L’Aquila – Omelia dell’Ordinario alla S. Messa in occasione del Raduno Nazionale Alpini dello scorso 16 maggio

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Carissimi fratelli e sorelle, carissimi alpini, è un dono essere ancora tra voi, nell’annuale Adunata, momento di incontro, condivisione, preghiera. Siamo tanti e vorrei salutare tutti, stringervi in un grande abbraccio nel quale esprimere stima, gratitudine e dire l’affetto che mi lega a voi, come lega a voi tutti gli italiani.
Celebriamo oggi la Solennità dell’Ascensione di Gesù al Cielo, una Festa grande e particolarmente significativa per voi, abituati ad ascendere, a salire sulle montagne. La Parola di Dio, però, ci proietta su altre vette: ci aiuta a rileggere la vostra missione dalla prospettiva di quel Cielo che voi, in un certo senso, contemplate più da vicino, e lo fa quasi confermando i vostri gesti con tre verbi.
 
1. Il primo verbo è «faticare».
Voi sapete che affrontare una strada di montagna, una salita, è un qualcosa che non si improvvisa ma richiede forza e tempo. Gesù, come leggiamo nella prima Lettura (At 1,1-11), in risposta ai discepoli che Lo interrogavano su quando Egli avrebbe «ricostruito» il regno per Israele, dice «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti». Sono i discepoli hanno vissuto la passione e morte del Signore e sono testimoni che Gesù è Risorto. Sono, cioè, coloro che hanno ora compreso come la distruzione non sia l’ultima parola.
Oggi noi ci troviamo in un luogo che, con il terribile terremoto di sei anni fa, ha visto la passione e la morte di tanti fratelli, ha visto distruzione e devastazione; ma, come ha anche affermato Mons. Petrocchi nel Messaggio inviato alla vostra Adunata, qui si vedono davvero tante testimonianze di «L’Aquila che risorge». Sono i segni di una ricostruzione della quale voi, cari alpini, siete stati e siete collaboratori.
La fatica della ricostruzione, come i discepoli intuiscono parlando con Gesù, non è solo per un’opera ingegneristica o architettonica, così come la fatica della scalata non è solo questione di abilità fisica, è una rinascita di speranza, è un nuovo inizio. E la forza richiesta per affrontare la fatica non è solo un’energia che troviamo in noi stessi e da noi stessi; è, in realtà, dono di noi stessi.
Questa è la vostra forza, cari alpini! Per questo la gente vi vuole un gran bene, perché siete simbolo della forza speciale che la vita militare è chiamata a testimoniare: forza che non respinge ma protegge e accoglie; forza che non aggiunge distruzione alla distruzione ma che cerca di resistere, pazientare, usare attenzione e cura per salvare il più possibile cose e persone. La vostra missione è stata così qui a L’Aquila sei anni fa; le vostre opere si vedono, mentre tanto resta ancora da fare; per questo facciamo appello alle autorità competenti perché presto tutto riprenda a vivere. Ed è stato così pure tra gli orrori delle guerre: ricorderemo tra pochi giorni il centenario dell’ingresso dell’Italia nella prima Guerra Mondiale.
Ma questa forza, che vi fa essere dono, è, prima di tutto, un dono. «Riceverete forza dallo Spirito Santo»: anche a noi, come ai discepoli, Gesù lo assicura. E, se siamo qui, è perché crediamo che la forza umana non basta!
 
2. Il secondo verbo è «camminare».
Voi sperimentate come, in ogni scalata, sia necessario seguire qualcuno e camminare “in cordata”. Con la Sua Ascensione, Gesù sale al Cielo e ci apre una strada nuova che inizia in terra, dove noi dobbiamo restare e camminare insieme. Guardando e seguendo Lui, dunque, raccogliamo il messaggio dell’unità, che abbiamo ascoltato dalla seconda Lettura (Ef 4,1-13): «Conservate l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace». L’unità, la “cordata”, nella Chiesa, significa «comunione».
Proprio perché siete uomini di comunione voi potete diventare costruttori e operatori di pace. E il vostro grande senso di appartenenza a un “corpo”, il Corpo degli alpini, assume un colore speciale nella luce dell’Eucaristia che stiamo celebrando, nel «Corpo» della Chiesa, della nostra Chiesa Ordinariato Militare, della quale voi siete parte viva.
Vedete, il nostro mondo, la nostra Nazione, hanno bisogno di un forte messaggio che, come esorta Papa Francesco, può essere attento ai poveri, ai piccoli, alle periferie se, prima di tutto, ci libera dall’autoreferenzialità. E non so se ci avete mai pensato, ma credo che sia proprio il vedervi lavorare e condividere, il vedervi “insieme” a donare una speciale sicurezza a chi vi chieda aiuto. E’ come se vi dicessero: “il vostro essere uniti ci dà sicurezza e speranza!”.
È proprio vero: non “ci si salva” da soli ma anche non “si salva”da soli. Quante persone avete salvato e salvate, talora a costo della sicurezza e della vostra vita… Quanto soccorso avete portato e portate, anche in questa terra… Ma per soccorrere gli altri abbiamo bisogno degli altri! Voi lo sperimentate: il soccorso non è solo aiuto tecnico ma esperienza in cui, con «umiltà, dolcezza, magnanimità», collaborando fra noi possiamo aiutare altri. Il mondo vi è grato per questo e ha sempre più bisogno di vedere che ci sono persone come voi, pronte a dimenticare i propri bisogni e i protagonismi in nome delle esigenze e dei bisogni degli altri. Questo cuore grande, questa «magnanimità» si chiama in una parola, misericordia!
 
3. L’ultimo verbo è «contemplare».
Voi siete abituati non solo a guardare verso l’alto ma a contemplare dall’alto. E la misericordia si impara così: se si impara a contemplare il Cuore di Dio e a guardare al cuore dei fratelli dalla prospettiva del Suo Cuore. Da Lì, come dall’alto di una vetta, il paesaggio appare sempre più bello! È la sfida che ci attende, mentre si avvicina l’inizio dell’Anno Santo che Papa Francesco ha voluto dedicare alla Misericordia, che è poi l’anticamera della pace.
La contemplazione, però, significa anche silenzio; nelle vostre tradizioni, non c’è canto o poesia che non lo ricordi. Il silenzio può essere vuoto, isolamento ma può essere il contesto in cui Dio parla all’anima attraverso la natura, la bellezza, la pace. Voi siete abituati a questo silenzio che si sente e che, sulle vette più alte e splendide, addirittura si «vede», si contempla. Il silenzio è ambasciatore della presenza di Dio: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». E noi, educati dal Suo silenzio, diventiamo ambasciatori della Sua Presenza e della Sua Parola: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura», dice Gesù. Ma come farlo?
 
Cari alpini, questa è la mia risposta: trasferite quello che fate e, soprattutto, quello che siete nella vita di ogni giorno! Fatelo a partire dallo stile di vita delle vostre famiglie, dall’educazione che offrite ai figli, dalla testimonianza sul lavoro, dagli impegni di volontariato, dalla vita sociale, dalla vostra presenza nelle comunità ecclesiali e, in particolare, nella nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare.
Le montagne che scalate, paradossalmente, sono le vette che non vi portano più lontani ma più vicini alle difficoltà e ai pericoli che gli altri affrontano; sono le vette delle bellezze più nascoste, che voi sapete vedere non solo nei paesaggi ma negli occhi umani, soprattutto nell’ora della fragilità, bisognosi di aiuto e speranza; e sono le vette della spiritualità, sulle quali potete accompagnare ogni uomo a guardare il Cielo. Lì Gesù è salito ma, da lì, rimane con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo, dicendo «grazie» a chi, come voi, sa faticare per ogni fratello, camminare con ogni fratello, contemplare ogni fratello.
 
 
X Santo Marcianò Ordinario Militare per l’Italia