Dal discorso di Giovanni Paolo II ai Cappellani militari del 19 ottobre 1995

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(22-10-2018) … Anche il mondo militare, al pari di ogni altro settore della società in cui si organizza e si esprime l’attività degli uomini, ha bisogno di una nuova evangelizzazione. Questo compito è affidato a voi, cari Cappellani militari, e alle comunità cristiane di militari che intorno a voi si formano.
Evangelizzare il mondo militare significa anche creare una cultura di solidarietà e di pace. Oggi più che mai, a cinquant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dopo la caduta del muro di Berlino, il militare deve fondare l’eticità della sua professione nei valori della difesa della libertà e della sicurezza del proprio popolo, nella collaborazione per il bene comune della nazione, nell’opera di mantenimento della pace e nella solidarietà umana verso gli altri popoli.
Questa cultura di pace, infaticabile nel favorire sempre il dialogo come strumento per risolvere le controversie, in determinate situazioni, e come “ultima ratio”, non può escludere il ricorso alla forza se ciò venisse richiesto dalla difesa dei giusti diritti di un popolo, o dalla necessità di mantenere la pace tra vari contendenti al fine di evitare stragi di popolazioni innocenti: in simili casi si tratterebbe di una legittima e doverosa ingerenza umanitaria, mirante a salvare vite umane e a proteggere persone deboli e indifese e, in ultima analisi, a portare solidarietà e pace sotto l’egida della comunità internazionale.
Questa visione del militare, che porta solidarietà e pace con i mezzi che gli sono propri, è ricca di valore e di dignità. Il Cappellano militare è chiamato a confortarla con l’apporto di tutte quelle motivazioni spirituali, morali e religiose che sono insite nella sua missione…
Avete preso rinnovata consapevolezza del fatto che il Cappellano, vivendo all’interno della struttura militare e accompagnando i militari nella loro vita, nel proprio Paese o all’estero, deve essere e sentirsi sempre e dovunque sacerdote. Come tale, egli trova la sua identità in Cristo Capo e Pastore, opera in nome di Cristo e della Chiesa e testimonia la sua spiritualità e missionarietà attraverso quella carità pastorale che è dono totale di sé a servizio di Dio e dei fratelli.
 
La mobilità dei destinatari della vostra azione e la loro differente provenienza socio-culturale e regionale rendono non facile l’impostazione di una pastorale organica ed incisiva. Essa dovrà comunque basarsi, innanzitutto, sull’accostamento personale, frutto di costante presenza e attenzione alle situazioni psicologiche, morali e spirituali di ciascuno, secondo una vera e propria “pastorale di accompagnamento”…
Vi incoraggio, pertanto, a proseguire nel vostro impegno pastorale, cercando sostegno nella preghiera, nell’approfondimento della Parola di Dio, nello studio dei documenti del Magistero, nella cordiale collaborazione tra voi e con il clero locale.