Omelia Ordinazione Giuseppe Laganà 22 aprile 2023

22-04-2023

Ordinazione sacerdotale d. Giuseppe Laganà (Messa della II Domenica di Pasqua Anno A)

Santuario S. Francesco – Paola CS, 22 aprile 2023

 

Carissimi fratelli e sorelle, carissimo Giuseppe, le parole della Sacra Scrittura ci introducono nel Mistero della nostra Celebrazione. La prima Lettura (At 2,14.22-33) ci proietta nel giorno di Pentecoste, con il grande Discorso di Pietro sulla verità della Risurrezione di Cristo. Un discorso che testimonia la trasformazione, la trasfigurazione, per azione dello Spirito Santo, di un uomo che poco prima aveva rinnegato Gesù.

Non siamo a Pentecoste ma oggi celebriamo un dono dello Spirito, un’unzione spirituale: il dono del sacerdozio, con cui lo Spirito trasformerà, trasfigurerà te, caro Giuseppe.

Siamo nel Tempo di Pasqua, quando la Chiesa, più di sempre, mette dinanzi ai nostri occhi la verità della Risurrezione. E per capire il sacerdozio, per vivere il sacerdozio, sono necessari occhi risorti. È il dono che oggi chiediamo al Signore per te, sulla scia dell’esperienza dei discepoli di Emmaus che abbiamo ascoltato dal Vangelo (Lc 24,13-35).

E vorrei provare a contemplare, proprio attraverso questi «occhi», i doni e i compiti che il Signore affida al tuo sacerdozio.

 

  1. Occhi in cammino. Il munus regendi.

Il brano di Luca ci presenta i due discepoli in cammino. E l’icona del cammino è fondamentale nella vocazione.

Come non pensare qui al cammino della tua vita che ti ha gradualmente portato a percepire la chiamata del Signore? Al cammino nella tua famiglia, alla tua infanzia e prima giovinezza: la nascita in Sicilia, l’esperienza in Germania, il percorso con i Padri minimi che tanto ti ha formato…

Un cammino bello ma anche difficile, perché il cammino della nostra vita, a volte, diventa pesante, deludente, affaticato. È così per i due viandanti di Emmaus, fino a che pretendono di andare avanti da soli, senza Gesù. Essi pensano di sapere tutto di Lui, addirittura ne discutono animatamente; eppure, come si vedrà di lì a poco, non Lo conoscono, perciò non Lo riconoscono.

Come loro, però, è nel cammino che noi incontriamo Cristo, Cristo Risorto: anche nei cammini delusi e stanchi o nelle strade dure del ritorno da un fallimento…

Tu sei un sportivo, Giuseppe, un campione di rugby. Questo ti ha insegnato quanto sia importante camminare insieme, giocare in squadra e seguire una guida, un allenatore. E quanto sia importante non fermarsi, neppure dinanzi alle sconfitte più amare.

Non pensare di poter vivere il sacerdozio senza camminare e senza camminare insieme con gli altri: con la comunità, con i tuoi confratelli, con la Chiesa diocesana e universale. Senza faticare con loro, allenarti con loro, giocare con loro, ricominciare sempre con loro… Non è facile ma indispensabile; e lo tocchiamo con mano oggi mentre, parlando tanto di Sinodo, rischiamo di non iniziare mai un vero e proprio cammino comune.

Ma il sacramento dell’Ordine non ti vuole solo discepolo, viandante in cammino; ti vuole anche guida, pastore. Lo Spirito ti elargisce il munus regendi, il carisma del governo della comunità; e questo significa, prima di tutto, che il tuo modo di camminare, di accostare Gesù lungo il cammino, diventa esempio e strada tracciata anche per gli altri; significa che tu sarai sempre sulla strada a precedere e accompagnare, incontrare e supportare coloro ai quali il Signore vorrà condurre i tuoi passi.

 

  1. Occhi incapaci di riconoscere Gesù. Obbedienza e docilità

I discepoli di Emmaus non riconoscono Gesù.

Quanto è difficile, a volte, riconoscere il Signore!

Quanto può essere difficile cogliere la Sua volontà, specie nel tempo faticoso del discernimento vocazionale!

Eppure gli ostacoli, i momenti di buio e confusione possono essere la spinta a una conoscenza del Cristo più vera, possono far nascere il desiderio di guardare a Lui.

I discepoli di Emmaus, per così dire, non mettono in funzione lo sguardo. Pensano a discutere tra loro, cercano di convincere delle proprie opinioni quel Pellegrino che li ha avvicinati ma, in realtà, non Lo guardano, dunque i loro occhi non sono capaci di riconoscere Gesù.

Essi non sanno vedere il Signore nello straniero che cammina con loro; non lo sanno vedere l’uno negli occhi dell’altro, impegnati come sono a discutere e a replicare…

È un rischio anche per noi, ancor più ai nostri giorni, quando le discussioni, le repliche, le dichiarazioni che si moltiplicano, soprattutto sui social media, precedono e spesso bloccano il vero incontro con l’altro.

Caro Giuseppe, abbi cura delle relazioni, anche delle relazioni difficili! Sii prima di tutto, come dice la Pastores dabo Vobis, un «uomo di comunione»[1], capace di guardare gli altri negli occhi e con i tuoi occhi, prima ancora di parlare e di elaborare un giudizio.

Per questo, cura tanto il tuo “umano”, nel quale matura la chiamata a donare te stesso agli altri e a vivere per loro.

È una peculiare forma dell’obbedienza che oggi prometti, per vivere la quale è necessaria la docilità delle «quattro vicinanze» che Papa Francesco ama ricordare ai preti[2]: vicinanza a Dio, al vescovo, ai fratelli e – non lo dimenticare – ai tuoi confratelli, che ti accolgono con gioia nel bel presbiterio dell’Ordinariato Militare.

 

  1. Occhi puntati su Gesù e sulla Sua Parola. Il munus docendi

Mentre Gesù parla, gli occhi dei due si volgono a Lui.

È proprio così: anche se può sembrare strano, l’ascolto nasce dallo sguardo. E spesso le difficoltà di ascolto sono legate a una difficoltà di sguardo nella relazione. In un tempo in cui la cultura e il culto dell’immagine ci sovrasta, ci stordisce, distoglie dall’ascolto, va recuperato uno sguardo che ascolti; anzitutto che ascolti il Signore.

Per questo, caro Giuseppe, la Parola di Dio dovrà essere la prima cosa che “guardi” al mattino e l’ultima sui cui chiudi gli occhi alla sera. Quella con la Parola di Dio, tu lo sai bene, è una relazione, perché la Parola è Persona e vuole entrare perennemente in dialogo con te e, attraverso di te, con gli altri, con il mondo.

È il senso profondo del munus docendi del presbitero: la capacità di insegnare che rende il Vangelo comprensibile non solo alle orecchie ma agli occhi.

Sì, il Vangelo sarà visibile con la tua vita se tu hai uno sguardo capace di guardare e ascoltare il Signore, per conformarti a Lui.

È lo sguardo della preghiera!

È la relazione con Dio che ci regala la preghiera!

Fai in modo che, dalla preghiera, scaturisca tutta la tua vita e il tuo ministero di evangelizzazione. Che sgorghi da lì ogni omelia catechesi, ogni forma di accompagnamento spirituale.

Riempi i tuoi occhi della Parola e dell’Adorazione del Signore: così, ne trasmetterai la Luce

 

  1. Occhi che cercano il Signore povertà – umiltà

Quando il cammino è avanzato, dalla bocca dei due discepoli di Emmaus si leva una richiesta: «Resta con noi!».  Non è un semplice invito. Coloro che parlavano animatamente, pensando di aver capito tutto di Dio, incontrando il Signore diventano umili.

È proprio vero: dinanzi a Dio ci scopriamo estremamente poveri e bisognosi di Lui. E la povertà, la sobrietà di vita richiesta al sacerdote, dice esattamente questo: che il nostro tesoro è là dove è il nostro cuore. E lo è perché, come ci ricorda Pietro nella seconda Lettura (1Pt 1,17-21), il prezzo della nostra vita e della nostra salvezza è «il sangue prezioso di Cristo».

Questa sostanziale povertà, testimoniata anche nella vita del prete, ci dona occhi per vedere le povertà dei fratelli, ci fa cercare Dio nei poveri. E povero è chi ha bisogno di noi, chi è affidato alle nostre cure. Poveri sono coloro che ci sono più vicini; poveri, per te caro Giuseppe, saranno i tuoi militari e le loro famiglie…

Sì, scoprendoci poveri possiamo scoprire i poveri. Allo stesso tempo, possiamo intuire che la più grande povertà dell’uomo è la mancanza di Dio; talora è il non essere abbastanza umili per capire il bisogno di Lui e mettersi alla ricerca del Signore.

Forse è qui il cuore di tutta la spiritualità di Francesco di Paola. Un Santo che tu ami, e noi siamo qui per questo; un Santo «grande» che, paradossalmente, tutto ha racchiuso nella parola «minimo». L’umiltà, la povertà è la vera grandezza perché può essere riempita da Cristo e dal Suo sangue prezioso. Un sangue che ti conforma a Sé, per farti essere strumento di salvezza.

 

  1. Occhi che si aprono allo stupore. Il munus santificandi

Il cammino dei due discepoli continua e, a un certo punto – potremmo dire -, avviene una conversione: l’ascolto, che era nato dallo sguardo, ora apre gli occhi.

Ma quando si aprono gli occhi dei discepoli? Dinanzi all’Eucaristia! Dinanzi allo Spirito che trasforma in Corpo e Sangue di Cristo il pane e il vino che Egli spezza.

Così, gli occhi del sacerdote si aprono e vedono il Signore vivo dinanzi alla Grazia, che opera nei sacramenti aprendo a sua volta gli occhi di coloro ai quali viene elargita.

Che dono e che responsabilità, che privilegio noi sacerdoti condividiamo con il Risorto! Essere canali di questa grazia che apre gli occhi dell’uomo: sul suo peccato… e lo invita alla conversione; sulla sua fame d’amore… e lo nutre con il Pane del cammino; sulla sua solitudine… e lo ricolma di comunione; sul suo dolore… e lo unge con l’olio della consolazione; sulla morte… e lo invita a rinascere nel Battesimo.

Caro Giuseppe, anche i tuoi occhi, oggi, si aprono sul Mistero Eucaristico, che celebri per la prima volta da sacerdote, e sugli altri Sacramenti.

Non ti abbandoni mai lo stupore e la venerazione per il munus santificandi! Per la possibilità di donare agli altri i Sacramenti della salvezza. E santificati anzitutto tu, nella Celebrazione e nella vita sacramentale, per fare santi i fratelli con l’azione dello Spirito Santo.

 

  1. Dagli occhi al cuore. Castità – ecclesialità

A un certo punto, gli occhi dei due discepoli sembrano non servire più, lasciano il posto al cuore. Gesù «si allontana dalla loro vista», dice Luca, ma rimane il «cuore che arde».

Sì, ci sono alcune verità che la fede rende visibili. Ma c’è una dimensione di invisibile, non meno intensa e reale, che abita la fede e, in particolare, il rapporto con il Signore a cui ci chiama la nostra vita di sacerdoti.

Il «cuore che arde» è la memoria, la testimonianza di Colui che, anche per un attimo, si è reso così evidente e presente da diventare “più intimo a noi di noi stessi”.

L’Invisibile è Presenza d’Amore. E se noi sacerdoti possiamo vivere la bellezza della castità nel celibato è solo per questa intensa esperienza d’amore, che ha fatto ardere il nostro cuore e lo farà ardere per tutta la vita e in tutto.

Ardere del calore della tenerezza, della forza della passione, della passione nella sofferenza… è un Amore “bruciante”, quello di Cristo e per Cristo, che ci consuma a misura di Colui che ci ama così. È un “contagio”, potremmo dire, del fuoco che ci sigilla nell’appartenenza di un amore sponsale, come il sigillo del Cantico dei Cantici (cfr. Ct 8,6)

Tale appartenenza di amore è, per noi sacerdoti, il segreto che ci lega alla Chiesa, Sposa di Cristo e nostra Sposa.

Non è forse questa l’esperienza dei due di Emmaus? Non è forse il cuore che arde, il cuore innamorato di Cristo, il motore che dona loro la luce e la forza per cambiare direzione e tornare a Gerusalemme, alla comunità, nella Chiesa… La forza di tornare a casa?

La Chiesa è Sposa da oggi per te, Giuseppe. Amala con tutto il cuore! Ma la Chiesa è anche la casa materna, dove cercare rifugio e dove poggiare il cuore nei momenti di stanchezza, di difficoltà, di crisi. È la tua radice, che rimane sempre come memoria del cuore; è la casa in cui ritornare per ripartire ogni volta e uscire da te stesso.

 

Caro Giuseppe, ecco il cammino che si apre dinanzi ai tuoi occhi risorti. Ecco il cammino risorto, cammino di gioia e speranza.

Un cammino sospinto dallo Spirito Santo: Presenza invisibile ma operante, in te e attraverso di te; Amore che fa ardere il cuore di passione e di comunione; Luce che illumina gli occhi e rischiara la strada del tuo popolo, dei nostri militari ai quali il Signore ti invierà e con i quali camminerai, perché anche il loro cammino sia sempre più capace di scegliere e percorre sentieri di giustizia, di fraternità e di pace, per il bene della Chiesa e la vita del mondo. L’intercessione di San Francesco da Paola e della Madre del Cielo accompagnino questo tuo cammino.

E così sia!

Santo Marcianò

[1] Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Pastores dabo Vobis, 43

[2] Cfr. Francesco, Discorso ai Partecipanti al Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”, Roma, 17 febbraio 2023