Piacenza – Funerale del Serg. Mirko Rossi: l’omelia di mons. Marcianò

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 (01-12-2017)
Cari fratelli e sorelle, è il dolore che, oggi, ci raduna, in questa Eucaristia. È il dolore, straziante, di un vuoto che nessuna parola, forse nessuna presenza, sembra poter colmare. È il dolore per la morte, l’evento più terribile che l’essere umano si trovi ad affrontare; una morte improvvisa.

Il dolore ci riunisce, come in una famiglia, attorno a uno dei figli delle nostre Forze Armate Italiane, il carissimo Mirko che tragicamente ci ha lasciati. Il nostro animo è agitato, angosciato fin nel profondo, e la Parola di Dio, oggi, dona voce ai contrasti, terribili, dei sentimenti che abitano il cuore. La prima Lettura (Dn 7,2-14) pone dinanzi agli occhi quattro grandi bestie che hanno il potere immenso di provocare distruzione, devastazione, terrore. Ed è proprio così che ci sentiamo. È come se una bestia feroce, comparsa all’improvviso, emersa da un mare sereno e calmo, avesse il potere di distruggerci, provocando dolore e violenza, lacrime e annientamento. Una giornata tranquilla, una tranquilla esercitazione, quella di Mirko; un servizio quotidiano, sempre rischioso, come è per nuclei speciali quali gli incursori dell’Aeronautica Militare, settore di grande specializzazione, che esige raffinata competenza, sforzi e sacrifici. E in Mirko questi sforzi e sacrifici si incarnavano nella passione di un uomo, nella professionalità di un militare che vantava titoli, onorificenze, ma, soprattutto, esperienza di servizio e di vita, abilità che lo rendevano istruttore, guida, riferimento, esempio. Un giorno di servizio, di esercitazione, come tanti e, all’improvviso, tutto sembra finito. Finito, con il potere di una «bestia» che stritola, divora, con «una forza straordinaria» e contro la quale non sembra esserci nulla da fare. Rimane solo la morte. Quante volte voi, militari, avete assistito a scene così! Quante volte avete dovuto accompagnare fratelli e sorelle caduti in servizio, in missione! E quante volte vi sarete fatti la stessa domanda: «perché?». È la domanda che ci facciamo anche oggi, dinanzi al sacrificio di Mirko. È la domanda che vorremmo porre a Dio, in questa Celebrazione Eucaristica. È la domanda perenne di ogni creatura umana dinanzi all’enigma del dolore e della morte, specie la morte di un giovane, uno sposo, un professionista che stava facendo il suo dovere; è domanda che non ci vede, non ci dovrà mai vedere rassegnati. Nel cuore della scena biblica, però, compare una figura diversa: un vegliardo vestito di bianco, seduto su un trono di fuoco. È l’immagine della giustizia che si impone sulla bestia, affermando una verità indiscutibile: il male ha una fine! Il male è stato vinto perché Cristo è Risorto! Forse, inizialmente, la nostra paura e il nostro dolore non sono placati e noi non vediamo questa giustizia perché, comprensibilmente, pensiamo che “non sia giusto” quanto è accaduto. Ma certamente Mirko ha visto e intravisto la giustizia e ha creduto in essa, perché è per la giustizia che, come tanti di voi, donne e uomini delle Forze Armate e Forze dell’Ordine, egli ha scelto di vivere e ha saputo morire; perché ha intravisto la possibilità di portare giustizia dove c’è ingiustizia, corruzione, sopraffazione, disordine, violenza, discriminazione. Ha vissuto una rivoluzione quotidiana, silenziosa, estremamente coraggiosa; ha compreso, come molti di voi, che prepararsi e allenarsi per poter proteggere, con tutte le proprie forze, i cittadini italiani, così come le vittime dei Paesi di guerra, i popoli deboli e abbandonati, significa costruire la giustizia e la pace; e farlo, come direbbe Papa Francesco, in modo «artigianale». L’artigiano, in realtà, è colui che mette tutta la cura nel particolare di ciò che compie, perché intravede l’utilità che la sua opera rappresenterà per altri e vuole renderla bella, vuole lasciare un’impronta di sé. “Artigiano di giustizia”! Mi verrebbe da chiamare così Mirko e ogni militare che opera con questo stile. Uno stile che egli ha saputo infondere anche nelle relazioni umane, nel tempo del lavoro e dello svago, nelle passioni che animavano la sua vita… È la giustizia di cui il mondo ha bisogno: una giustizia ricca di passione, una giustizia ricca di amore. Sì, di amore. Perché la giustizia non basta, non basta a sconfiggere il male. E perché il bene, al contrario del male, non ha fine, è eterno. E’ Dio il sommo bene e Dio è la vita eterna. Alle bestie feroci e devastanti viene tolto il potere, dice la Parola di Dio; al «figlio d’uomo» viene invece affidata una missione che è un «potere eterno», è il potere dell’amore che esercita morendo e risorgendo per noi. La bestia, il dolore, la morte è vinta dall’amore; e l’amore è una missione che uomini come Mirko abbracciano e con la quale riempiono il mondo. Ma dove trovarlo questo amore che ha un potere eterno? Dove trovarlo, quando l’amore concreto di Mirko sembra perduto? Il Vangelo (Lc 21. 29-33) offre un’altra immagine, piccola e silenziosa rispetto a quella devastante delle bestie, ma molto feconda: il germoglio! Il germoglio è poco visibile e spesso anch’esso nasce in modo inatteso, su terreni aridi e devastati, nel tempo dell’inverno o nel freddo del dolore. Il germoglio è segno di futuro perché annuncia che qualcosa sta nascendo, qualcosa di grande, di più grande di lui. Ma è anche segno di passato, perché dice che qualcosa è stato seminato. Sì, il germoglio è l’immagine più piccola di tutto il quadro che la Liturgia oggi ci offre ma profuma di amore, di speranza, di presenza… della stessa presenza di Mirko. Dice che egli ha seminato giustizia e amore, destinati a fiorire nell’oggi e nel futuro, nei solchi della sua famiglia e del nostro Paese, nei luoghi di missione e nei cuori di tanti colleghi e amici. E in quel germoglio, in ciò che Mirko ha seminato c’è lui, anche se non si vede perché il freddo del dolore, il buio della morte, oscurano e velano di lacrime gli occhi del cuore. Sì. Ci sei tu, Mirko, in tanti germogli nascosti, nel tanto amore che hai dato, nelle tante opere che hai compiuto e nelle quali sapremo imparare a riconoscere la tua impronta e il tuo profumo. Ci sei tu nella dedizione alla causa della giustizia, che diventa eredità preziosa non solo per la tua adorata moglie, per i tuoi carissimi genitori e il tuo fratello, non solo per il tuo gruppo di amici e di colleghi, non solo per i militari dell’Aeronautica e delle altre Forze Armate, ma per chiunque eserciti responsabilità civili e istituzionali, perché possa contribuire a far nascere una civiltà nuova, che germoglia laddove la giustizia diventa artigianale, diventa cura dei particolari che solo l’amore sa offrire e vedere. È quella che il Beato Papa Paolo VI chiamava «la civiltà dell’amore» e che i militari italiani continuano a costruire nella nostra Nazione e a portare nel mondo, come testimonianza della cultura del nostro popolo, attenta all’essenziale e all’umano. La civiltà di chi accoglie e non discrimina, di chi protegge e non attacca, di chi difende persone e non confini… di chi, per custodire la vita di ogni persona, sa semplicemente dare la propria vita, fino alla fine, certo che la giustizia germoglierà e il mondo sarà liberato dal male. «Alzate il capo – dice il versetto alleluiatico – perché la vostra liberazione è vicina». È Dio che libera dal male, cari fratelli e sorelle, ma militari, professionisti, uomini come Mirko sanno collaborare per questo con il Signore e vivono con lui nella gioia del Paradiso. E, per questo, al Signore – e a te, caro Mirko, fratello, figlio, amico – diciamo, dal profondo del cuore, un commosso e immenso grazie, certi che dal cielo continui a pregare per i tuoi cari e per tutti noi.   X Santo Marcianò