Il dono dello Spirito Santo e il parlare in lingue per annunciare le grandi opere di Dio (Atti 2, 1-13)

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 Riportiamo, a seguire, un articolo dell’Ordinario pubblicato dalla Rivista della Società Biblica in Italia “La parola”

 Una delle esperienze più comuni e dolorose che non di rado ci si trova a vivere è l’incomprensione. Si condivide la vita familiare o gli impegni lavorativi, si parla la stessa lingua e si portano avanti progetti comuni, si fa apostolato nella stessa comunità ecclesiale o religiosa… ma non ci si capisce! È esperienza comune e, per quanto sia confinata a persone o gruppi, per quanto sembri dipendente da caratteri o temperamenti, per quanto, cioè, sia alla fine da ricondurre al rapporto tra due singole persone, pure le sue conseguenze si ripercuotono, amplificate, sugli altri. Tra marito e moglie, l’incomprensione genera conseguenze sui figli, tra colleghi di lavoro compromette la qualità dei servizi offerti ad altri, tra politici disorienta l’organizzazione di un Paese; tra i potenti del mondo e i responsabili delle Nazioni, l’incomprensione è all’origine di guerre, stragi, conflitti di ogni genere. Sì, tra uomini non ci sono strutture, accordi, trattati, neppure leggi che possano sostituire completamente, né completamente garantire, la reciproca comprensione. E quando le parole sono usate come veicolo di violenza, maldicenza, calunnia, giudizio, o sono ingabbiate negli equivoci, nessuna fecondità relazionale può instaurasi. A Pentecoste, però, non fu così. Anzi, il miracolo di Pentecoste è proprio la comprensibilità del linguaggio umano: ci si capisce tutti, ma perché poche persone iniziano a usare diversamente le parole. Siamo forse abituati a considerare la Pentecoste in modo, per così dire, troppo “generalizzato”, a vedere in quel «rumore dal cielo», in quel «forte vento», in quelle «lingue di fuoco» dei fenomeni atomosferici che sconvolgono la terra. È vero, ciò che accade è universale, ma può accadere solo a partire dalla sconvolgente esperienza personale che i dodici – e lentamente anche gli altri – si trovano a vivere, grazie al dono dello Spirito. C’è una reciprocità importante che questo dono suscita. Alcuni «si mettono a parlare in altre lingue»: compiono lo sforzo di uscire da sé, da ciò che avevano imparato e credevano fossero i confini ristretti e assoluti del proprio mondo; spalancando gli occhi sull’altro, si riscattano da una visione autocentrata della relazione umana e iniziano a parlare pensando cosa la propria parola può sucitare in chi ascolta. Altri «li sentono parlare nella propria lingua nativa»: aprono il cuore all’accoglienza incondizionata di chi sembra essere straniero, diverso, irraggiungibile, incomprensibile o anche semplicemente di chi, in quel momento, potrebbe avere uno stato d’animo diverso; imparano così l’arte difficile e stupenda dell’ascolto, andando oltre le parole per leggere ciò che è nascosto nel cuore. Il miracolo dello Spirito Santo si compie e si diffonde così: da bocca a bocca, da cuore a cuore, non per uno scolvolgimento ambientale che improvvisamente incombe con forza ma per una rivoluzione interiore non meno forte e che si trasmette, per contagio, con una forza non minore. Quella sera vissuta dagli Apostoli è ripetibile ogni sera, ogni giorno, ogni istante, in ogni relazione umana, in ogni nostra relazione, specie in quelle più conflittuali, più impoverite, più inaridite, più rassegnate al silenzio. È ripetibile nel dialogo difficile tra i leaders politici o religiosi, come ha recentemente mostrato al mondo l’incontro di preghiera tra Papa Francesco, il Patriarca Bartolomeo I e i Presidenti di Israele e Palestina, in cui si è invocato il dono della pace a partire da quel dialogo dell’uomo con Dio in cui si purifica ogni dialogo umano. Sì. Anche la pace è un dono che lo Spirito diffonde, come per contagio, attraverso questo dialogo paziente e reciproco più che con eclatanti atteggiamenti pacifisti, spesso parziali e poco reali, quando non addirittura violenti nei gesti o nel linguaggio. Anche la pace cominicia dal linguaggio! Lo Spirito Santo ci permette, se lo vogliamo, di guarire il linguaggio, di parlare tutte le lingue imparando la comunicazione e l’ascolto; perché ci insegna ad annunciare, come nella sera di Pentecoste, non le “nostre cose” ma «le grandi cose che Dio ha fatto». In fondo, ogni incomprensione umana nasce dal misurare tutto secondo i propri confini, le proprie conoscenze, il proprio sentire, i propri interessi. Nasce dal guardare a se stessi e non agli altri, dal guardare a se stessi e non a Lui. Ma se guarisce questo sguardo, un solo sguardo, la parola nuova si accende e si trasmette al mondo; con la forza del contagio, con la forza dello Spirito. Come il vento e il fuoco di Pentecoste.   X Santo Marcianò