Omelia al Sacrario di Redipuglia: Dedicazione della chiesa.

06-11-2014
«La gioia del Signore è la vostra forza»
 
 
 
Carissimi fratelli e sorelle,
non è facile, in un Sacrario Militare, ascoltare l’invito alla gioia, ma desidero con voi raccoglierlo, esprimendo la mia personale gioia di essere tra voi per un’occasione così bella e solenne come è la dedicazione della Chiesa, e ringraziando il Signore e ciascuno di voi.
Una gioia che, con l’aiuto delle Letture proclamate, vorrei schematizzare in alcuni verbi, per poter penetrare meglio il senso della Celebrazione che stiamo vivendo.
 
Consacrare – dedicare.
«Questo è il giorno consacrato al Signore, non fate lutto e non piangete», abbiamo ascoltato dalla prima Lettura (Neemìa 8,10). Ci troviamo, dicevamo, in un Cimitero, luogo di lutto e pianto, luogo di morte diventato, però, luogo sacro.
Come può accadere questa trasformazione? La risposta è una sola: per la Presenza di Dio!
La Liturgia è Presenza e, sempre, la Liturgia ci riporta al Mistero di Cristo, Signore del tempo e della storia. La storia, anche la storia tragica della prima Guerra Mondiale, di cui questo luogo è memoria e di cui ricorre quest’anno il centerario dall’inizio, seppure affidata alla libertà degli uomini è, tuttavia, sempre e comunque nelle Mani di Dio, perché la Sua Presenza non abbandona mai i Suoi figli, neppure nell’ora buia del dolore, del non senso, della morte.
È così, è con la Presenza di Dio, che il pianto si trasforma: dedicare la Chiesa, dunque, non è un atto formale ma un profondo atto di fede. Significa consegnare a Lui la storia e il tempo, la guerra e la pace, il dolore e la gioia, la totalità della nostra vita, perché ne faccia cosa sacra. La dedicazione è consacrazione. Ma questa dedicazione richiede la totalità di noi stessi, richiede tutto!
E questa totalità, se ci pensiamo bene, riecheggia nell’insegnamento del Vangelo (Gv 2,13-22), cioè nel grido di Gesù contro i mercanti del Tempio.
Sì. Il Tempio appartiene a Dio nella totalità. Non si può mischiare il Tempio con il mercato; non si può usare Dio per giustificare la ricchezza di pochi che offende la povertà delle moltitudini, l’ingiustizia dello scarto e dell’emarginazione, la discriminazione razziale o religiosa, il dominio dell’uomo sull’uomo che conduce alla violenza e alla guerra. Questa Chiesa è, per così dire, dedicata a ricordare una tale verità.
 
Ricordare-custodire.
I discepoli «si ricordarono» di quanto Gesù aveva detto, abbiamo ascoltato dal Vangelo. Qui noi ricordiamo la guerra, la violenza, la morte. Qui ricordiamo le trincee, in questi luoghi di confine che in guerra erano presidi di difesa e di attacco. Qui ricordiamo il pianto dei caduti e le loro famiglie – quante, distrutte dalla guerra! Qui ricordiamo coloro che qui sono custoditi.
Per gli ebrei, il Tempio custodisce la legge, cioè la Parola del Signore, e, nella prima Lettura, Neemia ci testimonia l’importanza vitale di questa Parola, la sua centralità.
Ma dire Parola, dire legge, è anche dire «verità». Per questo, ricordare la guerra significa anche trasmettere, narrare la verità sulla guerra, affinché quanto accaduto non si ripeta. Bisogna custodire la memoria e, allo stesso tempo, è la memoria che aiuta a custodire: ma questo non basta a trasformare la storia.
Il Tempio, in Israele, è anche luogo di purificazione: perché la guerra non si ripeta bisogna, dunque, “purificare la memoria”, e questo accade solo se impara la logica del perdono al posto della vendetta, solo se si guarda con gli occhi di Dio; solo se si custodisce, assieme al ricordo straziante ed eloquente, quella legge, quella Parola di Dio che costantemente ci parla di giustizia, pace, fratellanza, amore … È il cuore del messaggio evangelico, è la vocazione alla pace scritta in ogni cuore umano ma che, per emergere, richiede l’opera della Grazia di Dio.
Oggi, consacrando l’altare, vogliamo ricordare lo straordinario ministero dei sacerdoti, ministri della Grazia del Signore, da essi elargita con i sacramenti. Penso, in particolare, ai cappellani militari: in quanti altari di chiese, altari da campo, altari a cielo aperto essi hanno portato e accolto Cristo, in questo e in tutti i luoghi di guerra, dando senso alla Croce e testimoniando la fede nella Risurrezione, pur nella distruzione che li circondava!
 
Distruggere-risorgere.
«Distruggete questo tempio e io lo farò risorgere. E parlava del tempio del Suo corpo», afferma Gesù, rinviandoci al Mistero stesso della Sua Pasqua di morte e Risurrezione. Ma la seconda Lettura (1Cor 3,9-11.16-17) ci dice che tempio di Dio siamo anche noi, è anche il corpo dell’uomo!
Quanti corpi qui giacciono: corpi trucidati, corpi sconosciuti, corpi violati e ammutoliti… Cari amici, non dobbiamo dimenticare che il corpo umano è persona! Dobbiamo ricordarlo pensando agli orrori della guerra e pensando al modo in cui oggi si tratta il corpo umano.
Sì. I mercanti del tempio sono i vecchi e nuovi mercanti di morte: sono coloro che pianificano le guerre come pure gli sfruttatori del corpo nella pornografia e nella prostituzione; sono i mercanti di morte della droga e gli scafisti che commerciano le ingenue speranze degli esuli; sono coloro che il corpo torturano e quelli che lo usano e violentano nella pedofilia…
Il mondo militare lotta con forza contro queste mercanterie e questi mercanti e, con le sue regole, può anche offrire il senso di quanto la disciplina sia necessaria a rispettare la dignità del corpo.
«Santo è il tempio di Dio che siete voi», grida Paolo!
La fede nella Risurrezione dice che i corpi qui sepolti, così come i corpi mercificati, sfruttati, trattati come mezzo di piacere o guadagno, sono in realtà persone umane, uniche e preziose agli occhi dei loro cari e agli occhi di Dio. Dice che, come è scritto nei gradini, questi nostri fratelli sono “presenti”, vivi, sono nella vita eterna. Dice con quale rispetto va trattato il corpo, anche il nostro corpo.
 
Carissimi fratelli e sorelle,
consacrando la Chiesa, consacriamo a Dio tutto di noi: il corpo e lo spirito, la storia e il tempo, il ricordo del passato e la speranza del futuro. E consacriamo un presente che ci offre alcuni particolari motivi di gioia.
Tra dieci giorni il Papa sarà qui a celebrare l’Eucaristia e pregare, nel ricordo dell’inizio della prima Guerra Mondiale, per tutti i caduti, per la cessazione di ogni guerra, per l’invocazione della pace. La coincidenza temporale ci fa riflettere: vogliamo, pertanto, dedicare questa Chiesa alla pace, alla preghiera per la pace, all’implorazione per la pace. E penso che – come ho scritto in una Lettera che in questi giorni sto inviando ai cappellani e a tutti i militari in preparazione alla Visita di Papa Francesco – alla pace e alla preghiera per la pace tutte le Chiese dell’Ordinariato Militare dovrebbero, in certo modo, essere specificamente “dedicate”.
Ma in questo presente, addirittura in questo giorno, altre due coincidenze ci colpiscono.
100 anni fa, il 3 settembre 2014, a poche settimane dall’inizio della prima Guerra Mondiale, veniva eletto Papa Benedetto XV, colui il quale cercò in ogni modo di fermare la prima Guerra Mondiale con i suoi pronunciamenti, l’attività attenta della diplomazia, l’ordine di soccorrere chiunque avesse bisogno di aiuto, a qualunque nazionalità, razza, religione appartenesse…
Il 3 settembre del 2000, invece, veniva beatificato Giovanni XXIII, ora santo, cappellano militare e militare egli stesso. La sua voce si era levata molte volte per la pace: nell’Enciclica Pacem in Terris, quasi un testamento spirituale, ma anche – lo ricordiamo tutti con commozione – nell’accorato appello ai presidenti americano e russo, con il quale la sua semplice voce riuscì a fermare un conflitto che sarebbe stato devastante per l’umanità.
Sì. La pace e la Chiesa sono profondamente legate!
La Chiesa opera per la pace con la sua azione evangelizzatrice, con la profezia della sua carità, esercitata verso tutti e ad ogni costo, con la forza della santità del Signore che si trasmette ai suoi figli, con la gioia della sua preghiera di cui il Tempio, dunque anche questa Chiesa, è “casa”. Che bello ciò che dice Gesù: nella preghiera dobbiamo essere e sentirci a “casa”!
Che questa Chiesa, questa nostra “Casa”, testimone degli orrori del dolore, della morte e della guerra, sia abitata da una preghiera capace di strappare il dono della pace al Cuore di Dio portando, in ogni cuore e in ogni casa umana, la pace che vince l’afflizione e la gioia del Signore che «è la nostra forza».
 
 
 
 
 
X Santo Marcianò