Omelia per la festa di San Giovanni XXIII

10-11-2016
11 ottobre 2016
 
Carissimi fratelli e sorelle,
 
è sempre un grande dono, per me, ritrovare tutti voi in una Celebrazione Eucaristica, tanto più oggi, ricordando Papa Giovanni, al quale mi lega profonda devozione.
Vi saluto con grande affetto e stima.
Sono grato al Signore che mi dona la gioia di ricordare Papa Giovanni come Patrono dell’Esercito, così come sono grato al Signore, e allo stesso Giovanni XXIII, per il ministero di Ordinario Militare che Papa Francesco mi affidava  proprio in questo giorno tre anni fa e del quale sento la gioia, l’amore e la grande responsabilità.
Ed è la «responsabilità» il messaggio che oggi la Liturgia ci lascia e del quale la Parola di Dio ci aiuta a cogliere diverse sfumature, riflesse nella vita di Papa Giovanni e consegnate a voi, militari dell’Esercito Italiano.
 
«Il Signore è il mio pastore… se dovessi camminare in una valle oscura non temerei alcun male».
Nel Salmo 22 è descritta la figura del pastore, nella relazione con una pecora della quale egli assume piena responsabilità. Il pastore difende dai pericoli, indica la strada, trova le strategie per difendere dal male; il pastore è colui grazie al quale la pecora può vincere la paura e fare esperienza di fiducia, di sicurezza.
Il Pastore vero è Dio stesso e, nella tradizione cristiana, il ministero del pastore si incarna in modo particolare nella vita del sacerdote.
Penso a S. Giovanni XXIII, la cui esperienza sacerdotale, in particolare quella di cappellano militare, è stata segnata dalla responsabilità verso le pecore. Dalle pagine del suo “Giornale dell’anima”, da discorsi o riflessioni, emerge, ad esempio, tutta la dedizione che egli ha riservato ai feriti dell’ospedale militare: tra le crudeltà della guerra, li accompagnava verso le «acque tranquille» della guarigione o nella «valle oscura della morte», rimanendo sempre accanto a loro come padre, per essere icona di quel Padre del quale ciascuno di noi può dire «Tu sei con me, il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza».
Stare accanto: ecco da dove nasce la responsabilità del pastore, del sacerdote, del militare! Stare accanto prendendo in carico la pecora che va difesa dai pericoli della vita, protetta dallo smarrimento della strada, talora soltanto rassicurata dalla paura.
Quante persone, ogni giorno, fanno esperienza di questa sicurezza proprio grazie a voi! Quanti cittadini, guardando ai militari dell’Esercito come icona di una comunità che si prende cura, recuperano fiducia nel Paese e nelle Istituzioni e speranza in un possibile cammino di pace!
Come Papa Giovanni, siete anche voi chiamati, in un certo senso, a incarnare la responsabilità del pastore: figura chiave nella società ebraica del tempo, egli non è solo il guardiano ma il salvatore, pronto a tutto, persino a dare la propria vita per quella della pecora.
Questo significa, nella Bibbia, «pascere».
 
«Pascete il gregge di Dio che vi è affidato».
La prima Lettura (1 Pt 5, 1-4) sembra prospettare una responsabilità crescente: pascere non solo una pecora ma un gregge, una comunità più ampia, della quale non si è «padroni» ma «modelli».
Mi piace qui ricordare il ministero episcopale di Papa Giovanni, esercitato in luoghi e tempi difficili: nella grande diocesi di Venezia, ove fu Patriarca; prima ancora, nei contesti socio-politici complessi di Francia, Bulgaria, Turchia dove, da Nunzio Apostolico, seppe instaurare legami fraterni con altre culture e religioni, rischiando persino la vita per salvare gli Ebrei dalla deportazione…
Nel brano biblico, è interessante precisare come Pietro rivolga l’appello di «pascere» agli «anziani» da «anziano come loro»; e il termine greco utilizzato – “presbìteri” -, non si riferisce tanto all’età avanzata quanto esattamente alla «responsabilità». Gli «anziani» sono a capo della comunità; sono punti di riferimento e, allo stesso tempo, «testimoni delle sofferenze di Cristo», cioè hanno una più profonda conoscenza di Lui.
Intravediamo il compito di chi, tra voi, esercita ruoli di comando nei confronti dei sottoposti, di giovani militari e che, tra l’altro, è chiamato a educare alla responsabilità.
Al di là delle capacità tecniche, acquisite certamente con tanto studio e esperienza, la Parola di Dio chiede testimonianza e condivisione tra chi guida e chi obbedisce.
È proprio vero: oggi tutti, ma soprattutto i giovani, sono, talora inconsapevolmente, alla ricerca di modelli da imitare; modelli attraenti e coerenti, che confermino, con il proprio fare e il proprio essere, la bellezza e il senso del servizio svolto. Di questo ha bisogno la famiglia, la scuola, la società… ne ha bisogno la Chiesa e ne ha bisogno il mondo militare, per riscoprire sempre più il senso del proprio servizio come responsabilità verso la giustizia, la pace, la vita e la libertà dei popoli.
 
«Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Nel Vangelo (Mt 16,13-19), la responsabilità diviene universale.  E come Pietro, Papa Giovanni riceve da Cristo «le chiavi del regno», cioè la responsabilità della Chiesa e, in un certo senso, del mondo.
Non si può non pensare alla sua grande opera sociale e culturale, al suo originale contributo alla pace, scritto tra le righe dell’Enciclica Pacem in Terris e, prima ancora, pronunciato con parole supplichevoli e decise, rivolte ai potenti della terra, che riuscirono a risolvere la cosiddetta “crisi di Cuba” e fermare un conflitto ormai incombente, la cui gravità sembrava assumere proporzioni mondiali.
Anche l’Esercito Italiano, sempre più, si confronta con una responsabilità di tali proporzioni.
Sì, la vostra è una responsabilità nei confronti del nostro Paese, nelle grandi città come nei piccoli centri e in tante espressioni della vita civile, siano esse difesa quotidiana, protezione da organizzazioni criminali, scardinamento di sistemi economici fondati su corruzione o commerci illeciti, elaborazione di strategie di sicurezza ma anche di accoglienza, crescita della legalità e della giustizia a fondamento della serenità e della pace.
Ma la vostra è un’opera che travalica i confini dell’Italia e si innesta nei sistemi di difesa richiesti da un mondo in cui anche la violenza è sempre più globalizzata. Un contributo prezioso, frutto dell’alta competenza che le Scuole assicurano e dell’irrinunciabile originalità che le nostre radici culturali, profondamente umane, rendono necessaria al mondo, oggi più di ieri.
Non può, la nostra Nazione, non esserne orgogliosa e grata; non può, la Chiesa stessa, non essere orgogliosa e grata di un tale lavoro con cui voi, suoi figli, testimoniate l’evangelico assumersi la responsabilità dei fratelli.
 
Carissimi fratelli e sorelle,
a conclusione di questa Celebrazione, risuona in cuore la chiara e inquietante domanda di Gesù: «Voi, chi dite che io sia?». È la domanda della responsabilità.
Se torniamo al Salmo, notiamo che la grandezza del compito del pastore è misurata dal punto di vista della pecora: per capire la responsabilità occorre partire da lì.
Sì, la cifra di una responsabilità più grande non sta in statistiche numeriche o ampiezze geografiche. La cifra della responsabilità è quell’unica pecora da difendere, accompagnare, salvare, per la quale dare la vita. Sia essa un bimbo da proteggere o una città da presidiare, sia un profugo da accogliere o un popolo straniero da servire…
Dinanzi a ciascuna di queste persone, si ripropone la domanda di Gesù: «Voi, chi dite che io sia?» e si ripropone anche la Sua risposta: «Io sono quel bimbo, quello straniero, quel cittadino, quella pecora»…
Non lo dimenticate e continuate a testimoniarlo con lo stile di servizio proprio dell’Esercito Italiano, come fece il nostro amato Papa Giovanni da soldato e da prete, da vescovo e da Papa: oggi, da Santo e da vostro Patrono.
E così sia!
 
X Santo Marcianò