Omelia S. Messa per la Festa di San Matteo, 21 settembre 2018 – Comando Generale Gdf

26-09-2018
Carissimi, è una grande gioia ritrovarsi per una Celebrazione, attesa, sentita, centrale per voi uomini e donne della Guardia di Finanza. Vi saluto tutti, rinnovando la gratitudine mia e della nostra Chiesa per il vostro compito, sempre più necessario alla vita del Paese: un impegno diretto di lotta alla corruzione, alla criminalità, a ogni tipo di ingiustizia e illegalità; un impegno di educazione e testimonianza, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni.

Nella Chiesa universale anche la Chiesa dell’Ordinariato Militare si sente quest’anno interpellata a dare speciale attenzione proprio al mondo dei giovani. A giorni inizierà il “Sinodo” che vedrà i vescovi interrogarsi, assieme al popolo di Dio, sulle scelte necessarie per aiutare i giovani, oggi, nel discernimento vocazionale. La parola «discernimento», forse un po’ complessa, si riferisce a un atto di distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra il bene e il male; più profondamente, nel discernimento “spirituale”, la persona cerca di cogliere ciò che è da Dio e ciò che non è da Dio, per poterLo seguire.  Il racconto evangelico oggi mostra un’Icona di questo discernimento compiuto da Matteo (Mt 9,9-13), un giovane pubblicano, ovvero un uomo appartenente a una delle categorie più peccatrici e corrotte di Israele, il quale comprende che quanto stava facendo era sbagliato e coglie il bene della sua vita nella sequela di Gesù. Certo, questa scelta gli sarà costata tanto in termini di rapporti con gli altri, privilegi, fama e guadagni; avrà avuto vergogna ad alzarsi, davanti a tutti, ammettendo con un tale gesto i propri errori e, quindi, rischiando di essere ancora più additato dalla comunità… Ma egli, incrociato lo sguardo di Gesù, ha sentito nel cuore che il bene esiste, che il bene è possibile, che c’è sempre tempo per cambiare la propria vita e imparare a mettersi a servizio del bene, del vero bene. Ed è interessante notare che il bonus latino qualcuno lo ricongiunge al beare, cioè rendere felice, ricreare, arricchire. Potremmo dire che scegliere il bene, operare il bene, vuol dire dare e ridare vita; ed è questa nuova che Gesù trasmette dicendo a Matteo: «Seguimi!». Mettiti dietro a Me, impara dai Miei passi, fai come faccio Io. Senza prediche o condanne, il Signore agisce sul cuore di quell’uomo e quell’uomo, conquistato da Lui, diventa uno straordinario modello di giustizia, correttezza, legalità… in breve, un operatore di pace. Lo vediamo infatti poco dopo a tavola, non più solo ma con «molti pubblicani e peccatori», dice il Vangelo. Sono tutti là, forse attratti dal gesto di Matteo, che si è alzato – letteralmente “è risorto” – e ha seguito Gesù. E Gesù mangia con loro, condivide qualcosa di più che un semplice insegnamento, il che suscita una vera e propria discussione polemica dei farisei che contestano l’essere «maestro» di Gesù: «Perché il vostro maestro mangia assieme ai pubblicani e ai peccatori?». E Gesù cambia le carte in tavola: si presenta come «medico», come colui che mira a guarire i «malati», a recuperarli totalmente. Con un po’ di immaginazione, mi piace paragonare questa scena a una delle vostre “operazioni”, in cui magari vi ritrovate a catturare coloro che hanno trasgredito la giustizia e le leggi. E penso a quelle volte che anche voi, come Gesù, ricevete grandi attacchi e critiche nel portare avanti un servizio alla giustizia e alla legge; critiche che forse nascono da chi concepisce la giustizia come privilegio; per meglio dire, da chi identifica nei propri privilegi i criteri della giustizia. Quante di queste persone dovete smascherare! Quante volte i peggiori criminali sono proprio coloro che, come i farisei del tempo, con cariche di potere o ruoli di responsabilità vivono una doppia vita, pretendendo che la giustizia e la legge si pieghino ai loro voleri e rimanendo perennemente intrappolati nella condanna degli altri!   È bello questo racconto evangelico ed è bello che, nella figura di San Matteo, voi vediate il vostro patrono, il protettore, il modello di vita. Perché siete consapevoli che la vostra missione, alla quale sono necessarie doti umane di grande competenza, preparazione, coraggio, richiede un “di più” che viene dalla lettura spirituale della propria esistenza. Quel “di più” che fa di un uomo o donna della Guardia di Finanza non solo un operatore ma un vero e proprio testimone dei valori per i quali combatte. E testimoniare, lo sappiamo bene, significa vivere questi valori, questi ideali, fino a dare la propria vita, fino al sacrificio della vita che, per il cristiano, è il martirio. Oggi la nostra Celebrazione è anche memoria dei vostri caduti, che hanno vissuto questo sacrificio portando fino alla fine la dedizione che vi contraddistingue.  E potrebbe sembrarci contradditorio che Gesù, riprendendo il profeta Osea, nel Vangelo dica di non volere «sacrifici» ma «misericordia»; ma il sacrificio di cui parliamo è proprio un atto di misericordia, perché è spinto non da un generico senso di giustizia e perfezione quanto piuttosto dal desiderio di curare le piaghe di un mondo malato. Qualche giorno fa, a Piazza Armerina, Papa Francesco ricordava alcune «piaghe» che ci affliggono: «esse hanno un nome – ha affermato -: sottosviluppo sociale e culturale; sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani; migrazione di interi nuclei familiari; usura; alcolismo e altre dipendenze; gioco d’azzardo; sfilacciamento dei legami familiari… Se vogliamo dare concretezza alla nostra fede – concludeva – dobbiamo … toccare le piaghe del Signore lì. E questo significa per noi cristiani assumere la storia e la carne di Cristo come luogo di salvezza e liberazione»[1].   Carissimi fratelli e sorelle, come Gesù ci fa capire, vero maestro è solo chi è anche medico, chi vive la propria missione per guarire le piaghe del territorio e della gente. E questa è anche la vostra stupenda testimonianza, che diventa un vero e proprio strumento di recupero e di insegnamento, prezioso soprattutto per i giovani. Celebrando il Sinodo dei giovani, infatti, la Chiesa si interroga sulla loro formazione umana e civile prima ancora che religiosa: sull’educazione alla legalità e alla giustizia, sulla ricerca di senso. Quanti fenomeni di criminalità, che voi cercate di combattere in persone adulte, nascono in giovani trascurati dalle famiglie, vittime di abbandono scolastico, coinvolti in gruppi di violenza come le “baby gang” – fenomeno in continua crescita –, dipendenti da alcol, sostanze tossiche, abitudini a rischio, prigionieri di uso e spaccio di droghe. Sì. Cercano un senso, i nostri giovani, cercano punti di riferimento, cercano modelli. E voi potete esserlo per loro! Non solo per i giovani delle vostre Scuole e Caserme ma anche per i giovani della strada, piccoli “bulli”che poi diventeranno grandi criminali… Nel nostro mondo, potete essere quel “luogo” di senso rappresentato dai testimoni, coloro i quali vivono cercando di curare le sue piaghe con il balsamo della giustizia. Nella nostra Chiesa, potete essere quel “luogo” di senso che sono i santi: uomini e donne come Matteo che, raggiunti dallo sguardo d’amore di Gesù, hanno abbracciato la giustizia e la pace e sono diventati strumento di misericordia, guarigione e recupero, di vita buona, perché ricreata dalla vostra missione, tanto per le vittime quanto per i peccatori e i criminali. Che San Matteo lo conceda a voi e a ciascuno di noi. Grazie di cuore. X Santo Marcianò


[1] Francesco, Discorso alla Diocesi di Piazza Armerina, 15 settembre 2018