Relazione dell’Ordinario al Congresso di Studi Storici Internazionali

Testo integrale della relazione tenuta dall’Ordinario al Congresso promosso da SMD (Centro di Studi Storici Internazionali) sul tema: “Il 1918 – La Vittoria – Il Sacrificio), tenuto il 18 ottobre 2018 presso Palazzo Guidoni (Segretariato Generale della Difesa).

Ringrazio di vero cuore per l’invito e per l’iniziativa di questo prestigioso convegno, che si inserisce nella memoria dei cento anni dalla fine della prima Guerra Mondiale. Occasione per rileggere una storia che sempre ci inquieta, così come ci inquieta la percezione che, da questa storia, non si sia tratto sufficiente insegnamento. La guerra, la sua logica, continua oggi in tutte le forme di violenza, intolleranza, abuso, discriminazione… in ogni predominio dell’uomo sull’uomo che affligge la comunità umana. Situazioni contro le quali donne e uomini delle Forze Armate italiane cercano di lottare, perché oggi si eviti quella guerra che ieri ha seminato devastazione e morte, in tanti luoghi e fra tanta gente.   La Prima Guerra Mondiale, in Italia, fu storia di tutti: alcuni la combattevano, altri ne furono vittime, tutti ne erano coinvolti; e in quella guerra, per la prima volta in modo – per così dire – istituzionale, furono coinvolti i cappellani militari i quali,  rappresentarono una presenza decisiva per i soldati e le loro famiglie. Alcuni di essi furono inviati al fronte, altri vi si recarono volontariamente, per stare accanto ai giovani che andavano a combattere, forse a morire, e assicurare loro quel sostegno umano e spirituale che solo la condivisione di vita rende autentico.   Come allora, anche oggi la Chiesa cattolica ha scelto di assicurare la sua vicinanza di Madre alle Forze Armate, attraverso la presenza dei cappellani militari che peraltro, in diversi luoghi, operano anche accanto a figure di altre confessioni, collaborando al supporto umano, spirituale e religioso dei militari. È un ministero «squisitamente sacerdotale», «che offre possibilità inesauribili di accostamento delle anime», soprattutto ai giovani; lo diceva loro in un Discorso del 12 aprile 1972 Paolo VI, da qualche giorno proclamato Santo, sintetizzando in alcune espressioni significative «la necessità» della «funzione» dei cappellani[1].   «Plasmatori di anime»[2], il Papa li chiamava anzitutto; e quanta forza assume tale definizione in un contesto come quello militare che, forse come pochi, conserva ancora oggi la cura educativa! Formare è contribuire a far crescere nella persona la «forma» umana, che certamente necessita di modelli e si esplica in comportamenti, ma alla cui maturazione la ricchezza dell’interiorità contribuisce in modo decisivo, in chi voglia compiere un cammino di fede ma non solo.   Sappiamo quanto la nostra cultura italiana ed europea sia caratterizzata da una singolare spiritualità, testimoniata anche da tante tracce storiche e artistiche disseminate nel nostro Paese, e sappiamo anche quale incidenza abbia il fenomeno della secolarizzazione, intesa come perdita del riferimento alla Trascendenza. Ma senza Trascendenza, senza Assoluto, senza Dio, si impone sempre più quello che è forse il male peggiore del nostro tempo: l’individualismo. Non è difficile rintracciare, in un tale individualismo, la radice di problemi legati alla violenza, all’odio, all’intolleranza. Persino il fondamentalismo, anche il fondamentalismo religioso, si fonda su un individualismo esasperato, a sua volta frutto di un’esasperata secolarizzazione. C’è dunque ancora bisogno, per i nostri militari, di un supporto intenso, di una formazione forte al senso della vita e della morte, a una vita interiore capace di crescere nella speranza nel Trascendente e nell’Eterno. Qui si colloca l’opera evangelizzatrice che la Chiesa Ordinariato Militare persegue: con l’amministrazione dei sacramenti, con una vera e propria educazione delle coscienze, con l’attenzione nel restituire alla città dell’uomo il respiro della Trascendenza, che dona senso alla storia e alimenta la pace, anche attraverso la ricchezza del dialogo tra culture e religioni.   I cappellani sono poi «maestri e guide»[3]; essi, con la forza umile del Vangelo e senza proselitismi, affiancano i militari per mettersi con loro alla ricerca della verità, affrontare problemi di coscienza, rafforzare il senso dei valori, aiutarli a portare avanti un compito che, come «servizio», «si esplica in funzione del bene comune di tutta la Nazione» e offre alla personalità «un importante tocco di maturazione mediante il dovere, la disciplina, il sacrificio»[4], fino al dono della vita per la difesa della vita altrui. Rispetto ai tempi del primo conflitto mondiale, la realtà attuale, soprattutto a livello internazionale, fa emergere sfumature inedite del servizio del militare: quasi un “nuovo profilo”, che include la difesa della vita umana in tutte le fasi e situazioni; la protezione dei più deboli; la lotta alla tratta di esseri umani, fenomeno sconvolgente e più volte denunciato dal Santo Padre; l’accoglienza prudente ma senza scarto, così importante per la corretta gestione di una delle emergenze più delicate che l’Europa si sia trovata ad affrontare, con l’arrivo di tanti profughi; il soccorso pronto e coraggioso nelle calamità naturali; il servizio a popoli afflitti da guerra, violenza e povertà; l’applicazione delle ricerche scientifiche più raffinate alla promozione della giustizia; la custodia del creato e del patrimonio artistico… In questo panorama, la guida spirituale conferma e sostiene, affinché i militari possano portare avanti una grande opera di pace, volta a custodire e difendere, come amo ripetere, non i “confini” ma le “persone”!   Infine, «amici, confidenti»[5]; Paolo VI, nel chiamarli così, sa che i cappellani sono, devono essere uomini capaci di prossimità e costantemente presenti accanto ai militari, ovunque essi si trovino: nell’ordinario delle nostre caserme come nelle missioni internazionali per la pace; nelle operazioni squisitamente militari come pure nelle tante iniziative di promozione umana, sociale, culturale… Come amici, i sacerdoti camminano assieme a tutti, indipendentemente dal credo religioso, in un clima di accoglienza, ascolto, rispetto; aiutati dai valori che il mondo militare porta con sé, essi sanno di rivolgersi non solo a persone singole ma alle loro famiglie e all’intera comunità militare, nella quale far crescere il senso di “famiglia” necessario in ogni ambito, specie ove si persegua un fine di fraternità, giustizia e pace. Dentro questa famiglia, è insostituibile il valore della presenza. Il vivere con i militari, condividerne la quotidianità, nei momenti della gioia e nel bisogno del conforto, caratterizzano la missione del cappellano, forse non sempre adeguatamente compresa dall’esterno ma fortemente voluta dai nostri militari. Sono essi – ne ricevo continuamente conferma e questo è un grande dono! – che, per primi, sentono il bisogno dell’assistenza spirituale e religiosa, e percepiscono il prezioso completamento che il ministero dei cappellani porta all’impegno, alla competenza, alla dedizione richiesti dalla loro stessa missione. Un ministero che si configura come servizio all’uomo e alla sua trascendenza, per aprire spiragli di fede, carità e speranza, necessari a coloro che sono chiamati a combattere la logica della violenza e della guerra: i militari di oggi, come i soldati di cento anni fa.X Santo Marcianò


[1] Paolo VI, Discorso ai Cappellani della Regione Militare Centrale di Roma, 12 aprile 1972
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Cfr. Ibidem
[5] Ibidem
29-10-2018