Quando il Vangelo si scrive sull’asfalto e sulle acque del Tevere

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(13-08-2025) Pubblichiamo questo bel contributo-testimonianza di don Donato Palminteri, Cappellano Militare della Legione Carabinieri Lazio, fattoci pervenire nella serata di ieri 12 agosto.

Spesso vengono chiamati “eroi” o “angeli della strada”. E ci sarà un motivo. Ma piace definirli “sacerdoti della strada”. Perché quello che fanno ricorda la parabola del Buon Samaritano (Lc 10,25-37): non passano oltre, non chiudono il cuore, ma si fermano, ascoltano e si chinano su chi è ferito nell’anima e nel corpo.

Nel loro servizio, i carabinieri non solo affrontano il crimine o fermano il malvivente. Con professionalità, competenza e discrezione sanno intercettare il grido silenzioso di chi è finito nelle mani sbagliate; accolgono le lacrime dei fragili, difendono gli anziani vittime di truffe, proteggono le donne dalla violenza e tendono una mano anche a coloro che vivono la schiavitù della ludopatia, spesso uomini e donne soli, smarriti nella solitudine della città.

È ciò che è accaduto ieri sera, 11 agosto, in una rovente serata d’estate. Roma, svuotata da tanti che si godono il meritato riposo, era abitata da turisti e pellegrini giunti per l’Anno Giubilare. In queste giornate, i carabinieri, insieme alle altre forze dell’ordine, custodiscono chi viene nell’Urbe dall’Orbe, vegliando affinché la Città Eterna sia davvero un luogo sicuro e accogliente.

Verso le 20, due carabinieri del Nucleo Radiomobile di Roma non hanno esitato a gettarsi nelle acque del Tevere per salvare un giovane di origine etiope che, con intenti suicidi, si era lanciato da Ponte Sisto. Una donna, testimone della scena, ha chiamato il 112. I militari sono arrivati in pochi istanti e, vedendo il giovane in difficoltà al centro del fiume, hanno deciso di tuffarsi. Erano della Sezione Motociclisti e delle Autoradio. Lo hanno raggiunto e portato verso riva, aiutati da altri colleghi.

Non è stato un salvataggio semplice: il ragazzo, 22 anni, con problemi psichiatrici e precedenti tentativi di suicidio, rifiutava l’aiuto, cercando di divincolarsi e di ingerire acqua. Grazie alla determinazione dei militari, è stato portato al sicuro e trasferito d’urgenza al San Camillo, non in pericolo di vita. I due carabinieri, visitati in ospedale, stanno bene. Grazie al buon Dio.

Come cappellano militare, che vive ogni giorno accanto a questi uomini e donne in divisa, posso dire che queste sono pagine di Vangelo vissuto: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). E di queste pagine ne potrei raccontare tante. Basta guardare negli occhi Riccardo e Clemente, i due giovani carabinieri protagonisti di questo gesto: anche loro porteranno per sempre nel cuore questa esperienza.

Non è un caso che, in quest’Anno Giubilare, abbiamo meditato sul carabiniere come “porta di speranza”. Perché lo è davvero, quando apre non solo la porta della caserma, ma soprattutto quella del cuore. Penso al lavoro svolto a Tor Vergata per custodire i pellegrini: anche lì, la sicurezza si è intrecciata con la cura delle persone e dell’interiorità. Penso a questo giovane etiope, la cui storia nasconde il dolore di tanti altri che gridano aiuto in silenzio.

La Evangelii Gaudium ci ricorda che tutti possono trovare un posto e uno spazio nella comunità. Allo stesso modo, i “sacerdoti della strada” sanno aprire spazi di speranza anche quando tutto sembra perduto.

“Viviamo in un mondo in cui la terra brucia per le guerre, le disuguaglianze e la mancanza di cura per la casa comune come ricorda Papa Leone, e spesso diventiamo ciechi davanti al grido di chi ci sta accanto”. Eppure, nelle vie della Provvidenza, il Signore continua a mettere uomini e donne con gli alamari che, con coraggio e con passione, sanno farsi prossimo.

E allora, anche se la cronaca li chiama “eroi”, per me restano “sacerdoti della strada”: ministri silenziosi della vita, testimoni di una speranza che sa tuffarsi persino nelle acque torbide di un fiume pur di salvare un fratello.