Dalla Pacem in terris alla Fratelli tutti

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(11-03-2023) «San Giovanni XXIII è ricordato come il Papa buono. Ma la bontà non è scontata, è una scelta da rinnovare ogni giorno». Con questa considerazione il cardinale vicario Angelo De Donatis ha concluso il convegno organizzato nella Sala della Conciliazione del Vicariato dall’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro in occasione dei 60 anni dell’enciclica Pacem in terris, in colllaborazione col ciclo di studi in Scienza della pace (Lateranense).

I lavori, introdotti dal direttore monsignor Francesco Pesce, sono stati una riflessione sull’influenza nella storia e sulla sorprendente attualità di quello che molti hanno definito il testamento spirituale del santo pontefice.

Lo ha evidenziato Marco Roncalli, saggista e pronipote di Giovanni XXIII: «Il fatto di riflettere ancora sulla Pacem in terris – ha detto – significa non solo riconoscerne i princìpi vitali ma anche il ruolo svolto dai pontefici accanto a istituzioni» che si sono dimostrate, e continuano a dimostrarsi, deboli. Roncalli ha ricordato il contesto storico che precedette e accompagnò la stesura del documento magisteriale: l’incontro, il 7 marzo 1963, con la figlia e il genero di Kruscev; la visita al Quirinale, quando Giovanni XXIII affermò che «la Chiesa è artefice e maestra di pace»; infine la crisi dei missili a Cuba. Per Angelo Roncalli c’è un filo rosso che parte dai primi anni del Novecento. «Scrisse frasi che si ritrovano nella Pacem in terris – ha sottolineato il pronipote -. Affermava, infatti, che la pace è la tranquillità dell’ordine», che significa «rispetto della giustizia e dei diritti dell’uomo». E all’inizio del secondo conflitto mondiale ribadiva che «una pace, anche difettosa, vale più di qualunque vittoria».

 

Sull’attualità dell’enciclica si è soffermato in particolare Oliviero Bettinelli, vicedirettore dell’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro. Ricordando il ruolo avuto da monsignor Pietro Pavan nella stesura del documento, Bettinelli ha sottolineato come Giovanni XXIII parta «da un presupposto: come possiamo costruire la pace oggi?». E ha evidenziato tre aspetti: la reazione alla “privatizzazione” della guerra, che non è mai una questione tra due parti ma riguarda tutti; il metodo offerto dall’enciclica, ovvero saper leggere i segni dei tempi; infine, il coraggio di mettere al centro la persona umana dotata di dignità e, per i credenti, rimettere Dio al centro di un impegno per la pace.

 

È invece toccato a Monica Di Sisto affrontare gli aspetti dell’enciclica legati allo sviluppo: «La Pacem in terris lancia uno sguardo sul governo mondiale dell’economia che, se fosse stato preso sul serio, non ci saremmo trovati nelle condizioni attuali», ha affermato. L’enciclica ha «un programma politico». Affronta temi come la centralità dei diritti, anche economici, il bene comune, il ruolo dei corpi intermedi, tutti aspetti legati al principio di sussidiarietà. «Non c’è pace – ha concluso – senza giustizia economica».

«L’enciclica è più di un testamento spirituale, perché si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà in uno spirito ecumenico che già stava permeando il Concilio Vaticano II», ha invece sottolineato Giulio Alfano, docente del ciclo di studi in Scienze della Pace dell’Università Lateranense, mettendo in evidenza il legame con la Fratelli Tutti di Papa Francesco. Il documento di Roncalli disegna la pace come «un diritto inalienabile dell’uomo» ed è alla base di un «mutamento culturale», che evidenzia che «non ci sarà mai pace senza una distribuzione equa delle ricchezze», che rigetta «la competizione come metodo di vita» e ribadisce il «ruolo importante delle religioni» nella ricerca della pace. Flaminia Giovannelli, già sottosegretario del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, ha fatto un excursus del legame tra la Pacem in terris e la dottrina sociale della Chiesa.

 

Infine, il cardinale De Donatis, partendo dalle parole iniziali dell’enciclica, ha preso in esame come la pace sia presente nelle Sacre Scritture. «Gesù proclama l’editto della pace in tutti i tempi – ha concluso -. La Risurrezione realizza la pace tra Cielo e terra e la riconciliazione con Dio produce l’effetto visibile della pace tra i popoli». Ma «l’editto del Cristo Risorto si compie con la pace nei cuori: Gesù rivela che la pace è frutto della sua parola e consente di affrontare anche le esperienze più dolorose».