Da Loreto… riflettendo sul Natale

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(07-12-2023) L’incontenibile si fa abbracciare: grande mistero che viene ad illuminare di divino splendore la nostra vita! Una meravigliosa antifona dei nostri fratelli bizantini canta: «Hai voluto riposare in una stalla Tu che tieni l’intero universo nel palmo della tua mano». Sì, la divinità finalmente si rende abbracciabile, si ricopre di umana tenerezza, si affida alle mani e all’amore delle sue creature, ci ama al punto da renderci idonei a ricoprire di tenerezza la sorgente di ogni amore. A Natale, se lasciamo da parte i luccichii e i richiami degli scaffali stracolmi di armi letali causa di diabete e di colesterolo, scopriamo una nuova storia, una bellissima storia, sarà per sempre una storia “con” Dio e non più una questione tra noi e Dio. E Dio comincia questa avventura puntando diritto al cuore dei poveri, perché essi sono oggetto di cure speciali da parte sua, Egli sorride ai poveri e li rende “porta del cielo”, a essi è concessa la sua prima misericordia. Tutto ciò non poteva che manifestarsi concretamente nella scelta della povertà più assoluta da parte del Creatore. Il sogno di Dio, lo sappiamo bene noi pellegrini del Santuario Lauretano, è iniziato quando l’occhio e il cuore di Dio hanno puntato diritto alla povera casa dell’adolescente Miryam di Nazaret: una casa molto povera, un villaggio che villaggio non era, una povertà che tale era, eccome! Da lì l’Eterno comincia a ricamare con fili d’oro e con l’aiuto della piccola padrona di casa il magnifico arazzo in cui è rappresentata la nostra redenzione, un arazzo che è come una finestra che ci fa già intravedere il Paradiso. Vogliamolo o no, ma sì che lo vogliamo, siamo discepoli di un Dio nato in una stalla. Racconta don Roberto Seregni, missionario in Perù, che durante l’ultima celebrazione del Natale “una nonnina arrivava alla celebrazione con un bel Gesù Bambino di gesso avvolto in una colorata tela peruviana. Durante la Messa lo cullava come fosse uno dei suoi nipotini. Mi ha commosso e mi ha fatto pensare all’immensa fantasia di Dio che per poter stare in mezzo a noi si è fatto piccolo come un bambino”. L’Atteso delle genti, il Salvatore del mondo, il Figlio di Dio è quel neonato che piange infreddolito nella stalla di Betlemme. Lì, in quel luogo, troverai la Sapienza eterna appiccicata al seno dell’adolescente Miryam. Gesù non va cercato dove tu pensi che Egli si possa trovare, potresti entrare in un grande tempio e trovarlo irrimediabilmente vuoto, potresti entrare nel palazzo di uno dei tanti Erode di ogni tempo e rimanere a bocca asciutta, potresti sentirti sicuro di trovarlo nel tuo devozionismo o nel tuo vantato bigottismo, ma da lì Lui letteralmente scappa via! Dio sceglie di entrare nella storia dal punto più basso, da una stalla di periferia, da un luogo poco frequentato, uomo tra gli uomini, povero tra i poveri, ultimo tra gli ultimi. Forse a qualcuno la cosa può tornare alquanto indigesta, ma la realtà, per disegno divino, è che noi siamo discepoli di un Dio nato in una stalla e morto e crocifisso tra due ladroni! Questo deve servirci a ricordarci di essere anche noi più semplici e umili, persone concrete che non perdono mai di vista l’essenziale. Nella stalla di Betlemme si può toccare Dio, un Dio piccolo e indifeso che contrasta i mali del nostro tempo, che spezza i bastoni dell’aguzzino, che viene per trasformare le lance in falci. Lui, Dio bambino, è potente e si contrappone ad ogni violenza e porta un messaggio di pace e ci dice che l’amore vincerà. Il Bambino Gesù ci fa capire che anche noi dobbiamo essere operatori di pace e noi lo amiamo, amiamo la sua non violenza, ma soffriamo per la violenza che perdura nel mondo. Il Natale di Gesù fa a pugni con la festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà e della semplicità. Dobbiamo avere il coraggio di abbandonare le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale che ci impedisce di vedere la vicinanza di Dio, un Dio diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni, un Dio che si nasconde nell’umiltà di un bambino appena nato. Gesù è la luce che non abbaglia, Egli è la luce che illumina.

Nel buio di una stalla ecco il vagito di un bambino. Maria di notte, dà alla luce l’Onnipotente e finalmente è Natale, “la luce risplende nelle tenebre” e il nostro buio si è illuminato. Isaia lo aveva annunciato: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce» (Isaia 9:1). Luce che ha squarciato il cielo sopra di noi ed ha illuminato tutti: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1:1-18). Quando il mondo non si accorge di Dio, quando anziché correre verso la stalla di Betlemme l’uomo preferisce correre verso il bazar dei luccichii, allora si fa buio e si rimane ciechi a vagabondare. Era buio ed è ancora buio per coloro che non lo riconoscono, che non lo accolgono e le luci di mille lampadine, le note solenni dei canti, non riescono a vincere il buio dell’anima se il Dio-Bambino rimane fuori dai nostri interessi. Se Lui non c’è, se Lui non vive in casa con noi, non c’è alcuna luce artificiale che possa rischiarare la vita. Nella notte del Natale le porte di tante case rimasero chiuse, nessuna accoglienza. Giuseppe si affretta a sistemare un po’ di paglia sul pavimento asciutto e duro, una coperta di pelli e lì fa sdraiare l’amata Maria. La stalla era buia, nessuno intorno, nessuno lì ad accogliere Gesù, solo una mangiatoia per gli animali, lì un bue e un asino. È stato un applauso di bestie il primo benvenuto al mondo di Gesù! Ma ecco che anche l’umanità comincia a muoversi verso la stalla, sono i pastori, gente povera, costretta dalla miseria a fare da guardiani alle pecore del ricco padrone, gente che non ha tempo per sé, non va neanche al Tempio o in sinagoga, il ritmo delle loro giornate e nottate è dettato dalle esigenze degli animali e per questo non erano né amati né benvisti dai soliti bigotti benpensanti. «C’erano in quella regione alcuni pastori … Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2:9). Nella stalla c’è il Figlio di Dio avvolto in fasce e nel buio della notte ci sono i pastori avvolti dalla luce. Questo è il Natale, questa è la festa da celebrare perennemente, questa è la festa che manda in cortocircuito tutti i luccichii delle lampadine di natale e che da solo illumina tutta la terra. Dio è una riserva di luce infinita. Maria con poche povere fasce e tanta tenerezza ha saputo trasformare una stalla nel trono di Dio!

La scelta di Dio di nascere in una stalla ci dice che Egli scommette su coloro sui quali le luci della ribalta non sono accese. Nel cuore della notte del mondo, a Betlemme, i pastori, non distratti dalle palle di natale e dai scintillii, videro una grande luce, un cielo di stelle luminose, i cori degli angeli che cantavano, mentre gli altri non si accorsero di nulla e per loro quella fu una notte come tutte le altre. Gli ultimi della terra, invece, quella notte hanno avuto il privilegio di sentire venire dal Cielo per bocca degli angeli il più bel canto mai udito: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra a tutti coloro che Egli ama”. A queste parole non possono più stare fermi, avrebbero bisogno di dormire, sono stanchi di tutto il lavoro della giornata, invece si alzano e corrono verso la stalla, vanno da Colui per il quale vale la pena lasciare tutto. Trovano un bambino non diverso da tutti gli altri, ma ciò che provano è qualcosa di veramente nuovo: si sentono amati, abbracciati, riscaldati.

L’esperienza della nascita di Gesù nella stalla di Betlemme ci dice su che direzione si muove l’azione di Dio. Egli non cerca vie facili o comode, non si contamina coi potenti del mondo per avere agevolazioni e “protezioni”, la divina libertà lo porta a scegliere il posto dove nessuno dei potenti mai andrà, dove i nobili hanno paura di contaminarsi, dove i bigotti hanno il terrore di dover abbandonare tutte le loro quisquiglie su Dio e sulla loro fede. Le stalle del mondo sono il punto preciso che Dio cerca per trovare accoglienza, ed è bene che accogliamo nel cuore, una volta per tutte, che questa, solo questa, è la logica di Dio, non ne esistono altre. E il Natale continua, ogni giorno, e anche oggi Dio vuole abitare nelle nostre “stalle interiori”. Certamente è presepe che accoglie Gesù il mondo dei poveri, dei sofferenti negli ospedali, degli anziani scaricati da qualche parte, nelle varie forme di violenza e di sfruttamento, nei luoghi dove si combattono le guerre e a proposito di queste viene da pensare che gli uomini di oggi, soprattutto i politici, capiscono solo la guerra, la pace li confonde e se ne allontanano sempre di più. Una guerra nel cuore dell’Europa, un’altra nella Terra Santa e tutti si arrampicano sui vetri o scivolano su piste insaponate, mentre a migliaia, soprattutto civili, vengono ammazzati nel mattatoio di un mondo che, davvero, non capisce più la pace. Chi gira per i palazzi del potere, quelli illuminati da tanta ipocrisia e decorati da tanta ignoranza, non sa dove si trova la stalla di Betlemme, non saprà mai dove la vera luce è disponibile – ed è anche gratis -, non saprà mai che la pace è possibile, sì, perché solo con Cristo al centro delle nostre scelte la pace sarà possibile, se no, possiamo darci già appuntamento alla prossima guerra e riprenderemo a contare altri morti … l’importante è che io mi possa mangiare il mio capitone e il mio panettone in “santa pace”.

Le stalle interiori sono quelle che portiamo nell’animo: il mio peccato, la mia sfiducia, il mio non credere in un futuro migliore baciato da Dio, il mio lasciarmi andare, la mia rinuncia alla lotta, la mia rassegnazione a non fare di tutto pur di ottenere un lavoro che mi renda protagonista nella vita, la mia vita familiare che si è ricoperta di una patina opaca, il mio non riuscire ad essere persona leale e fidata, il mio vivere di sospetti, di giudizi e di pregiudizi. E allora ricordiamocelo tutti quanti: Dio vuole abitare anche nelle nostre stalle interiori. Papa Francesco, il 2 gennaio dello scorso anno, disse: «Dio è luce: in Lui non c’è opacità; in noi, invece, ci sono molte oscurità. Ora con Gesù si incontrano luce e tenebre: santità e colpa, grazia e peccato … E annunciare il Vangelo con questa polarità è una cosa splendida: il modo di agire di Dio. Di fronte alla nostra fragilità, il Signore non si tira indietro. Non rimane nella sua eternità beata e nella sua pace infinita, ma si fa vicino, si fa carne, si cala nelle tenebre, abita terre a Lui estranee. E perché fa questo Dio? Perché scende da noi? Lo fa perché non si rassegna al fatto che noi possiamo smarrirci andando lontani da Lui, lontani dall’eternità, lontani dalla luce. Ecco l’opera di Dio: venire in mezzo a noi. Se noi ci riteniamo indegni, questo non lo ferma, Lui viene. Se lo rifiutiamo, non si stanca di cercarci. Se non siamo pronti e ben disposti ad accoglierlo, preferisce comunque venire. E se noi gli chiudiamo la porta in faccia, Lui aspetta. È proprio il Buon Pastore … che viene a cercarci lì dove siamo: nei nostri problemi, nella nostra miseria …», nelle nostre stalle! “Dalle stelle alle stalle”, dalla stella alla stalla: sì Dio mi pensa, mi cerca, desidera stare con me e io, spesso, non ho altro da offrirgli il mio cuore imbrattato, la mia anima appesantita, il mio sogno frustrato.

E di tutto questo dobbiamo ringraziare Maria Santissima, la giovane Miryam di Nazaret, perché lei per prima ha spalancato la porta di casa sua e quella del suo cuore al buon Dio. La casa di Miryam non era la più bella del mondo, era la casa di povera gente, di un povero villaggio, di gente che non viene neppure contata perché, allora come oggi, ai poveri non si perdona neppure il fatto di essere poveri, era l’antifona d’ingresso di quella che poi sarà la stalla di Betlemme. Dalla prima parola all’ultima lo stile di Dio è costante, è sempre quello: Egli ama i poveri, ha per loro cure speciali, sorride ad essi e li rende “porta del cielo” … proprio come Maria la “Ianua Cœli”.

(dal mensile “Il Messaggio della Santa Casa di Loreto” – dicembre 2023)

Padre Giuseppe Faraci