Omelia dell’Arcivescovo per la festa di San Matteo

21-09-2017
Senza linguaggio, senza parole,

senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio.   Carissimi, sono queste le parole che abbiamo cantato nel Salmo Responsoriale (Sal 18). Abbiamo cantato la forza dell’annuncio che si diffonde anche nel silenzio, forse ancor più nel silenzio: l’annuncio del Vangelo, la bella notizia che ha invaso il mondo con l’avvento di Gesù di Nazaret. Quel Vangelo che ci ha preso il cuore, quel Gesù che ci ha preso il cuore! Come ha fatto con Matteo, il Santo che oggi veneriamo come Patrono di voi, uomini e donne della Guardia di Finanza. Vi saluto tutti con stima sempre grande, sempre più ammirato del vostro lavoro e convito della sua importanza. Alla luce della Parola di Dio, cerchiamo dunque di cogliere in poche parole il messaggio di San Matteo.   Parola e silenzio San Matteo è un uomo raggiunto, letteralmente conquistato da un silenzioso sguardo d’amore e poi ha messo la sua vita a servizio della Parola, diventando un evangelista. Gesù lo vede «seduto al banco delle imposte», dice il passo evangelico che abbiamo ascoltato (Mt 9,9-13); e chi di noi non ricorda come il Caravaggio lo dipinga nel suo sentirsi guardato, lasciare quei guadagni che lo rendevano cieco, incapace di vedere i bisogni di chi stava attorno a lui? Diventa un evangelista e un evangelizzatore, Matteo. Perché scrive con la potenza della Parola e la accompagna con il silenzio di una scelta a servizio del Signore. Un servizio che lo vede rifiutare, con immediata decisione, l’uso illecito delle ricchezze, l’egoismo dell’abbondanza, l’ingiustizia nei rapporti con il prossimo, per seguire Lui nella povertà, nella giustizia, nella carità. Anche voi, carissimi amici della Guardia di Finanza, siete annunciatori di questo Vangelo; lo diffondete con la forza della parola che denuncia ma anche «senza linguaggio, senza parole», nel silenzio del quotidiano servizio che, in stile di correttezza e carità, rifiuta e combatte tutto quanto lede la giustizia e la dignità umana.   Dignità e accoglienza Con lo sguardo di Gesù, Matteo comprende la propria dignità di persona, amata e salvata; la dignità della sua vocazione. Egli, per così dire, si converte a questa dignità, che fino ad allora aveva tradito. «Comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto», abbiamo ascoltato da San Paolo nella Lettera agli Efesini (Ef 4,1-7.11-1). E voi vi comportate così, nell’attenzione e cura per il vostro lavoro, del quale rispettate la dignità e attraverso il quale aiutate molti a rendersi conto dei tradimenti della propria dignità di persone e di professionisti. Penso ai tanti reati finanziari e fiscali contro cui combattete, ai diversi crimini legati alla disonestà e all’ingiustizia, e vedo qui quanto sia reale la vostra difesa quotidiana e profonda della pace. Quanto fortemente è legata la pace alla dignità umana! Al riconoscimento della dignità intrinseca e inviolabile di ogni persona, così come alla percezione della stessa dignità personale e professionale!  Sì, c’è una dignità nella missione che ci viene affidata; e la dignità richiede «umiltà, mansuetudine, pazienza…», dice San Paolo; capacità di accogliersi con amore e mantenere «il vincolo della pace». Matteo, scoprendo la propria dignità personale e vocazionale, ne diventa annunciatore per altri; per gli scribi e farisei che stanno dentro la casa, quei «malati che hanno bisogno del medico», come dice Gesù.   Peccato e corruzione Ma, se è vero che i malati hanno bisogno del medico, è vero anche che ci sono malattie incurabili, malattie per le quali si rifiuta la cura. C’è, in particolare, la malattia contro cui voi lottate maggiormente: la corruzione. Essa incide profondamente non solo sul singolo ma sulla società, in quanto corrode quella capacità di essere «corpo» che dovrebbe contraddistinguere ogni comunità umana: la Chiesa, chiamata a essere«un solo corpo e un solo spirito»,ma anche la società civile.  «La corruzione rivela una condotta anti-sociale tanto forte da sciogliere la validità dei rapporti e quindi, poi, i pilastri sui quali si fonda una società: la coesistenza fra persone e la vocazione a svilupparla», scrive Papa Francesco, perché sostituisce «il bene comune con un interesse particolare che contamina ogni prospettiva generale». La parola «corrotto», egli spiega in modo molto efficace, «ricorda il cuore rotto, il cuore infranto, macchiato da qualcosa, rovinato come un corpo che in natura entra in un processo di decomposizione e manda cattivo odore». Che cosa c’è, infatti, «all’origine del degrado e del mancato sviluppo? Cosa, all’origine del traffico di persone, di armi, di droga? Cosa, all’origine dell’ingiustizia sociale e della mortificazione del merito? Cosa, all’origine dell’assenza dei servizi per le persone? Cosa, alla radice della schiavitù, della disoccupazione, dell’incuria delle città, dei beni comuni e della natura? Cosa, insomma, logora il diritto fondamentale dell’essere umano e l’integrità dell’ambiente?»[1]. A questi interrogativi, voi rispondete con i fatti: con la concretezza della missione, con un servizio che può essere germe di un autentico rinnovamento sociale, per la nostra Nazione e a livello internazionale. A livello di giustizia sociale, infatti – lo leggiamo nel Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, la corruzione va annoverata «tra le cause che maggiormente concorrono a determinare il sottosviluppo e la povertà»[2]; d’altra parte, la «corruzione politica» rappresenta «una delle più gravi… deformazioni del sistema democratico», in quanto «compromette il corretto funzionamento dello Stato» e «introduce una crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni»[3].   Cari amici, cosa potrà salvarci da una corruzione apparentemente irrimediabile? Un «nuovo umanesimo»[4], risponde il Papa! Una nuova percezione della dignità dell’essere umano, potremmo dire, oggi, con San Matteo. Non lo dimenticate: la vostra missione è un servizio a questo nuovo umanesimo perché, alla fine, arriva al cuore, al cuore umano. È questo l’annuncio silenzioso che accompagna il vostro operato e la cui profondità, il cui valore educativo si inserisce profondamente nell’azione evangelizzatrice della Chiesa; ed è per questo che la Chiesa, unitamente agli uomini e donne di buona volontà, non smette di dirvi il suo grazie. Sì, è al cuore umano che la vostra missione arriva. A quel «cuore rotto» che, però, può essere sempre ricomposto, risanato. Voi siete i guaritori dei “cuori rotti”; voi siete i medici dei “cuori malati”. Matteo ha intuito tale possibilità. Come lui, e con la sua intercessione, lasciamo che anche a noi lo sguardo risanante di Gesù arrivi diritto al cuore e diventiamo strumento di questo sguardo di amore, di giustizia e di pace. Così, cambierà la nostra vita. E la vita del mondo.   X Santo Marcianò


[1] Francesco, Prefazione in Peter Turkson, Corrosione: combattere la corruzione nella Chiesa e nella società, Rizzoli, Bologna 2017
[2] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, 447
[3] Ivi, 411
[4] Francesco, Prefazione in Peter Turkson, Corrosione: combattere la corruzione nella Chiesa e nella società, Rizzoli, Bologna 2017