Omelia dell’Ordinario nella festa della Madonna di Loreto, Patrona dell’Aereonautica Militare (Roma, Basilica di S. Maria Maggiore, 10 dicembre)

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Carissimi fratelli e sorelle,

con gioia ci ritroviamo per la Festa della Madonna di Loreto la quale, ogni anno, ci convoca, ci attende, ci assicura la Sua protezione e il Suo aiuto. Vi saluto, ringraziandovi di cuore uno per uno. Noi abbiamo scelta Maria come Patrona. Con Lei, siamo dunque chiamati anche a rivedere la nostra missione, alla luce della Parola di Dio che la Liturgia oggi ci ha fatto riascoltare. La Madonna, certamente, è al centro di tale Parola; altre tre figure, però, possono aiutarci a capire come avvicinarci a Lei, come raccoglierne l’esempio, come portarne il messaggio nel nostro impegno quotidiano: il profeta, l’angelo, il figlio.   Nella prima Lettura (Is 7,10-14) il profeta Isaia parla di una vergine che concepirà e partorirà. Un annuncio in assoluto contrasto con la normalità delle cose, un assurdo per la mentalità umana; eppure, un annuncio che, letto a distanza di tempo, rivela la sua autenticità. Ci sono, nella vita, alcune verità per affermare le quali c’è bisogno di profeti. Tuttavia, il profeta non è, come spesso si crede, una sorta di “indovino” che prevede le cose. Il profeta parla a nome di un altro, annuncia una verità che non gli appartiene ma dalla quale è interpellato. È colui che sa portare questa verità in diverse situazioni, sa andare controcorrente, sa difendere ciò in cui crede anche a costo della vita. Il profeta – lo dice Isaia – sa intravedere i “segni”, sa dare valore di «segno» ad alcune realtà per altri trascurabili. Per questo, il profeta stesso diventa segno: fa della Parola lo scopo della propria vita e fa diventare questa Parola “vita”, vissuta in se stesso. Anche noi siamo chiamati ad essere profeti, tutti i cristiani lo sono. Di quale Parola, di quale verità potete e dovete essere profeti voi? Credo che una sola risposta le riassuma tutte: profeti di pace! È a questo che mi riferivo quando, nella Lettera per i cento anni dalla Prima Guerra Mondiale – e successivamente nel saluto a Papa Francesco a Redipuglia –, ho affermato che «la pace è il futuro della guerra»[1]. È vero, il profeta non prevede il futuro ma sa lavorare per un futuro che al momento è assente ma del quale porta in cuore la verità. Il profeta di pace è, anzitutto, un uomo di pace, un uomo che ha fatto esperienza di pace; è un uomo che cerca di pronunciare parole di pace e fare opere di pace anche quando fosse inserito in contesti in cui predomina l’odio, la violenza, la guerra. Non è forse così per voi? Non siete chiamati voi per primi a portare la pace credendo che la pace può esistere anche quando non si vede, andando controcorrente, difendendola a costo della vita? Molti non lo capiscono e continuano a ritenere che siano proprio i militari a operare per la guerra, ad aggiungere violenza alla violenza… ma i profeti, si sa, sono destinati a questa incomprensione. Profeti, tuttavia, bisogna essere, bisogna imparare ad essere sempre più. Ed è per questo che siamo qui, perché capiamo che è la Parola di Dio a fare la differenza. Siamo qui perché siamo consapevoli che la pace è dono di Dio, un dono che proprio Maria ha accolto nel grembo, e perché sappiamo di non riuscire, da soli, a mantenere in cuore la forza di sperare e di lavorare per la pace, in tutte le situazioni avverse che la cultura attuale e l’odierno contesto sociale propongono. La profezia della pace, infatti, richiede uno schierarsi chiaro non solo contro l’uso indiscriminato delle armi ma anche contro l’ingiustizia, la disonestà, la ricerca dei propri interessi: quanto veleno di violenza semina tutto questo, lo vediamo con concretezza già semplicemente nella cronaca quotidiana! Alla base della profezia della pace ci sono scelte coerenti e autentiche di giustizia, alle quali la famiglia dell’Aeronautica, con la sua attenzione formativa e comunitaria, non manca di preparare, e c’è quella capacità di scorgere i «segni» che interpella voi – così bravi a scrutare i segni del tempo in senso meteorologico – a valorizzare i germi di pace presenti nel cuore umano.   Nel Vangelo (Lc 1,26-38), la Parola di Dio è portata alla Vergine Maria da un angelo. Anche l’angelo è a servizio della Parola ma in modo diverso dal profeta. Angelo significa, prima di tutto, “inviato” e si dice che nella Bibbia gli angeli prendano il nome dalla missione che sono inviati a compiere. Questo significa essere totalmente dediti alla missione, saper quasi scomparire dietro ad essa: questo, in una parola, significa mantenere come prioritario lo spirito di servizio, non lasciando che alcuna forma di esibizionismo o egocentrismo prendano il sopravvento. L’angelo, nella Bibbia, è anche colui che viene inviato in posti difficilmente raggiungibili, in circostanze nelle quali Dio solo può agire; e non porta solo la parola ma anche cibo, aiuto, liberazione… Per questo, non è difficile associare agli angeli la missione dei militari dell’Aeronautica. Non lo è a motivo dello “spazio” che essi sono inviati a coprire con la loro opera – il cielo, lo spazio aereo -; non lo è perché il vostro servizio vi porta a compiere missioni talora realmente difficili, a operare in situazioni che pochi riescono o vogliono affrontare, fondandovi su un coraggio e una dedizione capace di dimenticare voi stessi, i vostri interessi, persino la famiglia e la vostra stessa vita per la priorità del servire. Come dimenticare tanti esempi di dedizione che, in modo diverso, hanno saputo “scomparire” dietro la grandezza della missione che stavano svolgendo o si preparavano a svolgere? Penso solo ai vostri colleghi e amici della Base Aerea di Ghedi, morti nel corso di un’esercitazione che proprio qualche mese fa abbiamo accompagnato assieme alla Casa del Padre.   Ma l’immagine più intensa la offre la seconda Lettura (Gal 4,4-7): il figlio. San Paolo parla di Gesù, il Figlio che è venuto a salvare il mondo, a offrirci in dono la possibilità di pronunciare la parola: «Abbà, Padre». E il Figlio di Dio è il contenuto tanto del “segno” profetizzato da Isaia quanto dell’”annuncio” recato dall’angelo. Come vedete, il riferimento è alla filialità. Infatti la vita cristiana è, prima di tutto, una vita di figli. Ed è da questa dimensione filiale che, se ci pensiamo bene, scaturisce l’apporto “paterno” che ciascuno di noi riesce a infondere nel proprio compito. In una società divenuta, come molti psicologi e sociologi avvertono, “senza padri”, la sfumatura paterna chiede, in particolare a coloro che hanno responsabilità di guida, un saggio esercizio dell’autorità, sempre associato alla cura delle persone, all’attenzione alle persone; e richiede a tutti, come scrivo nel mio messaggio per Natale, non solo di «crescere in abilità e competenza ma anche in sapienza, giustizia, amore, per essere davvero preparati a dare la vita nel compito che ci sarà affidato».. Se oggi siamo qui è perché ci sentiamo figli di Maria; perché alla Madre tutto si può chiedere e consegnare; perché anche la Madre, assieme al Padre, dona sicurezza. E noi, noi per primi, abbiamo tanto bisogno di sentire nel profondo un’autentica sicurezza per saperla donare, come la nostra missione di militari richiede.   Cari amici, eccoci dunque ancora ai piedi della Madre, ricordando la Madonna di Loreto in questa splendida Basilica, dinanzi alla bellissima Icona della Salus Populi Romani. Noi ci rivolgiamo a Maria quando, nei momenti più duri della vita o nelle situazioni di rischio, sentiamo il bisogno di aiuto e consolazione. Noi riconosciamo in Lei il segno di quel Trascendente che abita la nostra esistenza e il cui bisogno avvertiamo profondamente in cuore. Maria, da Madre, sa intercettare questo bisogno del nostro cuore di figli e aiutarci a realizzarlo, indicando Suo Figlio Gesù, come farà nella Grotta di Betlemme. Maria sa intercedere presso il Figlio, affinché possiamo realmente divenire profeti e angeli di pace. E sa scomparire cantando, lo abbiamo ascoltato nel “Magnificat”, la gioia dell’«umiltà della sua serva»: quella gioia del servire che anche voi, come Lei, sapete portare al mondo e per la quale, in questa Eucaristia, vogliamo semplicemente dirvi e dire “grazie!”.    X Santo Marcianò


[1] Cfr. Santo Marcianò, Il Dio che stronca le guerre, Libreria Editrice Vaticana 2014