Roma – 26 aprile 2016
Eccellenza, la vostra “tre giorni” giubilare comincerà il 29 aprile con un Convegno sui 30 anni dalla promulgazione della costituzione apostolica “Spirituali Militum Curae”. Come è cambiato, in questi tre decenni, l’identikit di coloro che San Giovanni Paolo II, sulla scorta del Concilio, definì “ministri della sicurezza e della libertà dei popoli”?
Si tratta di una felice coincidenza: celebrare l’anniversario della Spirituali Militum Curae darà una peculiare direzione al Giubileo dei militari. Il Documento, pur nella sua brevità e nel necessario impianto normativo, ha, infatti, un intento pastorale. La cura spirituale dei militari e delle loro famiglie sta a cuore alla Chiesa! E, se è vero che la figura dei militari è cambiata e sta cambiando, è anche vero che tale cambiamento, che si configura come servizio sempre più convinto e concreto alla pace, è favorito dall’opera di sostegno, educazione, evangelizzazione che la Chiesa svolge tra loro e che i militari stessi desiderano, richiedono e considerano di fondamentale aiuto.
Gli Ordinari militari che convergono a Roma provengono da Asia, Africa, America del Nord, America Latina, Europa: ci sono “emergenze” differenziate a seconda dei continenti?
Le diverse situazioni geografiche, storiche, politiche rendono differenti le “emergenze” non solo nei vari continenti ma anche in Nazioni o zone diverse: pensiamo ai Paesi con conflitti in atto, a quelli impegnati nel soccorso e accoglienza di profughi e migranti, ai luoghi in cui è diffusa la corruzione politica, la criminalità organizzata, il narcotraffico, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento e la violenza su donne e bambini… Certamente è differenziata l’emergenza; tuttavia, bisogna riconoscerlo, è pure diversa la risposta che i militari offrono, in relazione alle politiche locali nonché alla loro stessa formazione culturale e umana. In questo, lo ripeto spesso, i militari italiani si distinguono, per uno “stile” che pone al centro la grande dignità della vita umana, il cui valore essi cercano di promuovere in ogni circostanza, attraverso la missione di cura e difesa che è loro propria.
Per quanto riguarda l’Italia, durante il Convegno è prevista, tra l’altro, una testimonianza su Giovanni Palatucci, il “Questore di Fiume”: quale l’eredità di questa figura per le nuove generazioni?
Il mondo militare, in Italia, è molto attento alla formazione e a una formazione non solo tecnica ma integrale dell’uomo. Le leggi pedagogiche insegnano che la formazione ha bisogno di un tessuto di valori di riferimento come pure di testimoni in grado di viverli, rendendoli al contempo attrattivi. In questa luce si colloca la storia di Giovanni Palatucci, un uomo che del suo lavoro di questore ha fatto una strada di giustizia e pace, sfidando le leggi razziali per salvare la vita di molti ebrei e diventando, per questo, vittima dei nazisti a Dakau. In figure come la sua, che non hanno esitato e non esitano a dare la vita per difendere la pace, la verità, la giustizia e per salvare le vite altrui, anche la Chiesa intravede una possibile via di santità; e la stessa Chiesa, come Madre, dona la vita per i suoi figli militari, in particolare attraverso i tanti cappellani militari di ieri e di oggi.
Il culmine del vostro Giubileo è il 30 aprile, quanto parteciperete all’Udienza giubilare con Papa Francesco. Come si comporrà, secondo lei, il mosaico della famiglia militare che, insieme alle forse di polizia, vivrà quest’evento?
Credo siano due le parole che vorremmo tutti dire al Papa. Anzitutto un infinto “grazie” per il suo affetto, sostegno, guida. I militari, le forze dell’ordine e di polizia si sentono capiti, rafforzati e ispirati nei compiti che sono chiamati a svolgere e imparano meglio, proprio dal Santo Padre, che ogni impegno a servizio all’uomo, soprattutto dei più poveri, indifesi, innocenti, scartati, discriminati, può e deve rappresentare un contributo fattivo alla giustizia e alla pace. In questo senso, il Giubileo sarà occasione per rinnovare, assieme al rinnovamento della vita che ciascuno opererà con la conversione personale, la “disponibilità” – ecco la seconda parola – dei militari a essere «costruttori di ponti e non di muri», per contribuire a quella «cultura dell’incontro» della quale Papa Francesco è punto di riferimento, assertore, tessitore, testimone.
Papa Francesco non cessa di fare appelli perché si spengano i vari focolai di quella che lui stesso ha definito “una terza guerra mondiale a pezzi”. Quale può essere il contributo, e le iniziative specifiche, degli Ordinari militari a questa causa, in particolare durante l’Anno della Misericordia?
La domanda meriterebbe una risposta approfondita: molti possono essere i contributi da portare avanti da parte degli Ordinari militari in collaborazione con diverse realtà istituzionali e con le Chiese diocesane. Vorrei ricordarne almeno tre, che ho già avuto modo di illustrare e che, tra gli altri, intendo riproporre al Convegno. Anzitutto occorre evangelizzare l’accoglienza: vegliare affinché i militari tengano sempre aperte le strade a tutti, soprattutto ai migranti e profughi, nel cui soccorso essi giocano ovunque un ruolo fondamentale. Bisogna poi testimoniare come il dialogo ecumenico e interreligioso sia una forza che può contrastare la guerra: lo sperimentiamo proprio noi, vescovi e sacerdoti della Chiesa che è tra i militari, che spesso operiamo accanto a cappellani di religioni diverse. Infine, ma elemento di primaria importanza, dobbiamo vivere l’unità in una preghiera costante e fiduciosa: la pace, infatti, è un dono e non bisogna mai smettere di cercarlo, costruirlo, invocarlo.
M. Michela Nicolais
29-07-2016