Precetto pasquale a Reggio Calabria

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Il Dio che dona speranza. Un Dio che nonostante la stanchezza e il cuore appesantito dal nostro andare e dalle paure ci chiede di rimetterci in gioco per sperare ancora e ancora. E’ questo il titolo della nostra vita, non soltanto della celebrazione che l’Ordinario militare ha presieduto nella sua città natale. Per un giorno Reggio Calabria si è ritrovata centro delle forze armate di tutta Calabria per vivere insieme al suo presule un momento di preghiera e condivisione in preparazione alla Pasqua. Espressioni forti quelle che sono uscite dal cuore del nostro Arcivescovo, rafforzate dal profumo di quei luoghi che lo hanno visto camminare e testimoniare la fede nel Signore. Nelle parole della sua meditazione si narra una storia nuova, un sud spesso abbandonato e giudicato, etichettato ma con una grande voglia di riscatto ad opera di persone, come gli uomini e le donne dello Stato, che ogni giorno danno la vita per un ideale, danno tutto per una divisa spesso pesante da portare e difficile da togliere, perché si è uomini dello Stato…sempre! Nel ricordo del mare che bagna le coste di questa meravigliosa terra c’è la voglia di riscatto di tanti giovani che cercano lavoro, che continuano a lottare e sognare per non farsi schiacciare dalla criminalità ma hanno voglia di volare alto e rimanere sani. Allora il monito dell’Ordinario a non vergognarsi di mettere al centro della propria vita Dio e in Lui riscoprire l’amore per la Famiglia e per una Patria l’Italia, spesso giudicata ma bisognosa invece di essere amata e difesa. Una sola scelta quindi, quella del Signore che ogni giorno rinasce in noi e ci chiede di tenere lo sguardo fisso su quella croce che ha vinto la morte.
Il nostro Arcivescovo ha terminato la Celebrazione eucaristica con il suo prolungamento naturale. L’incontro con la sua gente! Potersi avvicinare e dire una parola, salutare il suo Pastore, chiedere una preghiera, tutto questo è e rimane una parte essenziale della celebrazione. Senza la vicinanza e il contatto umano si rimane distanti, non si partecipa della vita di un popolo e non si percepisce il suo respiro, non ci si scopre Padri. Nel potere stringere la mano o essere abbracciati dal proprio Pastore i militari hanno capito di avere una persona vicina che li guida, capisce la loro storia e si mette accanto per camminare con loro.
(don Aldo Ripepi)