Conclusioni al corso di aggiornamento per i cappellani militari

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Loreto 13-17 giugno 2015
 
Carissimi,
ho cercato di raccogliere delle brevi linee di conclusione del nostro annuale corso di aggiornamento. Si tratta solo di qualche riflessione che ho appuntato in modo veloce e che, come già vi dicevo, dopo il Sinodo dei Vescovi sarà integrata dalla Lettera Pastorale nella quale emergeranno i contenuti e le linee operative in merito alla Pastorale della Famiglia nella nostra Chiesa.
Sento ancora di ringraziare il Signore e la Madonna di Loreto per l’intensa esperienza di comunione che ci è stato dato di vivere, nella quale ciascuno di noi ha donato se stesso con generosità e fraternità presbiterale.
Si è trattato di un cammino di pochi giorni ma che sono stati caratterizzati da una grande intensità. Intensità di comunione tra noi e con la Chiesa universale, questa era la cosa più importante e lo abbiamo precisato già dall’inizio dei nostri lavori.
Intensità di contenuti: forti e fondamentali sono state le tematiche affrontate in questo Corso, direi decisive per il futuro della società, della Chiesa, della stessa umanità.
Intensità di lavoro: non siamo stati spettatori, questo è certo; e non solo perché siamo stati chiamati a intervenire nei dibattiti ma anche perché, con la metodologia adottata, siamo stati chiamati prima di tutto a operare – mi si consenta il termine – una sorta di “rivoluzione pastorale”.
Non si tratta tanto di una rivoluzione nel fare – lo accennavo nella relazione che, come vi ho detto, potrete leggere e meditare a livello zonale – ma nell’essere. La pastorale, infatti, scaturisce dal nostro modo di essere pastori e dal nostro modo di essere Chiesa.
Noi vogliamo essere una Chiesa che imposta la propria pastorale come ogni diocesi: nel rapporto con la Chiesa italiana – in concreto con i diversi Uffici della CEI – si muovono i nostri Uffici pastorali i quali, attraverso le commissioni, hanno il compito di raggiungere le diverse zone pastorali e, dunque, tutte le caserme, cappellanie, scuole, unità militari, ecc… attraverso la figura chiave dei cappellani militari.
Questo richiede un lavoro di comunicazione continua, di un respiro condiviso tra il centro e la periferia che, anche se logisticamente più difficile rispetto alle diocesi territoriali, è tuttavia ancora più necessario e, per certi versi, più entusiasmante.
In questi giorni, guardando, ascoltando, pregando, mi veniva dinanzi agli occhi la Chiesa nascente descritta negli Atti degli Apostoli: un piccolo nucleo rimasto a Gerusalemme e gli altri sparsi per il mondo ad annunciare il Vangelo. Sparsi, sì. Eppure uniti, eppure in comunione, in comunicazione, nonostante gli scarsi mezzi di comunicazione del tempo.
Noi siamo così e così hanno lavorato, in questi giorni, gli Uffici e le Commissioni pastorali: cercando di iniziare a capire in quale modo ristrutturare, “sulla” pastorale, la nostra Chiesa; in quale modo comunicare, come impostare cammini comuni rispettando le diversità dei luoghi e dei destinatari a cui ci si rivolge, all’interno del mondo militare che, per tante, troppe cose, è diverso rispetto, ad esempio, al territorio di una parrocchia; cercando di decifrare meglio i bisogni della gente che fa il volto della nostra Chiesa, per offrire risposte che siano incarnate nelle storia ma risplendenti della luce del Vangelo.
La nostra Chiesa ha un volto!
Questa verità, mi verrebbe di dire, la dobbiamo gridare anche a chi questo volto non lo sappia o non lo voglia guardare, a chi non lo capisca; a chi, tutto sommato, ci considera Chiesa solo in senso formale. La nostra Chiesa ha un volto nel quale tutti ci specchiamo ed è proprio lo stile pastorale di cui sto parlando che aiuta a disegnare tale volto e a farlo riconoscere.
Non è facile, lo dicevamo, lavorare così. Eppure sappiate che lo stiamo già facendo! Non so in quanto tempo questa metodologia ci consentirà di vedere risultati tangibili, ma confesso che non è questo che considero importante. Chi semina con generosità e libertà sa bene che i frutti vengono quando è il loro tempo; a me basta sapere che siamo sulla strada giusta. Che i nostri Uffici, le Commissioni e tutti i cappellani vadano nella stessa direzione, per la costruzione di un cammino pastorale comune e comunitario.
A me basta, cari confratelli, che sappiamo vivere come comunità anche la nostra pastorale. D’altronde, ogni aspetto dell’evangelizzazione chiama in causa la pastorale.
 
Tutto quanto abbiamo detto riguarda, in modo particolare, la famiglia, tema sul quale sapete che abbiamo voluto continuare a riflettere per tutto il tempo del Sinodo.
Le vere conclusioni – o meglio le indicazioni – pastorali di questo corso, come vi dicevo, saranno presto oggetto di una Lettera Pastorale. Credo, tuttavia, che in questi giorni sino emersi elementi che vale la pena di sottolineare.
Noi siamo immersi, inseriti in una storia!
È una storia che, per certi versi, ci preoccupa, addirittura ci allarma: le riflessioni circa l’ideologia gender e i dati statisitici sulle famiglie separate ci hanno certamente sconvolto e toccato il cuore.
Siamo in una storia che ci provoca, ci sfida: sconvolgersi non significa soccombere ma farsi provocare – lo dicevo all’inizio – nella creatività pastorale di cui parla in Papa in Evangelii Gaudium. Direi che la «conversione pastorale» sembra ancora più necessaria proprio lasciandosi scuotere dalla realtà: pensiamo alla realtà educativa, culturale e giuridica; pensiamo alla nostra realtà militare.
Ma siamo anche in una storia che è per noi un patrimonio: è la storia della Chiesa che, nonostante le sue fragilità, ha tenuto saldo il valore della famiglia, a partire dal valore grande della persona e della vita umana.
Come muoverci, dunque? Direi lungo tre linee: conoscere, credere, collaborare.
 
– Conoscere
La nostra formazione personale è sempre più urgente: in questi giorni, ieri in particolare, tutti abbiamo visto come alcune problematiche ci passano dinanzi, come alcune realtà si impongono senza che neppure ce ne rendiamo conto. E questo è grave per un cristiano, per un prete.
– Credere
Dobbiamo però anche credere a quel patrimonio di fede sulla famiglia di cui parlavo. Dove eravamo quando si scrivevano quasi “a tavolino” le basi delle teorie gender, ci siamo chiesti ieri? Non eravamo attenti; e non solo ad accorgerci di quanto stava avvenendo ma non eravamo attenti a salvaguardare l’insegnamento della Chiesa. Dobbiamo credere al progetto di Dio sulla famiglia. Solo credendoci sapremo trovare vie e modalità per venire incontro a tutte le situazioni, anche alle più fragili.
– Collaborare
Sapete che lo scorso anno abbiamo, in questa direzione, proposto la strutturazione di un Centro diocesano militare per la Famiglia e la Vita, sottolinendo, tra l’altro, alcune priorità, tra cui la necessità di rivedere i percorsi di preparazione al matrimonio e i gruppi famiglia, di identificare “coppe referenti” per le diverse zone pastorali. So che ieri avete avuto abbastanza tempo per ascoltare il lavoro che l’équipe ha iniziato a fare in questo anno e per presentare le vostre difficoltà, esigenze, richieste. E so che vi sono state fatte alcune proposte che, in parte, avevo avuto modo di discutere in precedenza con i responsabili e che approfondirò ulteriormente con loro.
Tta i tanti aspetti che l’Ufficio diocesano deve affrontare, tuttavia, ritengo che uno si sia riproposto certamente in modo urgente in questi giorni: il tema educativo.
L’emergenza delle famiglie ferite, lo stessa sfida della cultura gender non si risolvono con una conferenza, anche se per noi la conferenza è particolarmnete utile per sapere cosa sta accadendo. Qui c’è bisogno di una proposta organica, continua, paziente, che vada alle radici della crescita dell’umano e che sia poi assunta da tutta la nostra Chiesa, rivolgendosi a destinatari di ogni età, ruolo, arma… L’Ufficio Famiglia ha il compito di pensarci in modo concreto e sarà aiutata dalle linee pastorali nonché dagli strumenti che io darò nella Lettera.
Ma la pastorale della famiglia richiede le famiglie. E questo don Renzo Bonetti ce lo ha ricordato con estrema chiarezza e concretezza. Dobbiamo «partire dalla faimiglia per raggiungere la famiglia», era il tema del nostro Corso.
Il nostro mondo militare fatica ma esige questo ulteriore sforzo che io credo debba partire dallo sforzo dei cappellani di creare una sorta di – vorrei dire –mentalità di famiglia all’interno delle singole caserme e unità del mondo militare: quasi un movimento di famiglie che si aggreghino sulla base del Vangelo.
All’inizio non sarà facile, molti militari – lo sappiamo bene – fanno riferimento alle diocesi territoriali e poi c’è l’eterno problema dei trasferimenti. Credo, tuttavia, che proprio questo stile pastorale possa improntare maggiormente il vissuto delle nostre realtà e rimanere quasi come una “tradizione”, una realtà acquisita, che rimane nel luogo anche quando le persone vengono trasferite e che, a loro volta, le persone trasferite portano con sé nel luogo in cui arrivano.
Non voglio soffermarmi oltre, avremo modo di sviluppare e certamente integrare i pochi punti che ho appena citato.
Chiudo con un invito alla preghiera. E non vi sembri scontato.
È la preghiera per la famiglia, a cui il Papa ci ha invitato a dedicare tempo, forze e fede, soprattutto in preparazione del Sinodo: bisogna pregare più che fare chiacchiere, egli ha detto nell’Udienza generale del 25 marzo scorso.
È la preghiera per la nostra Chiesa, della nostra Chiesa, la preghiera che ci fa Chiesa capace di camminare insieme e insieme ai nostri laici, ai nostri consacrati, ai nostri militari. La preghiera che ci fa sentire insieme come presbiterio. Portiamola con noi la preghiera che abbiamo vissuto insieme in questi giorni, ai piedi della Madre, cercando di ricordare ogni giorno ogni confratello e sentendoci ricordati ogni giorno da ogni confratello.
Così ci ritroveremo. E, così, avremo la forza di operare la «rivoluzione pastorale», nella nostra Chiesa come nella Chiesa nascente.
A tutti voi, un grazie di cuore per questi giorni e per tutto il vostro ministero.
E così sia!
X Santo Marcianò