Roma, S. Maria in Ara Coeli
Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo la festa di San Giovanni XXIII, Patrono dell’Esercito italiano, e lo facciamo in un tempo particolarmente difficile, che rende difficile le stesse Celebrazioni. Per questo, ringrazio tutti voi per aver fatto ogni sforzo al fine di garantire questa Celebrazione.
Sì, è un tempo difficile, abissalmente diverso rispetto a due anni fa, quando gioivamo per la proclamazione di Papa Giovanni a Patrono dell’Esercito italiano, e anche soltanto rispetto alla nostra celebrazione di un anno fa… Un dramma ha attraversato e sta attraversando la storia della nostra Nazione e del mondo intero. Un’esperienza inedita, almeno per la civiltà occidentale moderna, e per molti aspetti paragonabile alla condizione della guerra.
La guerra, lo sappiamo, toccò in modo particolare l’animo e la sensibilità di Angelo Roncalli, tanto da soldato quanto da cappellano militare, sergente di sanità. A suo modo, anche questa pandemia ha toccato in modo particolare Papa Giovanni, nel suo rapporto con la sofferenza e con lo stesso Esercito italiano: si può forse dimenticare come proprio il territorio della sua diocesi di origine sia stato tra i più colpiti, come un’intera generazione di anziani sia stata quasi completamente cancellata, come nelle strade di Bergamo i nostri militari dell’Esercito abbiano guidato con coraggio i solitari cortei funebri che hanno toccato il cuore del mondo? E non sembrava quasi di vedere anche il Papa Buono aggirarsi per le corsie di ospedale e nei letti delle rianimazioni, sostare accanto a coloro che stavano per lasciare la terra e ai loro cari che vi rimanevano, con il dolore lacerante di una inedita separazione?
Sì, cari amici, un dramma inatteso ci ha sconvolti, affidando nuovi compiti a ciascuno di noi e particolarmente a chi, come voi, ha dovuto vegliare sull’ordine, la protezione e la custodia dei cittadini e delle comunità. Ma, nel dramma, Papa Giovanni è stato ed è molto vicino a voi, a tutti noi, mostrandosi, ancora una volta, intercessore e modello di una custodia che, con il Vangelo (Gv 10,11-16), potremmo leggere nella missione del «Buon Pastore» il quale, dice Gesù, «offre la vita per le pecore».
L’offerta della vita non è solo un gesto, sia pure eroico; è l’impianto, la logica con la quale si affronta la storia, direi si cambia la storia. La storia di questi mesi ce lo ha dimostrato e, mentre eravamo sempre più impauriti dalla diffusione dei contagi, dal crescente numero di vittime, dalle varie chiusure con le conseguenti ripercussioni sull’economia, assistevamo sempre più stupiti alla gratuità con cui il personale sanitario – anche i nostri ufficiali medici -, i tanti che portavano avanti il proprio lavoro per assicurare la sopravvivenza altrui, gli uomini e le donne delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine, ci avvolgevano di una vera e propria “economia della dedizione”, portatrice di cura, sollievo, consolazione, attenzione agli ultimi e rispetto della dignità umana.
Essi ci hanno dato – voi, amici dell’Esercito Italiano, ci avete dato – la lezione di una testimonianza di coraggio che non ha fuggito i pericoli ma spesso è andata a cercare le situazioni più complesse e rischiose, incurante della fatica e del pericolo.
Proprio come fa il Buon Pastore, che non abbandona le pecore le va a cercare tutte, particolarmente le più esposte al pericolo di sentieri scoscesi, di rovi che graffiano e feriscono, di lupi che divorano e uccidono con la stessa furia devastante di un virus; con costoro egli condivide il pericolo, fino a rimetterci la vita.
Proprio come ha fatto Papa Giovanni, condividendo l’esperienza devastante della guerra dal versante di coloro che, a causa della guerra, soffrivano negli ospedali: feriti, disperati, moribondi, abbandonati, per alleviare le piaghe della solitudine che esasperano il dolore delle piaghe della carne e la paura della morte, come anche la terribile pandemia ha dimostrato.
E chi è capace di vincere la solitudine, chi è capace di offrire la vita se non chi si scopre e si mostra fratello?
Il «progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana», è ciò che «risulta distrutto in ogni guerra»[1], scrive Papa Francesco nella Fratelli tutti, l’ultima Lettera Enciclica nella quale, peraltro, viene esplicitamente ricordato l’insegnamento con cui Papa Giovanni «diede voce al grande anelito alla pace che si diffondeva ai tempi della guerra fredda. Rafforzò la convinzione che le ragioni della pace sono più forti di ogni calcolo di interessi particolari e di ogni fiducia posta nell’uso delle armi». Ma se è vero che questo messaggio fu ascoltato dalla comunità internazionale è pur vero che, osserva Papa Francesco con una riflessione oggi particolarmente utile, l’occasione non si colse pienamente, «per la mancanza di una visione del futuro e di una consapevolezza condivisa circa il nostro destino comune», cedendo «alla ricerca di interessi particolari senza farsi carico del bene comune universale»[2]. E anche oggi, come dopo la guerra, c’è il rischio di «dimenticare le lezioni della storia che è “maestra di vita”», di dimenticare la vera lezione che la pandemia può averci aiutato ad apprendere: «che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”»[3].
Cari amici, è a servizio di questo «noi» che la nostra, la vostra missione vi colloca, in ottemperanza ai doveri affidati agli uomini delle Istituzioni e, ancor più intimamente, in obbedienza al senso di fratellanza che vi rende straordinari tessitori di pace. È proprio vero: la pace è la vostra vocazione! Lo dico con convinzione, con senso crescente di gratitudine e con stima.
L’Enciclica Fratelli tutti vede l’impegno per la costruzione della pace distinto in due piani: da una parte «una “architettura” della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza»; un ambito che certamente vi riguarda come servi dello Stato, come uomini e donne impegnati nella difesa, nell’indagine, e, non da ultimo, nei delicati campi del negoziato e del dialogo. Dall’altra parte, «però, c’è anche un “artigianato” della pace che ci coinvolge tutti» e richiede di includere «l’esperienza di settori che, in molte occasioni, sono stati resi invisibili, affinché siano proprio le comunità a colorare i processi di memoria collettiva»[4]. Penso qui a quei fecondi processi artigianali di pace, evidenti o invisibili, da voi avviati in tanti modi nel nostro Paese e nelle Missioni estere; accanto a questi, permettetemi di guardare così pure alla Celebrazione di oggi: come a un momento per fare memoria, per “colorare la memoria” dell’Esercito e del mondo militare italiano con la straordinaria testimonianza di San Giovanni XXIII. La sua esperienza di uomo, il suo esempio di militare, il suo insegnamento di sacerdote e papa, la sua intercessione di Santo, vi aiutino – e ci aiutino – a essere, con orgoglio e senza compromessi, testimoni di una vita offerta in nome del “noi fraterno”, senza il quale il nostro Paese, la nostra Europa, il nostro pianeta non potrebbe avere futuro di pace.
Grazie! E così sia.
Santo Marcianò
[1] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, 26
[2] Ivi, 260
[3] Ivi, 35
[4] Ivi, 231