San Giovanni in Laterano – Omelia dell’Ordinario per Santa Barbara

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(04-12-2017)
 
Carissimi fratelli e sorelle, è un dono, come sempre, la nostra Celebrazione Eucaristica in ricordo di Santa Barbara. Un dono che, si impreziosisce quest’anno, della presenza, accanto alla Marina Militare Italiana, della presenza dei Vigili del Fuoco, oltre che degli Artiglieri e dei Genieri.

La Liturgia della Parola, in questo inizio del tempo di Avvento, è una splendida profezia di pace; Termine abusato o forse dimenticato. Dire profezia è avere il coraggio di coniugare la verità con il tempo presente e futuro. Il grande filosofo personalista E. Mounier diceva che è la verità l’unica cosa che genera l’avvenire. Da qui la responsabilità della profezia come capacità di vivere il presente ricordandosi dell’avvenire, grazie al coraggio della Verità. Ecco perché senza “profezia” è a rischio il futuro di tutto e di tutti, del Paese e di ogni singolo cittadino. Ecco perché nella S. Scrittura, le profezie (che vedono i profeti non compresi e perseguitati) sono la penetrazione dell’animo umano nel desiderio di Dio, che è promessa, cammino e ordine. Ed è su queste tre parole che vorrei riflettessimo.   La promessa La pace, anzitutto, è una promessa. Questo dice, in particolare, la prima Lettura (Is 2,1-5), dove il profeta Isaia vede cessare l’«arte della guerra» attraverso una trasformazione universale: «una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione»; «spade» e «lance» diventeranno «aratri» e «falci», cioè strumenti di sopravvivenza e non di morte. È una promessa; e le promesse sono da attendere ma sono già espresse, pronunciate. Da qui la fedeltà da parte di chi promette, a ciò che ha promesso. Che responsabilità promettere. L’aforista francese Francois de La Rochefoucauld ci pone di fronte alla responsabilità del nostro promettere dicendo che noi «promettiamo secondo le nostre speranze, e manteniamo secondo le nostre paure». Cari amici, Dio, senza paura, ma offrendo se stesso, ha promesso la pace! E quando Dio promette non pronuncia solo parole, perché la Parola di Dio è operativa, creativa. Quando Dio promette la pace, Dio “fa” la pace; Egli è venuto sulla terra, si è fatto Uomo, Bambino, si è fatto Piccolo per ristabilire la pace e a farlo “con” noi. Quando Dio promette, potremmo dire, si “com-promette”! E noi siamo chiamati a comprometterci con Lui. Compromettersi chiede di superare la più grande malattia dell’anima che è l’indifferenza; e voi, uomini e donne della Marina Militare, dei Vigili del Fuoco, siete persone che sanno compromettersi, prendendo sul serio la causa della sicurezza e della pace cercando di trasformare «l’arte della guerra» in una straordinaria forza di servizio, dedizione, sacrificio, persino sacrificio della vita, per il bene degli altri, nel nostro Paese e a livello internazionale. Tanti i fronti sui quali siete impegnati: penso con dolore alle coste italiane, dove voi Militari della Marina assistete al continuo approdo di profughi e disperati, vittime dell’indifferenza nei loro Paesi e, troppo spesso, da parte dell’Europa e della comunità internazionale. E penso anche a situazioni drammatiche di emergenza che, nella nostra Nazione, rimandano all’opera silenziosa e feconda di voi Vigili del Fuoco, e  dei militari del Genio: dagli incendi che distruggono vite umane e devastano il creato, ai terribili terremoti e alle catastrofi, laddove siete spesso i primi ad arrivare e gli ultimi a partire, diventando concreto segno di vicinanza e speranza. Mi piace guardare al dipinto di Santa Barbara sul libretto liturgico, proveniente dalla Basilica di Norcia, come icona di questo vostro essere accanto ai fratelli, in un cammino di speranza e pace.   Il cammino Perché la pace è un cammino: è cammino dei popoli, intravisto dal profeta Isaia; è cammino in salita, verso un monte, verso una città, Gerusalemme, con i suoi contrasti e contraddizioni. Gerusalemme è «città unita e compatta», abbiamo cantato nel Salmo 121. Ma sappiamo che oggi non è così; forse più di altri luoghi, Gerusalemme è icona di un Oriente del mondo che ospita una convivenza conflittuale tra popoli, razze, religioni…  in modo più ampio, è immagine del mondo intero. Sì, perché quanto appare in modo evidente nella realtà di Gerusalemme, in modo nascosto abita in ogni luogo e in ogni cuore in cui vi sia discriminazione e scarto, diseguaglianza e ingiustizia sociale, povertà e corruzione politica, rifiuto di stranieri e persecuzione di minoranze, attacco alla dignità umana e alla libertà religiosa, indifferenza dinanzi a pericoli e calamità naturali, violenza e guerra, manipolazione e attacco alla vita umana, in ogni fase e situazione. Il «monte», al quale arrivano «tutte le genti», è la città di popoli che ritrovano pace solo salendo assieme e diventando, come dice il Salmista, «fratelli e amici». È un messaggio politico in senso profondo. La città, la pòlis, più che un luogo fisico, è infatti un contesto in cui si stabiliscono legami e da cui parte un messaggio di dialogo e confronto tra le culture, accoglienza e convivenza delle differenze. Qualcuno ha scritto che “Dio creò il primo giardino e Caino la prima città” (Abraham Cowley). Forse è ancora necessario scoprire la preziosità e la ricchezza delle differenze e, permettetemi di dire, di convertirci ad esse. Penso ai Su e alla “periferie” del mondo e della storia, come icone di disarmonia. E il Papa in Myanmar ha parlato di armonia a proposito della pace. La pace «è armonia», ha detto il Papa; e noi «dobbiamo comprendere la ricchezza delle nostre differenze – etniche, religiose, popolari –, e proprio da queste differenze nasce il dialogo. E a partire da queste differenze s’impara dall’altro, come fratelli»[1]. Voi, cari amici, incarnate un tale messaggio di armonia, impegnati come siete a servire tutti, senza distinzioni e senza confini: a proteggere e non uccidere; accogliere e non distruggere; soccorrere e non dimenticare; custodire l’ordine stabilito da Dio.   L’ordine La pace, infatti, nasce dall’ordine, come nel Vangelo (Mt 8,5-11) testimonia il centurione. Un soldato, un militare del tempo; per questo, com’è stato ricordato, una persona che sentiamo particolarmente vicina. Come voi, egli sa bene che quando formula degli ordini ai suoi soldati essi obbediscono e sa, d’altra parte, di essere egli stesso subalterno, cioè chiamato ad obbedire. Tuttavia, nel momento in cui il suo servo è molto malato, si rivolge a Gesù, riconoscendone l’autorità e intuendo una verità profonda: ciascuno è chiamato a obbedire agli ordini, ma c’è un ordine più grande, che lo precede e lo supera e del quale egli non si sente «degno». È l’ordine delle fede, del rispetto del mondo guardato nella luce di Dio, del Creatore e Padre. E’ l’ordine che il soldato, come voi, è chiamato a custodire, proteggere, difendere, è il disegno trascendente del Creatore, che pone il Sigillo sulla sacrale bellezza dell’universo e della creatura umana. Ma consentitemi di chiedermi se la domanda che S. Agostino si poneva è ancora “lecita” oggi nella nostra cultura; diceva infatti: “Se le meraviglie che ammiriamo nel mondo sono così belle, quale sarà la bellezza di Dio?”. Con coraggio il Papa ha detto: «La grande sfida dei nostri giorni è quella di aiutare le persone ad aprirsi al trascendente – ha detto ancora Papa Francesco in Myanmar, ai Monaci Buddhisti -. Ad essere capaci di guardarsi dentro in profondità e di conoscere sé stesse in modo tale da riconoscere le reciproche relazioni che le legano a tutti gli altri», superando «tutte le forme di incomprensione, di intolleranza, di pregiudizio e di odio».[2]   Cari fratelli e sorelle, consapevoli di essere chiamati a lottare proprio contro ogni forma di odio, fuori e dentro di noi, oggi ci facciamo benedire e accompagnare dalla Reliquia di Santa Barbara, chiedendo che ci protegga e ci aiuti a obbedire all’ordine trascendente della promessa di Dio, sentendoci “compromessi” nella Sua corrente di amore, che si fa servizio, verso il creato e le creature. È qui il grande compito di sicurezza, della giustizia e della pace affidato a voi, carissimi amici della Marina Militare, dei Vigili del Fuoco, degli Artiglieri e Genieri; un compito non sempre compreso, ma necessario e che vi fa onore; per il quale, a nome della Chiesa e del Paese, voglio ringraziare Dio e, con affetto e stima, voglio dire un infinito grazie a ciascuno di voi. E così sia! X Santo Marcianò  


[1] Francesco, Incontro con i leader religiosi del Myanmar, Yangon, 28 novembre 2017
[2] Francesco, Incontro con il Consiglio Supremo “Shanga” dei Monaci Buddisti, Yangon, 29 novembre 2017Video servizio celebrazione