Lettera ai Cappellani per la Quaresima 2021

La Quaresima schiude ancora le sue porte e ci invita a schiudere le porte del nostro cuore.

Solo un anno fa, per la prima volta nella storia del nostro tempo, si iniziavano a chiudere le porte delle Chiese: dalla Quaresima 2020 sono state sospese tutte le celebrazioni a causa del diffondersi del contagio da Coronavirus. Fu l’inizio di un “digiuno eucaristico”, richiesto dalla gravità della pandemia, che il nostro popolo non avrebbe mai potuto immaginare ma dal quale noi, sacerdoti, siamo stati risparmiati. La relazione Sacerdozio-Eucaristia è stata, soprattutto in quei mesi, una verità intimamente tangibile e profondamente esigente; una verità che merita di essere ancora a lungo mediata e interiorizzata, per gettare nuova luce sulla nostra splendida vocazione.

Dall’attuale crisi, ripete spesso Papa Francesco, usciremo migliori o peggiori, non c’è alternativa. E questo riguarda anche noi!

Per certi versi, la pandemia ci ha raggiunto in un momento storico in cui la figura stessa del sacerdote viveva un momento di crisi. La ferita degli scandali e degli abusi, in particolare, ha toccato al cuore la Chiesa, con una virulenza, direi, maggiore del Covid 19. Se è dunque vero che, da questa crisi, verrà certamente fuori un mondo nuovo, è vero che anche la figura del sacerdote uscirà inevitabilmente rinnovata dalle diverse crisi che l’hanno toccata.

È stato, però, proprio questo tempo di buio per l’umanità a evidenziare punti di luce, forse occultati da quel male che sembra abbagliare più del bene. Quanti sacerdoti hanno perso la vita, in questi mesi, per fedeltà al ministero! Quanti, come voi stessi avete fatto, sono rimasti con la gente, mostrando una vicinanza impastata di coraggio e creatività, di solidarietà concreta e cura formativa!

Quanti hanno circondato il popolo loro affidato di una preghiera silenziosa e perseverante – forse riscoperta a causa del tempo di confinamento – che ha impedito al mondo di cadere nella disperazione! Sono testimonianze di fede, carità, speranza: sono le fondamenta della vita cristiana che Papa Francesco, nel suo Messaggio per la Quaresima[1], ci invita a riscoprire, legandole ai tre atteggiamenti che animano questo tempo, ovvero il digiuno, l’elemosina, la preghiera.

Virtù teologali e comportamenti sapienziali, potremmo dire. Vorrei provassimo a rileggerli come tre «movimenti» dello spirito e del cuore, «passi» da compiere nel nostro cammino personale e nella nostra fraternità presbiterale, per guidare su queste strade anche la Chiesa che è tra i militari.

 

  1. Salire

«Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…» (Mt 20,18). Il Papa ha voluto intitolare così il suo Messaggio, esortando tutti ad «associarsi» alla missione di Gesù, come Egli fece con i discepoli.

La Quaresima orienta da subito il nostro sguardo in alto, al Monte Calvario: alla fatica della strada in salita e alle tante Croci che la costellano. Croci del passato e del presente, della nostra vita e dell’esistenza di coloro che ci sono cari, dei militari a noi affidati e del mondo afflitto da guerre, lutti, violenza, povertà, malattie e sofferenze… non ultima questa pandemia. Ma è proprio guardando in Alto che il cammino di Quaresima trova la sua direzione interiore, trova la strada della relazione intima, profonda, rafforzata, con Dio nella preghiera.

Cari confratelli, sento con forza di ricordare, al mio e al vostro cuore, questa verità! Sento che il Signore, in questa Quaresima, vuole condurre, per così dire, “più in alto” la nostra preghiera!

La preghiera è speranza dinanzi allo scandalo della Croce, ai tanti scandali che diventano poi croci nella storia umana. Ma è proprio la preghiera che ci rende sensibili a queste croci e ci consente di portarle, come Gesù e con Gesù; è proprio lo sguardo verso l’Alto, verso Gerusalemme, che ci rende capaci di intravedere tutte le croci piantate sulle pendici del Calvario, che attendono quella speranza e consolazione che solo la nostra supplica può continuare a impetrare da Dio.

Una preghiera più “alta”. Una preghiera che punta più in Alto. Una preghiera veramente sacerdotale: è quanto Gesù ci dona e ci chiede in questa Quaresima.

 

  1. Scendere

«Nel percorrere il cammino quaresimale che ci conduce verso le celebrazioni pasquali, ricordiamo Colui che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8)»[2].

Trovare la Croce sull’alto del monte, salire sulla Croce, significa scendere.

Sì, cari confratelli: vana sarebbe la nostra fede se non ci aiutasse a entrare nell’umiltà di Dio! E a entrarvi con una forza di autenticità che quasi ci incastona nella Sua vita, con la carne e il sangue, con gli affetti e i palpiti più delicati del cuore. Con «gli stessi sentimenti», lo «stesso Cuore» di Gesù (Fil 2,5).

Assieme a una preghiera più “alta” penso che il Signore, in questa Quaresima, voglia offrirci una umiltà più “bassa”; un digiuno che, nel quotidiano, ci spogli di tutto, per condurci alla profondità della fede: essere veri, nudi dinanzi a Dio. Più saliremo nella preghiera, più scenderemo in noi stessi, respirando la necessità e il sollievo della conversione: gioia umile di un cuore che si può conoscere, e ri-conoscere, solo nella Luce della Misericordia, diventando davvero misericordioso.

Non lo dimentichiamo: è nella strada che «scende» da Gerusalemme a Gerico che il cuore del samaritano «vede» e ha «compassione». E se è vero che Gerusalemme è il luogo della Croce, è altrettanto vero che Gerico è il luogo del peccato, del male; è il luogo della nostra vita in cui, scendendo, non finiamo di incontrare quel Samaritano che, curando le nostre ferite con il balsamo del Suo amore, ci fa nuova creatura e, grazie all’unzione sacerdotale, ci rende balsamo per i nostri fratelli e figli, per questa nostra umanità piagata e stremata.

 

  1. Entrare

Camminando con questa umanità, dobbiamo «raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti»[3]; per farlo, occorre «camminare nella carità».

L’elemosina, oggi, non è solo un consiglio spirituale. È grido che si leva dalla Croci contemplate dal nostro sguardo nella preghiera e dalle piaghe a cui la misericordia converte il nostro cuore. Con la povertà, la miseria, la disperazione, la solitudine infinita nelle quali tanti fratelli sono sempre più ricacciati, Dio vuole donarci, in questa Quaresima, una elemosina, una capacità di condivisione che vada più “dentro”.

Se siamo saliti, se siamo scesi, ora dobbiamo entrare. Entrare nei veri bisogni dell’altro, entrare nell’altro! È bellissima l’espressione di Paolo: camminate «nella» carità (Ef 5,2)!

Entrare, dunque, aprendo, oserei dire, quelle porte che la pandemia ha chiuso e che rischiano di rendere tanti nostri fratelli prigionieri di privazioni economiche, difficoltà lavorative, morse di debiti ma anche di sofferenze psichiche, isolamento e depressione, paure mai sperimentate prima…

Quante nuove povertà e fragilità questo tempo ha seminato anche tra i nostri militari, i medici e gli operatori sanitari, spesso lacerati da compiti la cui difficoltà non erano preparati a fronteggiare! E quanta occasione, per noi, di seminare a piene mani amore, l’amore di Cristo, donando quanto abbiamo e quanto siamo!

È qui l’offerta sacerdotale, è questa la nostra vita eucaristica, che ci conforma concretamente a Gesù e ci fa ministri del Suo amore.

 

Carissimi confratelli,

salire nella preghiera, per donare speranza.

Scendere nella conversione, per ritrovare la fede.

Entrare dentro l’altro, per vivere nella carità.

È il nostro programma sacerdotale per questa Quaresima, ma è anche un cammino che vorrei facessimo insieme. Per questo, vi propongo che ogni giorno, nella preghiera – che sia durante la Messa o la Liturgia delle Ore, la recita del Rosario o l’Adorazione Eucaristica – ciascuno di noi si fermi un attimo e pensi, offrendola a Dio:

  • alla preghiera del confratello, alle sue strade in salita verso la Croce e verso il Cielo;
  • al cammino di conversione del confratello, discesa nel dolore dei suoi peccati e nella gioia della misericordia;
  • alle periferie geografiche ed esistenziali in cui la carità chiederà al confratello di entrare, che sono poi il segno della carità di tutta la nostra Chiesa.

Così, ci ritroveremo uniti in un cammino di crescita nella fraternità presbiterale, nel quale l’impegno di uno sosterrà quello dell’altro e, per certi versi, ne colmerà le mancanze. Un cammino che ci condurrà più vicini alla nostra gente perché, come in una famiglia, si impara ad amare amando i fratelli, lasciandosi amare dai fratelli e sentendosi sostenuti dalla preghiera del fratello.

Un cammino semplice ma intriso della certezza che se, rinasce e cresce il mio sacerdozio, potrà rinascere e crescere il sacerdozio dell’altro, potrà rinascere e crescere, giorno dopo giorno, il Mistero stesso del sacerdozio.

Il Signore benedica il nostro cammino sacerdotale di Quaresima, verso la Pasqua senza fine.

 

Santo Marcianò

[1] Francesco, Messaggio per la Quaresima 2021

[2] Ibidem

[3] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, 183