Omelia per la celebrazione della festa di Santa Barbara

20-02-2014

 Basilica di S. Giovanni in Laterano, 4 dicembre 2013   Carissimi fratelli e sorelle, è un dono per me celebrare questa Eucaristia e incontrare tutti voi che saluto di cuore. Le Letture di oggi lasciano un messaggio e una consegna: la croce; ed è, questo, anche il messaggio di Santa Barbara, vergine e martire, che oggi celebriamo quale Patrona della Marina Militare. Il versetto alleluiatico, che richiama un’espressione di San Paolo (cfr. 1Cor 1,18), fa riferimento alla «parola della croce». E se c’è un linguaggio universale, che ciascun uomo è in grado di decifrare, è veramente quello della croce. Non è forse vero che, mentre io pronuncio questa parola, ciascuno di voi la sente risuonare dentro di sé con sorprendente concretezza? Non è parola generica, quella della croce: segna momenti e situazioni della nostra vita, penetra dentro le nostre anime, mettendo in luce tante ferite nascoste e sottraendo al silenzio tante grida e tante lacrime. Per certi versi, essa ci da un nome; e possiamo dire che la croce è parola dura, pesante, insopportabile… ma non possiamo dire che sia parola «stolta» cioè insignificante, vuota, superficiale, folle. Ed è interessante che il testo da cui è tratto il versetto (cfr. 1Cor 1) contrapponga il termine greco morìa (stoltezza, follia), che in tutta la Bibbia è usato solo in queste righe, a sofìa, parola ampiamente usata nella Sacra Scrittura e che significa sapienza. La croce non è stoltezza, è sapienza! Ma queste due parole non vanno interpretate secondo i criteri del mondo. Per comprendere tutto ciò dobbiamo ascoltare e imparare la parola della croce, proprio come impariamo tutte le parole che, fin da bambini, segnano il nostro linguaggio. Tuttavia, in un mondo che ha perso la capacità di ascoltare, che si nutre di rumori, che si stordisce di slogan e messaggi rapidi, questo ascolto è veramente difficile e questo linguaggio diventa ostico, ostile. Come e da chi possiamo ascoltare e imparare la vera parola della croce? Io ho una sola risposta: dal Crocifisso! E dai crocifissi. Vedete, la croce diventa stoltezza quando la guardiamo in sé perché in fondo, se ci pensiamo bene, la croce non esiste, non ha significato, non è neppure reale senza una persona sopra. È guardando alla persona concreta che tu devi guardare la croce; è ascoltando il dolore dell’uomo che devi imparare la parola della croce. Credo che una delle aberrazioni più spaventose della nostra cultura “post moderna”, che molti ormai definiscono cultura “post umana”, sia l’ostinazione a voler eliminare il Crocifisso dai luoghi pubblici. Non si tratta, infatti, di rifiutare semplicemente un segno che è anche un simbolo religioso e culturale; si tratta piuttosto di rincorrere, alla fine, l’illusione di poter cancellare il dolore umano cancellando le persone crocifisse. Senza il Crocifisso le nostre croci, che nessuno purtroppo può togliere, sono insopportabili: è follia, è stoltezza. E ci rinchiude nella cosiddetta “sapienza di questo mondo”, nella “mondanità”. «Nella cultura dominante il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede il posto all’apparenza»[1], scrive Papa Francesco nella Evangelii Gaudium. In una realtà così, ciò che conta è possedere, e si afferma la «cultura dello scarto», come aggiunge il Papa. «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione – egli spiega allarmato -: con l’esclusione resta colpita alla radice l’appartenenza alla società in cui si vive. […]. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”»[2],  La vera sapienza della croce, però, ci chiede non di escludere ma di «includere»; ci chiede non di eliminare il Crocifisso e i crocifissi ma di prendere la nostra croce e le croci dell’umanità. Ma cosa significa, come dice il Vangelo, «prendere la propria croce» per seguire Cristo? Gesù ha preso la Sua Croce per prendere le nostre croci. E anche per noi è così. Anche per noi c’è una croce da prendere, da prendere ogni giorno. E prenderla significa quello che Paolo scrive a Timoteo nella seconda Lettura: vivere le persecuzioni, soffrire, portare le catene. Significa seguire Gesù facendo come Lui: morire con Lui per vivere con Lui; perseverare con Lui per regnare con Lui; significa non rinnegarlo, anche nell’ora del dolore, perché Egli non ci rinneghi. Significa restare fedeli, nella certezza, però, che Egli rimarrà fedele anche se la nostra fedeltà, provata e forse schiacciata dalla croce, venisse meno. Sì, noi possiamo seguirlo perché Lui è fedele. Noi possiamo prendere la nostra croce perché Gesù l’ha presa per noi e con noi. Ma alla fine, se ci pensiamo bene, tutto questo non basta; rimane, infatti, la domanda del “perché la croce”. Certo, questa domanda non ha una risposta definitiva in questo mondo. C’è, però, una parola di Paolo nella seconda Lettura che è decisiva: sopporto tutto questo, cioè sopporto la croce – egli dice -, «per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza». Sì. La nostra croce è per gli altri! E chi sa prendere la propria croce sa prendere su di sé coloro che sono crocifissi, sa prendere su di sé il dolore dei fratelli, perché ha spalle forti, provate da un dolore che l’ha invaso ma non schiacciato. È qui il mistero del martirio, che oggi Santa Barbara ci fa celebrare. È qui il senso del 70° anniversario dell’affondamento della Corazzata Roma, che avete già celebrato e che ricordiamo in questa Eucaristia, affidando al Signore i 1393 marinai caduti e i loro familiari. Osando un po’ di più, è qui il cuore del vostro servizio, quando esso vi vede impegnati a caricarvi sulle spalle tante sfumature del dolore umano, tanti volti del Crocifisso, tante persone crocifisse, portando a termine compiti particolarmente duri e rischiosi che, sempre più spesso, esulano dall’impegno puramente militare. Sappiamo quante competenze e professionalità, ma anche quanta disponibilità, prontezza e spirito di sacrificio, consentono agli uomini delle nostre navi di assicurare il sostegno in missioni umanitarie, il soccorso in calamità naturali, la protezione attenta dell’ambiente… E ci auguriamo che anche le decisioni politiche e di governo possano essere attente a non penalizzare quanto piuttosto, come sarebbe necessario, a potenziare un patrimonio che è, a un tempo, un’importante risorsa economica di posti di lavoro e una forza operativa in situazioni di disagio e pericolo, capace di esprimere, il senso di solidarietà e fratellanza del nostro Paese anche a livello internazionale.  Carissimi fratelli e sorelle, ecco la «sapienza» e la «potenza» della croce: umanizzare il mondo, raccogliendo coloro che il mondo “scarta” e trattarli con dignità: poveri, anziani, bambini, immigrati, portatori di handicap, malati terminali, embrioni… Umanizzare il mondo capendo che siamo chiamati a prendere su di noi le croci del mondo, anche quando siamo noi a vivere la croce. Quante volte, lo dobbiamo ammettere, la croce diventa più sopportabile proprio incontrando le croci degli altri che sono più pesanti! Per svolgere il nostro servizio così, però, non basta la competenza, la serietà e neppure la dedizione e il sacrificio. Ci vuole quel di più di sapienza e di potenza che si può attingere solo dall’esperienza del Crocifisso, dall’amore di Gesù in Croce. Ci vuole il coraggio di consegnarsi a Lui: di mettersi, come dicono la prima Lettura e il Salmo responsoriale, «nelle mani di Dio», con la fiducia di chi sa di appartenere a Lui. Santa Barbara l’ha fatto: ha saputo affrontare il martirio perché, nella verginità, ha vissuto l’appartenenza di chi ama il Signore con la totalità del suo essere. Lei, che è nostra Patrona, ci insegni dunque il valore profondo di quest’appartenenza. È il mio augurio, carissimi, è la mia preghiera. È la certezza che, in quest’appartenenza, ritroviamo la forza di prendere ogni giorno la nostra croce e seguire Gesù perché, come ancora ricorda Papa Francesco, «con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia»[3]. Che questa gioia nasca e rinasca sempre in ciascuno di noi! E così sia!       X Santo Marcianò


[1] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 62
[2] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 53
[3] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 1