Omelia S. Messa – IV Domenica di Pasqua 2020

03-05-2020

Carissimi, celebriamo oggi la domenica del “Buon Pastore” e la Giornata Mondiale delle Vocazioni. E la Parola di Dio ci chiede di applicare una categoria: la bellezza! È quanto Gesù stesso oggi dice di Sé nel Vangelo (Gv 10,14.-1-10). «Io sono il Buon Pastore», in greco, è: Io sono il pastore «bello». E la bellezza, in certo senso, è spiegata dal «legame» che il pastore ha con le pecore, è il motivo per cui Egli è «conosciuto» dalle pecore; e anche qui il verbo greco indica un rapporto di stretta intimità, la comunione dell’intimità nuziale. Non pura estetica, quella di Gesù, ma bellezza necessaria a desiderare l’intimità con Lui, bellezza della quale le pecore si innamorano; ma, in realtà, Lui  «conosce» le pecore, ci precede in questa intimità, ci ama per primo: vede in noi una bellezza.

È la domenica della bellezza e la bellezza, per noi cristiani, ha sempre a che fare con la domenica, con il giorno dedicato al Signore, nel quale contempliamo eucaristicamente le meraviglie del Creato. Una scena che risplende nelle prime battute del Salmo 22 (23), i «pascoli erbosi su cui riposare», condotti dalla mano del Pastore: immagine troppo spesso dimenticata per i ritmi di lavoro e l’avarizia delle cose, la schiavitù e lo sfruttamento delle persone, la povertà ingiusta che annebbia gli occhi di debolezza e fame… Troppe volte passiamo frettolosi e ingiusti accanto alla bellezza che Dio ci regala, ritenendola superflua per un mondo basato sulla tecnologia spietata, e troppe volte questo mondo violenta la sua stessa bellezza, distruggendo l’uomo e l’ambiente. E ora, in questi giorni di confinamento, tale bellezza quasi ci manca!

Sì, la bellezza del Pastore la contempliamo già nelle sue opere, dono nuziale del Creatore alla creatura, testimonianza di un’alleanza d’amore che è da sempre e per sempre. E la bellezza dei doni è una cifra, seppur minima, della Sua bellezza e della bellezza che Egli intravede in noi, della nostra bellezza, della bellezza di un Amore nel cui abbraccio ci sentiamo conquistati e al sicuro, come nel recinto delle pecore.

A volte, però, in questo recinto entra «il mercenario», il Male; a volte la bellezza dei pascoli si tramuta nella «valle oscura» della sofferenza. A volte, come in questo tempo di pandemia, il buio non ci permette di scorgere alcuna bellezza nel creato, in noi, in Dio.

Come ci guida allora il Pastore? Come ci mostra la Sua bellezza, per poterci ancora far innamorare? E come mostra la nostra stessa bellezza a noi che ci sentiamo sfigurati dal dolore o dal peccato?

Il Vangelo accosta al verbo «conoscere» altri due importanti verbi: ascoltare e seguire.

Anche quando gli occhi non vedono, sperimentiamo che Dio continua a parlarci: attraverso la Bibbia letta nella preghiera, attraverso qualche persona, attraverso segni concreti… Pure nel buio, sempre possiamo riconoscere la Sua voce che «chiama le sue pecore, ciascuna per nome». Nella Storia della Salvezza, la Parola di Dio è testimonianza certa della Sua fedeltà d’amore; così, all’udire il nostro nome pronunciato dalla Sua voce, ci sentiamo, dice la prima Lettura (At 2,14.36-41), «trafiggere il cuore»; e nessuna Parola potrebbe trafiggermi il cuore se non fosse «per me».

Ecco, nella mia sofferenza, nella sofferenza del mondo, Dio continua a parlare, a chiamare, a chiamare me; mi chiama e mi richiama. Non è forse racchiuso qui il mistero d’amore della vocazione?

È perché riconosciamo questa voce che, anche nel buio, possiamo seguire Lui, piuttosto che «i ladri e i briganti»; e seguirLo non significa solo andar dietro ma, come dice nella seconda Lettura (1Pt 2,20b-25) Pietro, in modo bellissimo, ricalcarne le «orme».

Sì, Gesù lascia delle orme sul nostro cammino, lascia orme di bellezza impresse nel nostro cuore e visibili anche al buio, quando la bellezza di Lui e di noi stessi sembra oscurata; sono i momenti in cui l’amore vive una maturazione che è crescita, dilatazione, pienezza. Pietro definisce tale pienezza con il verbo «patire», che significa soffrire ma anche essere posseduto da una tenace passione d’amore. E se la passione dettata da desideri egoistici arriva – purtroppo lo vediamo – a punti inimmaginabili di violenza, la passione del vero amore arriva a punti inimmaginabili di offerta e dono.

«Cristo patì per voi»: è qui tutta bellezza del Pastore. Patì. E patì per noi, perché possiamo «avere la vita e averla in abbondanza».

Il frutto dell’amore appassionato di Dio per noi è la «vita»: la mia, la tua, ogni vita! È la vita della persona nella sua integralità e pienezza, che è da sempre e per sempre. E tale vita, lo cogliamo proprio nel dramma della pandemia, è tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

Non è forse per la vita che siamo allarmati, preoccupati di trovare vie di cura e protezione? Quella vita tanto svilita ha in sé una bellezza che travalica l’estetica, il sensibile. La bellezza del Pastore è una prova della bellezza della vita umana, anche quella piccola, sofferente, sfigurata, di cui il Pastore è innamorato e che prende su di Sé, caricandola sulle Sue spalle ma anche facendosi Egli stesso piccolo, soffrente e sfigurato dalla Croce. Se nella bellezza del Pastore va ricercata la “dignità” di ogni vita, in questa bellezza troviamo il “senso” della nostra vita: «patire facendo il bene», offrire la vita per una pura passione d’amore, come Lui.

Cari amici, lo tocchiamo con mano nel buio di questi giorni. Da una parte, la vita dei malati nei letti degli ospedali e delle rianimazioni grida quanto non sia vero che ci sono vite inutili, vite che non hanno diritto di esistere o vanno fatte morire prima, come in questi anni abbiamo voluto far dire alla cultura, alla scienza, alle leggi, all’educazione…

Dall’altra parte, la bellezza del valore unico di ogni persona umana risplende nel servizio di chi offre la propria esistenza per curare e custodire la vita altrui, proteggerla e servirla, aiutarla a riscattarsi dalla povertà e dall’errore, dalla crisi economica o dalla solitudine… e tutto per un pura passione d’amore!

Vocazioni meravigliose di medici e operatori sanitari, sacerdoti e consacrati, mamme e padri, militari e volontari, insegnanti e lavoratori, cuori aperti alla solidarietà e alla carità… donne e uomini che diventano sacramento del Pastore buono, bello.

Lui, ne siamo certi, anche oggi condurrà tutti fuori dal recinto della paura e dell’incertezza, dalla valle oscura del dolore e della morte. E lo farà anche grazie alla nostra vocazione, come ha fatto con Maria, il cui «Sì» ha cambiato il mondo e che invochiamo in modo speciale nel mese di Maggio che inizia.

Lo farà grazie al «Sì», fedele e innamorato, di chi ascolta la voce di Gesù e segue le orme di bellezza da Lui lasciate nel proprio cuore, lasciando, sulla terra, una piccola traccia d’amore che resterà in eterno.

Santo Marcianò