(03/02/2025) Mentre nei parlamenti nazionali e nei comandi militari NATO si lavora per individuare percorsi sempre più rapidi verso una piena ed efficace integrazione nella difesa dei paesi membri, lo stesso tema viene affrontato, nel proprio ambito di competenza, da coloro che già oggi sono delegati a sostenere gli uomini e le donne che a quella difesa prendono parte attivamente: i cappellani militari. A tale scopo si è svolta anche quest’anno, a Bruxelles, la International Military Chiefs of Chaplains Conference, alla quale è stato rappresentato anche l’Ordinariato Militare per l’Italia. Mons. Santo Marcianò ha delegato per l’occasione Don Bruno Mollicone, che attualmente opera già in Belgio presso il Comando Supremo delle Potenze Alleate in Europa (SHAPE). Dal 27 al 31 Gennaio si sono alternati, nelle sedi del Senato belga e nell’auditorium dell’Accademia Reale delle Scienze e delle Arti, numerosi relatori: autorità politiche e militari, docenti e ricercatori universitari, consiglieri d’area, tutti in dialogo con circa 150 cappellani militari (cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani e umanisti) provenienti da numerosi paesi membri o partner dell’Alleanza Atlantica. Molti i temi affrontati: il ruolo europeo nella stabilità dell’ordine mondiale, l’importanza di una visione globale da parte dei singoli stati, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione in Europa e nel mondo, il dialogo tra l’Unione Europea e le istituzioni religiose e filosofiche. Pur nell’ambito di questa visione d’ampio respiro, la questione operativa di fondo, emersa già nel primo pomeriggio del convegno, resta quella della cosiddetta “interoperabilità”, termine ricorrente in tutti i documenti NATO e non meno importante se declinato nello specifico campo dell’assistenza spirituale. Nel linguaggio NATO “interoperabilità” significa essere pronti a svolgere determinati compiti e con determinati standard, in modo perfettamente integrato e indipendentemente da quale sia il paese di appartenenza. Se questa è innanzitutto una necessità militare, non lo è di meno dal punto di vista del supporto morale e spirituale. Non si tratta di esempi teorici, ma di situazioni già esistenti e che dovranno necessariamente essere implementate nel prossimo futuro. Per essere concreti: durante un’esercitazione multinazionale o un contesto realmente operativo potrebbero verificarsi il decesso o il ferimento di uno o più militari appartenenti a una determinata nazione. L’unico cappellano presente potrebbe però appartenere a un altro paese e magari anche a un’altra fede rispetto a quella dei militari deceduti o feriti. L’interoperabilità consiste nella capacità di quel cappellano, chiunque egli sia, di fornire un supporto umano e spirituale immediato. Ma questo, ovviamente, presuppone una specifica preparazione, una certa sensibilità, una necessaria elasticità mentale e, non di meno, un’adeguata capacità di comunicare in una lingua estera, prima fra tutte quella inglese. Tali dinamiche devono chiaramente potersi applicare anche in contesti meno drammatici e più ordinari come, ad esempio, quello di una missione multinazionale. Nel prossimo futuro dovranno essere fatti alcuni passi avanti. La questione non riguarda solo la preparazione dei cappellani militari, ma anche la loro cornice operativa. Anche sotto il profilo procedurale e formale, infatti, ad oggi ciascun cappellano risponde fondamentalmente alle regole nel proprio paese e alle norme dell’organizzazione religiosa o filosofica d’appartenenza. Un ulteriore esempio: tra i vari paesi, attualmente, non esiste un orientamento univoco neppure su quello che dovrebbe essere il posizionamento del cappellano in caso di conflitto in atto. Alcuni optano per la linea del fronte, altri per le retrovie, altri ancora per il comando operazioni e gli ospedali. È dunque auspicabile che, su questi temi, nel prossimo futuro si assista a un’ulteriore integrazione ed è superfluo aggiungere che la speranza è che essa possa trovare applicazione sempre e soltanto nell’ambito di normali esercitazioni o missioni di pace. Durante il convegno, alla tragedia della guerra è stata infatti dedicata un’intera giornata di preghiera e commemorazione a Ieper, nelle Fiandre occidentali. Nel corso delle spaventose battaglie che la coinvolsero tra il 1914 e il 1917, la cittadina fu letteralmente polverizzata. Vi morirono almeno cinquecentomila soldati. In uno dei cimiteri che circondano per chilometri la città c’è una lapide in memoria delle decine di migliaia di caduti di cui non furono mai più trovati neanche i resti: “Le loro tombe – recita il testo – Dio solo sa dove si trovino”…