Ordinazione Sacerdotale di Giuseppe Salomone e Ordinazione Diaconale di Salvatore Guarnieri

19-03-2025

Roma, Basilica Santi XII Apostoli, 19 marzo 2025

 

«Non io ho cercato o desiderato questo nuovo ministero, ma il Signore mi ha eletto con segni così evidenti della sua volontà, da farmi ritenere grave colpa il contraddire. Dunque egli è obbligato a coprire le mie miserie ed a colmare le mie insufficienze».

Cari fratelli e sorelle, carissimi Giuseppe e Salvatore, metto sulle vostre labbra e nel vostro cuore le parole che un nostro grande amico e protettore, vero faro per la Chiesa Ordinariato Militare, scriveva durante gli Esercizi Spirituali in preparazione all’Ordinazione Episcopale, celebrata cento anni fa in questo giorno. Era Angelo Giuseppe Roncalli, futuro San Giovanni XXIII; e tale significativo anniversario mi è sembrata una coincidenza commovente, dalla quale certamente Dio vuole trarre un messaggio da affidare al tuo sacerdozio, Giuseppe, e al tuo diaconato, Salvatore. Nelle vostre storie, sebbene diverse, è chiaro quanto il Signore abbia scelto pure voi «con segni così evidenti della sua volontà» da non poterLo contraddire.

Il tuo percorso, Giuseppe, è iniziato nella semplicità di una vita densa di affetti e valori ed è poi proseguito in una serie di cambiamenti e spostamenti, partenze e ritorni, incontri e distacchi, che sembravano farti vagare ma ti avrebbero condotto là dove Dio ti attendeva. E per te, Salvatore, sono stati via verso il Signore i progetti che sentivi tuoi ma sembravano fallire, i vuoti che nessuno riempiva, la stessa lontananza da Lui. Infine entrambi, educati dall’amore familiare, avete sentito il desiderio di servire l’uomo, di custodirlo con le modalità di custodia proprie delle Forze Armate e Forze dell’Ordine. La voce di Dio vi ha sorpresi lì; e ciò che appariva quasi un contrasto tra la missione militare e la vocazione presbiterale si è rivelato, in realtà, una sintesi così luminosa da poter venire solo da Dio: essere cappellani militari. Impossibile dubitare, impossibile «contraddire».

Oggi è il momento del “sì”! Il tuo “sì” al sacerdozio, Giuseppe; il tuo “sì” al diaconato, Salvatore. «Proposito e programma generale della mia vita di vescovo sarà quanto prometterò nella cerimonia della consacrazione… queste parole saranno frequente materia dei miei esami», scrive Papa Giovanni; e anche a voi il programma di vita viene consegnato dalle promesse che la Chiesa vi chiede di formulare.

Il sacerdozio ti trasforma in un “altro Cristo”, Giuseppe: partecipe della missione di Lui; inviato dal Padre ad annunciare la Parola di Vita, a guidare il popolo di Dio e a santificarlo. E tu, Salvatore, nel diaconato sei chiamato a rappresentare Cristo come «Colui che serve» (cfr. Lc 22,27): è il “primo grado” dell’Ordine che, ti costituisce nell’aiuto al sacerdozio e nel servizio della carità al popolo.

E tale “programma” lo ascoltiamo dalla Parola di Dio, oggi, giorno in cui – altra provvidenziale coincidenza! – la Chiesa celebra la Solennità di San Giuseppe.

Anche la sua singolare vocazione inizia con una “storia”, attraverso cui egli è stato condotto a Gesù. C’è la storia passata, che lo ha generato, nella quale tante persone sembrano aver collezionato fallimenti ed errori, a partire dal re Davide del quale parla la prima Lettura (2Sam 7,4-5a.12-14a.16). C’è poi la storia della sua chiamata: inattesa, inimmaginabile… eppure, una vocazione che gli ha permesso di essere il più vicino a Gesù; addirittura, di esserne il «custode».

A questa storia, Giuseppe ha saputo «obbedire». Non accettandola passivamente – possiamo immaginare la sua “lotta” nel «sogno» di cui parla il Vangelo (Mt 1,16.18-21.24a) – ma sapendo leggerla, ascoltarla e scorgervi dentro la volontà e la sorpresa di Dio, che avrebbe scritto con lui pagine più belle di quanto egli non potesse immaginare. L’obbedienza, richiesta dal ministero sacerdotale e diaconale, vi introdurrà in una storia totalmente guidata dal Signore, se voi saprete vivere lo stesso abbandono coraggioso e stupito di San Giuseppe a quanto solo Dio può operare. A volte vi sentirete inadeguati, come forse accadde a lui e come accadde a Papa Giovanni: «Quale spavento per me, che mi sento e sono così miserabile e difettoso in tante cose! Quale motivo a tenermi sempre umile, umile, umile!», scriveva preparandosi all’episcopato.

Che bello! La promessa dell’obbedienza è la risposta dell’umiltà! E questa umiltà farà di te un testimone di servizio fraterno, Salvatore; e a te, Giuseppe, farà accogliere il munus regale, il dono di guidare il popolo lasciandoti guidare dal Buon Pastore, in comunione con il tuo vescovo e il nostro presbiterio.

«Non temere», dunque. Ciascuno di voi se lo senta ripetere dal Signore, come San Giuseppe dall’angelo, il quale lo esortava a prendere con sé Maria sua sposa. L’Ordinazione vi consegna la Chiesa e vi consegna alla Chiesa, con la modalità di amore sponsale racchiusa nella castità del celibato. C’è qui una bellezza da voi già percepita se tu, Salvatore, oggi puoi esprimere questa promessa e tu rinnovarla, Giuseppe, innestandola dentro il munus profetico.

Provate a vedere il carisma del celibato sacerdotale come “profezia”! Come una “parola” che pronunziate con la forza e l’amore per la Parola di Dio, al quale appartenete completamente, diventando così Sua voce nell’evangelizzazione. «Il mondo non ha più fascini per me. Voglio essere tutto e solo di Dio, penetrato dalla sua luce, splendente della carità verso la Chiesa e le anime», scrive ancora Giovanni XXIII, indicando una pienezza di amore a cui la prospettiva profetica dona luce.

Anche per San Giuseppe la castità è stata profezia e pienezza, nonostante un certo “devozionismo” lo presenti solo come privazione, limitazione. Ma grazie alla castità, vissuta nel Mistero d’amore con Maria sua Sposa – immagine della Chiesa Sposa – egli fu «tutto e solo di Dio», al punto da esserne padre in terra. E il mistero del nome che Giuseppe darà a Gesù – Giuseppe, non Maria! – non rappresenta solo l’usanza del tempo ma sancisce il suo “essere” padre. Sì: tutto e solo di Dio, tutto e solo del Figlio di Dio!

Non lo dimenticate: la paternità spirituale sgorga da questo amore, con cui il sacerdote è tutto e solo di Dio. Un amore che rende liberi: in grado di non legare alcuno a sé e a “parole umane”, ma di farsi canale della Parola di Dio. Insegnare, trasmettere la Parola, come ogni padre fa con il figlio e come San Giuseppe – è commovente immaginarlo – fece con Gesù. Così Gesù, la Parola stessa, il Verbo di Dio, potrà essere annunciata e crescere, attraverso di voi, nel mondo, come crebbe in terra grazie a Suo padre Giuseppe.

Ma per crescere attraverso di voi Gesù dovrà crescere in voi. Se ne rende bene conto Papa Giovanni: «Col nuovo stato deve prendere un nuovo aspetto la mia vita di preghiera». Ecco un’altra promessa che oggi pronunciate. E qui mi piace vedere la nostra povertà di preti. Sì, perché la preghiera deve essere la nostra unica ricchezza, la nostra unica sicurezza, la sola via per affidarci e fidarci della Provvidenza: per «cantare in eterno», come il Salmista (Salmo 88), «l’amore del Signore» e invocarLo con confidenza assoluta: «Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza»!

La tua preghiera, Salvatore, ti unirà alla preghiera della Chiesa con l’impegno di celebrare la Liturgia delle Ore, nella quale si uniscono tante voci. E la tua, Giuseppe, ti unirà «più intimamente a Cristo sommo sacerdote che come vittima pura si è offerto al Padre per noi». Una preghiera sacerdotale, nella quale si innesta la tua intercessione continua per il popolo a te affidato e, soprattutto, la celebrazione dei Sacramenti per la sua santificazione: primo fra tutti l’Eucaristia, con cui Cristo arriverà ai cuori attraverso le tue mani, oggi unte dall’olio crismale, consacrate per sempre; poi la Riconciliazione, dove potrai portare a tutti quest’olio di consolazione e contemplare la grandezza della misericordia che trasfigura e salva la vita.

«Gesù salverà il suo popolo dai suoi peccati», si sente dire San Giuseppe; di tale salvezza, grazie al munus sacerdotale, sarai strumento, toccando con mano la santificazione che Dio può operare in ogni uomo.

Non smettere, non smettete di stupirvi per la bellezza di questa santificazione e coltivatela anzitutto in voi, in spirito di povertà: povertà che vi fa condividere i beni materiali con i poveri; povertà che potrà avvolgervi in tempi di aridità, di crisi… esperienze vissute pure dai santi. Dio ti vuole diacono, Salvatore, e vuole te prete, Giuseppe, perché vi vuole santi! E vi vuole santi perché vi vuole felici, portatori di gioia e speranza nel mondo, tra i militari, in quell’ambiente che amate e pensavate di servire in altro modo.

Cari amici, le vostre promesse di oggi, dunque, non fanno che dare vita alla Promessa di Dio, accarezzata nei progetti umani ma resa splendida dal Suo disegno.

«La Chiesa mi vuole vescovo per mandarmi in Bulgaria, ad esercitare, come Visitatore Apostolico, un ministero di pace», scriveva cento anni fa Papa Giovanni. Percepiva il sogno di quella pace a cui era stato inizialmente sensibilizzato proprio nel ministero di cappellano militare, ma non sapeva ancora quanto avrebbe fatto quando, da Pontefice, la sua preghiera e cura per la pace ha, in certo senso, cambiato il mondo.

La medesima cura e preghiera per la pace viene oggi affidata a voi, come “vocazione dentro la vocazione” diaconale e presbiterale, e dentro un tempo in cui la recrudescenza della guerra invoca ancora di più il ministero di pace dei cappellani militari, perché le donne e gli uomini delle Forze Armate siano sorretti nella speranza, nonostante tutto.

Abramo «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli», ci ha ricordato la seconda Lettura (Rm 4,13.16-18.22). La via della speranza, per voi come per Abramo, è la via della paternità, che si apre proprio mentre celebriamo il Giubileo della speranza. Una paternità che vi insegna San Giuseppe: egli è «il vero miracolo con cui Dio salva il Bambino e sua madre», dice Papa Francesco; e, anche se si piò avere «l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti […], la “buona notizia” del Vangelo sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza»[1]. La nostra speranza è tutta qui.

E la speranza, leggiamo nella Bolla di Indizione del Giubileo, «nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce»[2]. È l’amore che vi ha preso il cuore e oggi vi consacra, cari Giuseppe e Salvatore. Rimanete in questo amore, come San Giovanni XXIII, come San Giuseppe, come Maria, per essere portatori di speranza, gioia, pace. Portatori di Cristo che vi chiama e vi ama.

Lui vi benedica. E così sia

Santo Marcianò

2Sam 7,4-5a.12-14a.16
Dal Sal 88 (89) R. In eterno durerà la sua discendenza.

Rm 4,13.16-18.22
Mt 1,16.18-21.24a

[1] Francesco, Lettera Apostolica Patris Corde, 5

[2] Francesco, Spes non confundit, 3