoco, come sappiamo: non erano loro i bersagli dell’attentato; uno scambio tragico e paradossale che, forse ancora di più, sembra evidenziare il buio che ogni guerra semina, oltre se stessa, oltre le parti coinvolte, oltre le stesse strategie e logiche belliche.

La guerra non ha logica; il male, potremmo dire, non ha confini. La logica dell’odio, della vendetta, della violenza genera rabbia e diventa incontrollabile, seminando ovunque dolore, disperazione, morte.

C’è un «prima» in cui il Figlio dell’Uomo deve «soffrire ed essere rifiutato da questa generazione».

È anzitutto la sofferenza del rifiuto. E non è forse il rifiuto ad aizzare il fuoco della violenza e della guerra, come di ogni altro attentato alla vita umana? Rifiuto dello spazio dell’altro, delle caratteristiche dell’altro; rifiuto di altre culture, religioni, razze; rifiuto dei deboli o malati, la cui minore produttività sembra attentare al benessere economico; rifiuto di chi ha bisogno di cibo o di educazione; rifiuto di chi non si conforma alle ideologie imperanti e rivendica la libertà di coscienza o anche rifiuto esercitato in nome di una presunta libertà che opprime; rifiuto che crea discriminazioni persino in calamità naturali, malattie, epidemie, come testimonia, nell’attuale pandemia, l’esclusione dei poveri da presidi sanitari, da vaccini, persino dalla necessaria igiene…

Gesù ha subito il rifiuto, ponendosi dalla parte dei rifiutati di cui la storia continua ad essere piena.

Tale rifiuto, Egli spiega, coinvolge una generazione; e dire «generazione», nella semantica biblica, significa far riferimento a tempi diversi, a diversi popoli… Quello del Figlio dell’Uomo e di ogni figlio di uomo che viene perseguitato, escluso, ucciso è un rifiuto personale ma anche culturale, sociale, politico. È il rifiuto sistematico del bene, è il male organizzato, programmato, a volte approvato giuridicamente, come in leggi che sempre più attentano alla vita umana, dal suo concepimento alla morte naturale. È il rifiuto che si consuma all’interno delle Nazioni, in comunità che dovrebbero essere coese come popolo, e che spesso è consumato tra l’indifferenza dei potenti della terra: lo vediamo ancora nei tanti conflitti dimenticati, nelle guerre civili e fratricide, che insanguinano l’umanità. E oggi, pensando al Congo, non possiamo non ricordare l’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabinieri Vittorio Iacovacci e dell’autista, avvenuta nello scorso mese di febbraio.

Ma questo è solo il «prima». C’è dunque un secondo tempo, una seconda visuale: c’è lo spazio della luce.

Ma dove attingere questa luce? Parliamo forse di un tempo che deve ancora venire?

«Il regno di Dio è in mezzo a voi!», ripete Gesù. «La sapienza si estende da un’estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo», aggiunge la prima Lettura.

La luce non è illusione futura, è la Provvidenza sapiente che regge l’universo, percorre attraverso i secoli l’intera creazione e, per operare, «prepara amici di Dio e profeti», cioè si fa strada grazie a persone che, nei quotidiani impegni di vita come in circostanze straordinarie, sono strumenti di luce e non di tenebre, di giustizia e non di ingiustizia, di inclusione e non di discriminazione, di pace e non di guerra.

I nostri aviatori uccisi a Kindu sono stati, potremmo dire, profeti di questa sapienza. Pur se uccisi dalla tenebrosa violenza del male, sono stati un guizzo di luce, rimasto ancora a splendere se è vero che dopo, 60 anni, noi sentiamo il bisogno di ricordare, ringraziare, pregare.

La profezia, in realtà, esprime sempre una parola, anche quando è silenziosa ed eroica testimonianza, come nella tragedia che oggi ricordiamo. Una parola affidata da Dio che, come dice il Salmo 118 (119), «rimane per sempre». E mi sembra che la parola con cui la testimonianza dei giovani aviatori caduti a Kindu ci illumina sia proprio quella scolpita nell’epigrafe della porta del Sacrario che, in questo aeroporto, ospita le loro salme: «Fraternità».

Cari amici, nell’Enciclica Fratelli Tutti, Papa Francesco indica nella fraternità l’unica via possibile per uscire dalle «pandemie» e da «altri flagelli della storia»: «che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”»[1].

I nostri aviatori uccisi si sono sentiti un “noi” con i fratelli di Kindu, per i quali hanno dato la vita, hanno voluto condividere la povertà estrema della guerra accesa tra coloro che consideravano fratelli. Sta qui il senso profondo dell’impegno effuso nella loro missione, come in tutte le Missioni di pace che i militari italiani portano avanti con coraggio, abnegazione, carità nascosta e spesso incompresa, incarnando un valore della «difesa» che, libero da mentalità bellica e dall’indifferenza, significa necessaria protezione di poveri e deboli, di popoli oppressi e dimenticati. Significa difesa della vita umana, per la quale vale la pena di dare se stessi, fino al sacrificio. Questo è accaduto a Kindu e questo oggi merita il ricordo, la preghiera, la gratitudine, per i nostri fratelli aviatori uccisi, per tutti i militari caduti, per coloro che donano la vita per custodire e salvare la vita di ogni fratello.

E così sia!

Santo Marcianò

 

 

 

(Sap 7,22 – 8,1; Sal 118 (119); Lc 17,20-25)

[1] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli Tutti, 35